Criticare i Social Network
riscuote sempre grande successo – specie se quest'aristocratico
disprezzo per i likes e i commenti viene condiviso, diffuso e
approvato sul Social Network stesso. Si sviluppa di conseguenza un
fenomeno paradossale, per cui Facebook rigurgita di confessioni di
gente che si vergogna di essere su Facebook, si vergogna di vivere in
funzione di esso, si svela con narcisistica compiacenza puritana al
suo pubblico, raccontando peccatucci e miserie cui nessuno importa.
Pinterest, avendo un
carattere più raffinato della media, diventa il Social per
eccellenza di donnine sciocche su cui fare stalking, Tumblr è solo
“un raduno di porno” nonostante sia normale per le università
americane usarlo come piattaforma dei corsi, o venga usato
nell'ambito della critica videoludica da personcine come Sarkesiaan. Il
deprecato, aborrito Facebook viene considerato l'arena del cazzeggio,
eppure a stringere contatti più interessanti della Pagina Facebook
di Topolino, si scoprono interrogativi e articoli che normalmente non
ci si sarebbe nemmeno posti – e siccome tengo in maggior stima le
domande che le risposte, dal mio punto di vista trovo che nella
giornata giusta Facebook sia un luogo più stimolante di certi
ambienti “reali”, a cominciare dalle asfittiche aule
dell'università.
Non sono interessato a un
peana dei Social Network, ma solo a considerarli quanto sono,
ovvero un gigantesco (e visitabile) ufficio del catasto.
Indubbiamente la scrittura ha molti difetti, a cominciare
dall'indebolimento della memoria, come accusava Platone. E nelle mani
sbagliate si può fare un sacco di danni sapendo scrivere – non è
forse il detto “la penna ferisce più della spada?” Tuttavia non
per questo, a partire da Platone stesso, abbiamo rinunciato alla
scrittura. Chi critica i Social Network usandoli nel frattempo non è
molto diverso da Platone che critica la scrittura attraverso la
scrittura stessa. Certamente l'uso della scrittura condiziona un
certo modo di pensare, esattamente come usare i Social Network
determina un certo comportamento, un certo atteggiamento mentale.
Tuttavia, non lo domina mai completamente. L'uomo non è uno schiavo della tecnologia, non è una marionetta schiava di un progresso ineluttabile. Il determinismo tecnologico, tipico di Wired, non ha alcuna base scientifica, è un semplice bisogno “di più”: più tecnologia, più progresso, più memoria ram, accessibilità, reti, ram, bit. Non è detto che si debba abbracciare acriticamente ogni nuovo ritrovato tecnologico, e non è detto che per ogni tecnologia esista un unico e possibile modo d'usarla. E sopratutto, con buona pace della moda e di Wired, non usare l'ultima tecnologia del momento non porta alcun ritardo o “handicap”. L'alfabeto – in sé una tecnologia che veniva percepita dall'uomo bianco come “superiore conquista” – venne imparato per necessità dai nativi americani Cherokee nel giro di pochi anni. Non si limitarono a imparare l'alfabeto occidentale, ma ne crearono uno proprio. Nel 1821 stampavano perfino un proprio giornale!
Un apprendimento mostruosamente veloce, per quella che veniva considerata una conquista culturale di lunga durata. Allo stesso modo e anzi di più, maneggiare una periferica, il touch rispetto alla tastiera, è semplice questione di manualità e abitudine. Non è un'ineliminabile tacca del progresso.
Quando passo in rigatteria, a volte mi perdo a sfogliare vecchie riviste di elettronica anni Settanta.
E indovinate? Ogni prototipo, ogni nuova invenzione veniva proposta con lo stesso tono “ineluttabile”: se volete restare al passo, aggiornatevi, non perdete tempo. Se non comprerete l'ultimo modello di registratore, sarete otudated, sorpassati, primitivi che accendono il fuoco coi legnetti anziché colla carbonella.
Il problema ovviamente è che nessuno di queste mirabolanti conquiste pubblicizzate in queste riviste erano roba davvero utile; era per larga parte tecnologia inaffidabile, prototipi con cui si veniva inondati ogni anno. Spazzatura elettronica, oggigiorno nemmeno buona per i musei.
