lunedì 1 gennaio 2018

Gli italiani non leggono (e fanno bene)


La settimana scorsa l'Istat ha rilasciato il suo rapporto sul 2016, “Produzione e lettura di libri in Italia”, dove analizza acquisti e abitudini di lettura del popolo italiano. 
I siti di news hanno sintetizzato le notizie e dal web il dibattito è passato ai “commentatori”, ovvero siti indipendenti, blog e socialOvviamente, si sono spalancate le cateratte del cielo.

Forza italiani, non facciamo le capre!
Tutto colpa degli analfabeti funzionali!
Noi lettori forti siamo una minoranza!
In compenso guardano Il Grande Fratello!
La lettura è sacra! Io conservo ancora il primo libro che mi hanno regalato!
Tutto colpa della pirateria!
Ma perchè leggono gli ebook! E' così bello leggere su carta!

C'mon.
Quando andavo alle scuole elementari, a fine anni '90, sentivo gli stessi, piagnucolosi lamenti dalle maestre. Quando andavo alle scuole medie e consumavo una media di due romanzi alla settimana, i giornali impazzivano sulla scomparsa della lettura, la chiusura delle librerie e la minaccia dei videogiochi. Alle superiori, sul web e sui giornali non ne parliamo: diluvio d'analfabetismo, apocalisse letteraria, la scomparsa del romanzo come forma d'intrattenimento.
All'università, in area umanistica, ogni studente(ssa) è convinta d'essere un guerriero in trincea, pronto a combattere per il diritto di leggere quanti più libri possibili.

We get it.
Capisco come ci si debba sentire, a scorrere quei dati. A sapere di essere una minoranza dentro un'altra minoranza, una specie protetta. Un panda umanista. E' deprimente, lo capisco.
Tuttavia i nudi e crudi numeri non mentono: sono percentuali drammatiche, ma nulla di eccezionale. E' il semplice, annoso proseguo di un trend in corso dagli ultimi vent'anni.
Nel 2000 i lettori erano il 38,6% della popolazione.
Nel 2010 il 46,8%.
Nel 2016 sono scesi al 40,5%.

No big deal.
Non si è riusciti a superare la forbice di metà della popolazione, ma dall'altro non si è nemmeno regrediti a percentuali medievali. E' una situazione stagnante, ma non è nemmeno quella devastazione atomica descritta dai giornali. Una guerra di trincea, piuttosto. Condotta da generali editoriali altrettanto idioti, altrettanto miopi nello scatenare l'ennesimo attacco di massa. Con tanti piccoli Cadorna pronti a pubblicare sulla base dei “mi piace” su Facebook e delle visualizzazioni su Youtube, non deve sorprendere che i lettori abbiano disertato con interi plotoni.

Vi sono innumerevoli ragioni che spiegano il perchè del calo di lettori e nessuna di queste ha nulla, nulla a che fare con l'imbecillità o meno delle persone.

Il primo punto è doloroso, ma necessario: i libri sono un cattivo investimento.
I libri hanno importanza nella misura in cui sono letture interessanti. Il libro va comprato per quello che contiene, ma non ha un valore intrinseco perchè “libro”. Non mi fraintendete, il mio posto è in biblioteca, in archivio, in rigatteria, in libreria: mi piacciono i libri, specie cartacei, ma alla fine sono un mezzo per un fine, ovvero importa cosa contengono, non cosa sono.
In sé, comprare e possedere libri non è un valore. 
Mi prenderò come esempio per evitare di colpevolizzare il lettore: a novembre mi sono permesso di comprare quattro romanzi che desideravo leggere da un anno; due opere di Sapkowski, “Jerusalem” di Moore e “La Belle Sauvage” di Pullman. Ho scelto di comprarli in libreria, perchè quando compro cartaceo cerco di privilegiare i negozi indipendenti, anche se sono i primi a escludere i clienti.
E i libri costano. C'è stato un periodo verso il 2011/12 dove i libri avevano prezzi talmente salati da far concorrenza alle patatine delle feste di compleanno. Oggigiorno è facile comprare online, a Trieste c'è una vasta scelta di negozi - anche se non così vasta come descrivono, In Der Tat docet – e spesso è possibile ricavare uno sconto dal 10 al 30 per cento. La situazione è migliorata, ma i libri continuano a essere beni voluttuari estremamente, maledettamente costosi. Certo, sono prezzi relativi al ceto sociale e al genere a cui si è appassionati. I libri di filosofia settoriale ad esempio costano un occhio della testa (oltre che diversi neuroni). Una cosa che ho notato negli ultimi anni è la progressiva scomparsa dei tascabili e dei paperback: sempre più ci si limita alla prima edizione a venti e più euro con sovracoperta e copertina rigida. Si ritorna al tema iniziale: un vero lettore è interessato a quanto lo scrittore racconta, non alla qualità della carta su cui è stampato. Quando posso compro l'ebook, non perchè tecnofilo, ma semplicemente perchè i 4,99 proposti solitamente sono preferibili ai 25 euro in negozio. E tornando all'argomento, solo quei quattro libri mi sono costati troppo. Ci stavo riflettendo a posteriori e sono giunto alla conclusione che avrei dovuto ancora una volta trattenermi e risparmiare. I libri sono un cattivo investimento. Ovviamente non dobbiamo ragionare con criteri utilitaristici, ma nell'ottica di un clima economico atroce, comprare libri è stupido. E' da irresponsabili. E' illogico. E non sarò certo io a prendermela con la gente perchè non spende abbastanza in libri. By the way, volevo recensire l'ultimo romanzo di Evangelisti, “Eymerich Risorge”, ma sapete qual'è il prezzo dell'ebook? 9,99. Fuck that.

Percezione storica, questa sconosciuta.
Bisognerebbe saper contestualizzare i prodotti di una cultura e ammettere che nulla è eterno e tutto può cambiare. 
Il mondo procede, i secoli passano e la cultura avanza inesorabile, nelle sue inesauste metamorfosi. 
La forma romanzo nasce verso la seconda metà del '700 come conseguenza della nuova struttura economica capitalista, trova la sua coronazione nell'ottocento e la sua maturità nel novecento. 
E' una schematizzazione e non sono un laureato in lettere, ma trovo che sia condivisibile. 
Perchè dunque definire il romanzo come una forma di letteratura antica e venerabile, quand'è solo un prodotto degli ultimi tre secoli? 
Cos'ha di tanto speciale il romanzo d'assicurare la sua sopravvivenza nel futuro? 
E' un prodotto di circostanze culturali, sociali ed economiche collocabili in un preciso momento storico, non ha questa presunta portata universalista che si continua ad attribuirgli. 
Perchè dovrebbe sopravvivere al ventunesimo secolo? 
Non sa adattarsi, non sa evolversi, è una forma morta. 
Si definisce ad esempio la poesia un genere “morto” perchè nessuno la vende in negozio, come se il valore di una cosa fosse legata alla sua presenza sugli scaffali. Nella realtà tuttavia la poesia continua a essere pensata, scritta e recitata da quanto... secoli? Millenni? 
Da quanto tempo è in circolazione la poesia? 
E al confronto da quanto tempo è in circolazione il romanzo? 
Tre secoli, forse. Troppo poco per definirlo immortale.
Può semplicemente essere che in futuro la gente smetta di leggere romanzi, così come ha smesso di apprezzare altre forme di composizione scritta oggigiorno studiate solo dai filologi.
Non è questione di quando, ma di come: prima o poi cambierà la struttura economica e il romanzo apparirà in tutta la sua obsolescenza.

Terza e ultima ragione: i lettori non fanno un favore a sé stessi auto definendosi lettori.
Leggere è qualcosa che una persona impara quand'è un bambino, non una virtù scesa dal cielo. 
Tutti leggono, pena l'esclusione funzionale dalla vita civile. 
I blog letterari e le pagine dedicate ai libri sembrano aver creato una malsana raffigurazione del lettore come persona debole e psicologicamente instabile. Guardate le vignette che condividono, le foto che si scambiano: non vi è mai il tentativo di mostrarsi come persone intelligenti, forti, critiche verso il mondo. Si alimenta piuttosto un ideale di fuga dalla realtà, di chiusura introspettiva, di snobismo passivo-aggressivo: sono un lettore e mi considero una persona speciale speciale, un genio sensibile e romantico.
Oggettivamente i lettori forti – compresi coloro che amano i blog letterari – sono anche persone determinate, capaci di immedesimarsi nell'altro e comprenderne le ragioni. Lettori capaci di smontare un testo, di saperlo analizzare e di applicare questi principi ad altri campi.
Ci sarebbero tutti gli elementi a favore di un'immagine “forte” del lettore: capace di compiere importanti scelte in situazioni di rischio, di saper mediare verso posizioni e ideologie opposte, di sapersi esprimere e parlare con la ricchezza intellettiva e linguistica propria di un lettore assiduo.
E invece no, continuiamo a perpetuare lo stereotipo del lettore svagato e fuori da mondo.