Tuttavia, non lo domina mai completamente. L'uomo non è uno schiavo della tecnologia, non è una marionetta schiava di un progresso ineluttabile. Il determinismo tecnologico, tipico di Wired, non ha alcuna base scientifica, è un semplice bisogno “di più”: più tecnologia, più progresso, più memoria ram, accessibilità, reti, ram, bit. Non è detto che si debba abbracciare acriticamente ogni nuovo ritrovato tecnologico, e non è detto che per ogni tecnologia esista un unico e possibile modo d'usarla. E sopratutto, con buona pace della moda e di Wired, non usare l'ultima tecnologia del momento non porta alcun ritardo o “handicap”. L'alfabeto – in sé una tecnologia che veniva percepita dall'uomo bianco come “superiore conquista” – venne imparato per necessità dai nativi americani Cherokee nel giro di pochi anni. Non si limitarono a imparare l'alfabeto occidentale, ma ne crearono uno proprio. Nel 1821 stampavano perfino un proprio giornale!
Un apprendimento mostruosamente veloce, per quella che veniva considerata una conquista culturale di lunga durata. Allo stesso modo e anzi di più, maneggiare una periferica, il touch rispetto alla tastiera, è semplice questione di manualità e abitudine. Non è un'ineliminabile tacca del progresso.
Quando passo in rigatteria, a volte mi perdo a sfogliare vecchie riviste di elettronica anni Settanta.
E indovinate? Ogni prototipo, ogni nuova invenzione veniva proposta con lo stesso tono “ineluttabile”: se volete restare al passo, aggiornatevi, non perdete tempo. Se non comprerete l'ultimo modello di registratore, sarete otudated, sorpassati, primitivi che accendono il fuoco coi legnetti anziché colla carbonella.
Il problema ovviamente è che nessuno di queste mirabolanti conquiste pubblicizzate in queste riviste erano roba davvero utile; era per larga parte tecnologia inaffidabile, prototipi con cui si veniva inondati ogni anno. Spazzatura elettronica, oggigiorno nemmeno buona per i musei.
Ritornando ai Social
Network, si sbaglia a ritenerli “ineluttabili” tanto quanto si
sbaglia a ritenerli negativi di per sé, come se il progresso
c'avesse indirizzato per una cattiva strada e non ci sia più alcun
modo per uscirne. Inoltre siamo così sicuri che molte delle
caratteristiche di Facebook siano riconducibili (e criticabili) a
Facebook stesso e non siano semplice caratteristiche umane?
Prendiamo il caso di un
utente che continua ad aggiornare giorno dopo giorno il proprio
profilo con foto personali. L'utent(essa), ne decidiamo il sesso, aggiunge continuamnete foto alla bacheca, crea nuove cartelle, si
tagga più e più volte. Recupera e scannerizza vecchie foto
d'infanzia. L'asilo, le elementari, le medie. Addirittura migliora le
sue foto con Photoshop! Orrore!
Ora, una persona del
genere e sono il primo a dirlo, risulta irritante, perché troviamo
che sia molto narcisista. Ma è proprio vero? E se non fosse che
questo continuo profluvio di foto serva piuttosto per fissare
un'identità, imprimersi sull'armadio (virtuale) cui ci svegliamo
ogni giorno cosa fare e come comportarsi? Spesso riferendosi alle
foto su Facebook, la gente sembra parli di un album di famiglia. Ma è
un esempio sbagliato sotto tanti aspetti, dei quali il più
importante è che le foto di famiglia vanno nel cassetto, sfogliate
solo una tantum. Nessuna moglie sana di testa ogni volta che si
sveglia va a guardarsi le foto del matrimonio. Tuttavia, molti se non tutti hanno sott'occhio su Facebook le proprie foto e le trattano
come immagini diverse dalle fotografie per ricordo.