Il problema più grave è in ultima analisi dovuto ai libri e ai libri soltanto, non ai lettori.
Oggigiorno un romanzo deve concorrere contemporaneamente con serie tv dalla qualità ormai cinematografica, con videogiochi la cui trama e le cui meccaniche sofisticate non hanno nulla da invidiare ai capolavori della letteratura, con film e documentari mai così accessibili e numerosi. Senza osservare la rivitalizzata attenzione dei musei, dei teatri, delle attività interattive, degli hobby al momento più “in”.

Cinque anni fa avrei scritto che un videogioco ha la stessa profondità di un romanzo e che un videogiocatore non dovrebbe vergognarsi di leggere poco o nulla. E' un'argomentazione che nasceva dal mio entusiasmo verso alcuni giochi di ruolo e avventure interattive: i primi due Dragon Age, soprattutto il bistrattato secondo capitolo; Mass Effect e The Witcher; gli isometrici vecchia scuola come Arcanum (la bibbia dello Steamfantasy...). Ne ero rimasto abbagliato, come un coniglio davanti ai fari in autostrada. Senza dubbio i dialoghi e la caratterizzazione psicologica del secondo Mass Effect, ad esempio, dimostrano la possibilità di un gioco altrettanto profondo di tanti mattoni letterari pubblicati d'anno in anno.

Non di meno devo ammettere che il consumo ossessivo di prodotti solo audiovisivi e/o interattivi, produce devastanti conseguenze sulle proprie capacità di scrivere e leggere. In altre parole non si può sostituire la lettura con altro e relativamente alle capacità di concentrazione, di scrittura e di sintesi, la lettura come attività solitaria e “classica” resta fondamentale.
Ciò non toglie che tra un lettore appassionato di Volo e un giocatore di ruolo preferisca quest'ultimo: tuttavia vi sono elementi propri solo dei libri, che si perdono con facilità. Chiunque avrà bene presente la fatica di ritornare sui libri di testo dopo una lunga pausa di qualche mese. 
Si riattivano diverse capacità altrimenti ignorate.
Quando non c'è alcun obbligo alla lettura, il libro deve catturare l'attenzione del lettore, contenderlo alla massa di prodotti e attività alternative. Fin dalla prima pagina, il lettore deve restare incollato, paragrafo dopo paragrafo, alla storia. Le prime pagine obbligatoriamente devono immergere il lettore nel mondo del romanzo, farlo identificare con il protagonista, fargli desiderare di continuare senza sosta. Il lettore non deve avere altra scelta che proseguire con il libro, fino alla fine.
Qualunque altra attività, dai compiti di casa alle ore di sonno, deve passare in secondo piano a favore del romanzo, che deve “possedere” il lettore senza concedergli pause. Proprio perchè consapevole della vasta gamma di alternative che lo minacciano, il romanzo deve usare ogni trucco a sua disposizione per catturare l'attenzione del suo compratore.
Quando domando alle persone un libro che gli ha fatto fare “le ore piccole” non sanno rispondermi. Mi fissano, perplessi. Sanno restare svegli per seguire dieci e più ore di serie tv, per una maratona di film, per completare un livello a difficoltà hard. Con i romanzi invece non scatta mai questa scintilla: si tratta di leggere quel romanzo perchè scritto da quello scrittore, da quel politico, da quella personalità. Senza trascurare foto e hashtag, condivisione su Goodreads e citazione su Twitter. Leggere il libro è considerata un'esperienza, (quasi) un'attività sportiva. Ho letto quel tot di libri in quel tot di giorni; ho fatto quel tot di addominali e ho perso quel tot di chili.
E' un'incredibile distorsione di cosa dovrebbe essere la lettura, una deviazione mortale. Una persona dovrebbe comprare un libro e volersi fermare lì, alla cassa, a leggerlo nell'esatto momento in cui riceve lo scontrino. Il romanzo è invece diventato questo malsano feticcio tanto più prezioso quanto più permette un prestigio sociale tra i gruppi di lettori.

Libri proibiti, di Alexander Mark Rossi
Un rilancio serio della lettura in Italia potrebbe realizzarsi solo e soltanto con un rilancio di romanzi dediti in primo luogo a tenere il lettore incollato alle pagine.
Vi sono opere di scrittori italiani intelligenti e originali, così come antologie di racconti e novelle che divertono e fanno riflettere. Scrittori che raggiungono picchi di eruzione, così come crepacci di psicologie talmente profonde da far impallidire una legione di psicanalisti.
Tuttavia non mi è mai capitato un singolo romanzo dove il lettore sia spinto a continuare la lettura. Completamente assente è quell'insieme di colpi di scena, di azione e di volgari trucchi che rendono la lettura impossibile da mollare. Lo scrittore italiano chiaramente non è interessato ai suoi lettori, se non come spettatori della sua morale: il romanzo può essere originale, ma non insegue il suo pubblico. Non è snob, quanto autistico. L'altro non sembra esistere nella mente dell'autore: è solo una marionetta, un palcoscenico pronto a scatenare fragorosi applausi.
Stephen King avrà tanti difetti, come ho analizzato lo scorso autunno, ma quantomeno sa come intrattenere il suo pubblico. Matthew Reilly è uno scrittore talmente pulp da risultare caricaturale, ma letteralmente i suoi romanzi sono impossibili da mettere giù. E si potrebbe scrivere lo stesso per tanti autori anglo-americani; non conosco il mercato francese e tedesco, ma sospetto che la situazione non sia molto diversa. Una volta scoperto un romanzo impossibile da lasciare, è naturale passare al successivo nella serie, a sequestrare la sua intera bibliografia. E' come una dipendenza, nel volerne di più, sempre di più. L'unico autore di questo calibro in Italia era Alan D. Altieri, almeno nei suoi primi thriller: dopo averne letto un paio in biblioteca, corsi ad acquistarne gli altri in libreria. Mi aveva catturato come un vero Pokémon Master. Purtroppo anche nel caso di Altieri la trilogia di “Magdeburg” segnalava un compiaciuto passaggio a un predominio della parola sulla storia, annacquando la potenza dei lavori precedenti.
Preoccuparsi in primo luogo di come intrattenere il lettore non deve significare per forza una storia banale o uno stile sciatto. Si può costruire sulle fondamenta di una storia avvincente. E' anche ininfluente che la storia sia perfetta o meno: accumulate pure quanti buchi di sceneggiatura volete, il vero obiettivo è incuriosire il lettore a continuare.

Con queste premesse diventerà immediatamente chiaro il controsenso di voler progettare vaste iniziative nelle scuole o incentivi all'acquisto dei libri: se il romanzo per primo fallisce nel suo intento, a cosa serve lo sconto, la propaganda negli istituti scolastici, lo spot televisivo?
Considerate il seguente ipotetico esempio: solo il 40,5% della popolazione acquista automobili. 
Cosa fare per aumentare le vendite, a fronte di un parco macchine dove ogni vettura perde olio, consuma troppa benzina e ha le gomme bucate? Ma è ovvio, no: facciamo uno spot televisivo per vendere quell'auto scadente, chiamando “idioti” chi non compra un prodotto difettoso in partenza.
Questo è il ragionamento che vedo applicato ai romanzi e se provate a paragonarlo ad altri beni di consumo vi risulterà immediatamente chiara l'assurdità della situazione.

Certamente vi sono elementi culturali che si sovrappongono all'oggettivo problema di fondo: il divario ad esempio tra le diverse regioni appare agghiacciante e come sempre deriva dalla diversa dominazione pre risorgimentale: il disinteresse dei Borboni e dello Stato Pontificio nei confronti dell'educazione e delle infrastrutture statali si riflette tutt'ora, mentre non tanto i Savoia, quanto l'Impero Austriaco dimostra nelle ex regioni la forte spinta acculturatrice maturata sotto Giuseppe II nell'ultimo quarto del Settecento e Francesco Giuseppe con le riforme liberali dal 1867. 
L'educazione si ripaga, anche a distanza di secoli.