La chiave credo stia in un
passaggio dei Promessi sposi, protagonista Don Rodrigo:
"Don Rodrigo, come abbiam detto, misurava innanzi e indietro, a passi lunghi, quella sala, dalle pareti della quale pendevano ritratti di famiglia, di varie generazioni. Quando si trovava col viso a una parete, e voltava, si vedeva in faccia un suo antenato guerriero, terrore de' suoi nemici e de' suoi soldati, torvo nella guardatura, co' capelli corti e ritti, co' baffi tirati a punta, che sporgevan dalle guance, col mento obliquo: ritto in piedi l'eroe, con le gambiere, co' cosciali, con la corazza, co' bracciali, co' guanti, tutto di ferro; con la destra sul fianco, e la sinistra sul pomo della spada. Don Rodrigo lo guardava, e quando gli era arrivato sotto, e voltava, ecco in faccia un altro antenato, magistrato, terrore de' litiganti e degli avvocati, a sedere su una gran seggiola coperta di velluto rosso, ravvolto in un'ampia toga nera; tutto nero, fuorchè un collare bianco, con due larghe facciole, e una fodera di zibellino arrovesciata (era il distintivo de' senatori, e non lo portavano che l'inverno, ragion per cui non si troverà mai un ritratto di senatore vestito d'estate); macilento, con le ciglia aggrottate: teneva in mano una supplica, e pareva che dicesse: vedremo. Di qua una matrona, terrore delle sue cameriere; di là un abate, terrore dei suoi monaci: tutta gente insomma che aveva fatto terrore, e lo spirava ancora dalle tele. Alla presenza di tali memorie, don Rodrigo tanto più s'arrovellava, si vergognava, non poteva darsi pace, che un frate avesse osato venirgli addosso, con la prosopopea di Nathan... "
Un giovane paperon de paperoni ricorda la propria storia guardando le immagini dei propri antenati |
I quadri degli antenati servivano a don Rodrigo come guida al corretto comportamento.
Allo stesso modo, le
immagini su Facebook servono all'utente come guida al corretto
comportamento, dove ovviamente corretto è da intendersi come la
morale/ guida di ciascuno. Riprendendo la nostra utentessa, l'uso
dello Photoshop non è troppo lontano dai miglioramenti che i pittori
rinascimentali apponevano ai principi che dovevano ritrarre. Solo i
masochisti vogliono un'immagine di sé brutta; correggere la
lunghezza del naso in punta di pennello o con il cursore del mouse è
la stessa, identica operazione; solo traslata in contesti diversi.
Senza riferirsi ai Social Network, l'immagine come “rinforzo” e
“guida” viene già analizzata dalla filosofia estetica in maniera
certo più chiara del sottoscritto:
"Nei palazzi nobiliari si era soliti raccogliere in una stanza o in un corridoio i ritratti degli avi e basta percorrere oggi quelle stanze e quei corridoi per comprendere come una simile galleria di volti dovesse rammentare agli ospiti e agli stessi eredi quale fosse il comportamento d'assumere. Ma se un ritratto può incutere soggezione, un altro può invitarci a un ricordo carico d'affetto e un terzo può darci da pensare. Le funzioni delle immagini sono molte: si possono appendere immagini sacre davanti alla porta di casa per sentirsi protetti, raccogliere fotografie in un album per sorreggere il racconto che si farà sfogliandolo e si può tenere una fotografia della propria famiglia in ufficio per legare due scenari della propria esistenza."
Aggiungere foto su
Facebook non è “aumentare il proprio ego”.
Sono convinto che più
spesso di quanto si pensi è un modo per costruire una genealogia e
cercare di costruire una qualche identità che non sia schiava del
consumo e della valutazione. Tutti abbiamo diritto ai nostri quadri e
ai nostri antenati e a essere qualcosa fottutamente di più, di
consumatori che consumano soddisfatti. Sia coloro che criticano i
Social Network, sia coloro che li ritengono “il Futuro” sono
d'altronde in genere ostili alla Storia... Fonti:
Armi, acciaio e malattie, Diamond (rif. all'alfabeto Cherokee, pur con le necessarie pinze, visto che Diamond non è proprio il massimo...)
Simile alle ombre e al sogno, Spinicci (rif doppia citazione)
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