La prova di quanto sia capovolto il discorso sulla lettura è dimostrato più di tutti dal post su Facebook di Loredana Lipperini, la quale scrive che “si legge se si è curiosi, non per essere migliori di altri. Se si è curiosi, si vogliono scoprire parole combinate in modo nuovo (…) A forza di essere disincantati e annoiati, leggeremo sempre meno, e andremo anche meno in palestra e forse guarderemo anche meno serie televisive. E fatela, questa campagna per la promozione della curiosità, forza”.

Il problema non è la curiosità o meno di leggere un libro; il problema è quanto siano mortalmente noiosi i libri in circolazione. Non serve assolutamente a nulla essere curiosi verso il mondo dei libri, quando lo stesso è disinteressato a intrattenerti come lettore e vuole solo avere un puppet a cui somministrare la propria morale spicciola.
  

9 commenti:

Bluebabbler ha detto...

Grazie per la bella riflessione, assolutamente non superficiale né banale. Vorrei aggiungere qualcosa ma... cosa?

Coscienza ha detto...

@Stefano Casteveltri

Grazie a te! Non mi aspettavo che l'articolo avrebbe fatto successo...

Ariano Geta ha detto...

Condivido molte osservazioni del tuo articolo, dall'eccesso di intellettualismo verboso di molti scrittori italiani alla evidente "concorrenza" che la lettura subisce in un'epoca come la nostra dove le fiction multimediali sono più massicciamente e facilmente fruibili rispetto al passato.
Credo però che esista anche un problema culturale che non può essere attribuito solo ai Borboni e ai papa re. É un problema di fondo che parte dalla scuola, dove la lettura obbligatoria di un mattone micidiale come "I promessi sposi" non aiuta molto a famigliarizzare con la lettura come "piacere" ma piuttosto la fa sembrare una cosa pesante e noiosa. E poi c'è un'entroterra nazionalpopolare basato sul divertimento spicciolo più che su quello impegnativo, sul passatempo semplice anziché su quello complesso, sul pettegolezzo più che sul dialogo intorno ad argomenti seri. Quest'ultimo fa parte del dna nazionale temo, e il ventennio mussoliniano e il trentennio mediasettiano hanno contribuito parecchio a creare una subcultura che trasforma la notizia scandalistica e il fatto di cronaca nera in "informazione" anziché gossip...
La lettura manca del sostrato culturale necessario per diffondersi maggiormente.

Coscienza ha detto...

@Ariano Geta

Benvenuto sul blog!

E' vero che le serie tv e i film sono più facilmente accessibili e fruibili rispetto al passato, tuttavia occorre considerare come siano anche migliorati in qualità. Io non ne sono un grande fan, ma è vero che molti di quelli che un tempo sarebbero stati scrittori a tempo pieno ora sono sceneggiatori. Nello stesso campo inoltre il romanzo e la narrativa ha continuato ad evolversi, mentre non si è verificato nulla del genere in Italia.

Nel campo ad esempio del fantasy e della fantascienza quando scorro le classifiche delle prossime uscite anglo-americane mi scorre sempre un brivido alla quantità di trame e idee che vengono presentante; quando invece leggo le prossime uscite italiane... con l'eccezione degli autopubblicati e di alcune case editrici è meglio lasciar perdere.

Il riferimento al papa re era una frecciatina al fronte neo borbonico che ormai d'anni rimprovera ogni problema a un immaginario passato mai esistito, molto comodamente auto-assolvendo ogni responsabilità individuale... :-D

E' vero comunque che c'è quella percentuale di lettori che non leggono nemmeno un libro all'anno e lì credo che il problema sia culturale, come osservava anche su Facebook Mauro Longo.

Il danno prodotto dai "Promessi Sposi" è particolarmente grave, perchè anche quando lo studente diventa poi lettore "forte" in fase adulta, continua a concepire la lettura come una sorta di dovere/ attività fisica da svolgere nonostante tutto. "I Promessi Sposi sono noiosi, ma insomma, è una lettura che bisogna fare in quanto acculturati..."

La tua osservazione sulla cronaca e il gossip colpisce a mio parere nel segno, perchè mi sembra evidente che i romanzi italiani siano spesso giornalismo mascherato da narrativa, a partire dallo stile divulgativo alla pari di un documentario o di un articolo da rivista patinata. La storia diventa solo una scusante per esporre il pensiero dell'autore, ma questo a sua volta non è mai profondo o impegnativo, è semplicemente gossip o buon senso da quattro soldi...

Marco Grande Arbitro ha detto...

Hai perfettamente ragione, ma proprio su tutto!
Se posso dire una mia esperienza.
Io ormai leggo pochissimo... Leggo tipo un libro ogni quattro mesi, il tempo è sempre meno e la stanchezza è sempre più.
Però non ti nego che in passato ho sempre sentito una certa pressione.
"Si legge sempre di meno, stiamo diventando una massa di ignoranti" - Urlavano le prof. delle medie.
Sembrava davvero che dovevo leggere per non stare nella massa degli ignoranti, ma quasi che dovevo farlo per mandare avanti la cultura.
Oh le professoresse mi facevano sentire un Gesù Cristo in croce della lettura... Che peso inutile che mi davano addosso! La passione della lettura era diventata un peso. Che approcci sbagliati...

Coscienza ha detto...

@Marco Grande Arbitro

Non puoi dare torto alle tue professoresse per aver cercato d'inculcare la lettura... anche se proporre sempre e soltanto i soliti libri produce risultati bizzarri: proprio qualche giorno fa ero nella biblioteca popolare e ho scoperto che a causa dei consigli di lettura scolastici hanno qualcosa come sei copie de "Il Barone Rampante", essendo la classica lettura consigliata per l'estate. Senza nulla togliere a Italo Calvino...

Anonimo ha detto...

Tutto ben scritto ma quel

Com'on

è orrido. Per piacere correggilo, nun se po' guarda'...

(Suggerirei: C'mon o Come On)

Unknown ha detto...

Uao, incredibile articolo, una riflessione molto ben organizzata che mi ha toccato particolarmente. Si vede che ti impegni per intrattenere il lettore ed evitare che si annoi o che ci siano punti 'morti' durante la lettura, era da tempo che non leggevo un pezzo cosi, ottimo lavoro.

Anita ha detto...

Buonasera, sono madrelingua portoghese ma vivo in Italia da qualche anno, dunque mi scuso in anteanti per i miei errori.
Credo che lo stimolo piu grande che di di possa dare allo interessante del potenziale lettore verso i libri sia la curiosità.
Ad esempio l'Italia ha una bellezza architettonica inegabile, e la curiosità verso questa la creazione delle opere stesse stimolano a cercare una risposta per la seguente domanda: da dove deriva tutto ciò? E quindi nasce la curiosità verso la storia.
Io ad esempio ho iniziato ad interessarmi alle storie della stregoneria italiana perché visitando certi comuni abruzzesi, ho imparato che fa parte della storia Medievale di molti luoghi e che i segni di questo particolare pezzo di storia medievale è presente anche in degli affreschi sacri. Insomma da una piccola scheda spiegazioni che ha stimolato la mia curiosità, ho deciso di acquistare libri sulla storia medievale dei borghi della Majella.
Questo piccolo esempio serve solo per ribadire che senza la fiamma della curiosità è molto difficile stimolare la lettura e peggio ancora l'interpretazione del testo.

La cattiva qualità dei programmi TV è solo parte del problema poiché tante perdone oggi hanno le TV a pagamento che offrono tanti bei documentari, però fondamentalmente le persone vedono il calcio e i programmi spazzatura (che non è sinonimo di leggero). Credo che un altro grave problema sarebbe la tendenza af acquisire un tipo di pensiero passivo, cioe che molti preferiscono delegare il ragionamento a qualcun altro e semplicemente eseguire.

Purtroppo per una serie di cose le persone stanno perdendo la curiosità è di conseguenza il gusto per la lettura.

Mi scuso nuovamente per gli errori ma sto ancora imparando l'italiano.