“Esperienza davvero
insolita per Clive Barker. Il maestro dell'horror autore di
Infernalia e de Il Gioco Dannato e regista di Hellraiser, come da
prassi per molti autori, stava firmando agli acquirenti le copie del
suo ultimo romanzo Cabal alla famosa Forbidden Planet di New York,
quando un suo ammiratore gli si è parato davanti con un rasoio e si
è tagliato il braccio chiedendo di avere un autografo con il sangue.
In una intervista
pubblicata il giorno dopo dal Washington Post Book World lo scrittore
di Liverpool ha detto di aver preso la cosa come uno scherzo e di
imputare l'atteggiamento... impulsivo del fan al caldo e alla lunga
fila.
La copia di Cabal è stata
firmata comunque con il sangue, proprio come da esplicita
richiesta...”
Un passaggio senza dubbio
interessante dalla rubrica “Specchio di Alice”, di Errico
Passaro, tratto dal n. 70 dell'Eternauta (1988), che evidenzia
chiaramente la fama di autore “maledetto” conquistata da Barker
in quegli anni, favorita a sua volta dagli atteggiamenti 50%
maledetti, 50% goliardi degli scrittori della corrente Splatterpunk.
Barker, come molti suoi contemporanei, è invitato in televisione, è
intervistato, compare con una faccia nuova e idee fresche a fine anni
'80, rivitalizzando il genere in un periodo stagnante quale gli anni
'90 e approdando agli inizi '2000, prima di scomparire nel nulla.
Clive Barker (1991) |
Sono sempre più convinto
che paragonare Barker a Stephen King sia fare un torto a entrambi.
King aveva conquistato dalla fine degli anni '70 per poi tutto il
1980 una fama e un predominio inarrestabile, moltiplicato dai film,
cementificato dalla valanga di romanzi e rinforzato dai documentari e
dalle interviste. Non c'è mai stata una seria concorrenza tra Barker
e King: le prime vendite della saga dei Libri di Sangue non andarono
molto bene e Barker stentò prima di affermarsi definitivamente,
conquistando una fama mondiale solo in seguito al suo primo film,
Hellraiser (1987): Pinhead, all'interno della mostrologia variegata e
multiforme di Barker, è l'unica creatura che veramente si è
affermata nel subconscio della massa, l'unica che vanta successo come
fan fiction, merchandising, film, diritti ecc ecc Ingiustamente,
perchè altre creazioni di Barker e altri suoi mondi meriterebbero
altrettanto – se non più! - spazio. Come Michael Myers,come Freddy
Krueger, Pinhead è ormai un'icona dell'horror: icona
cinematografica, tuttavia, mai romanzesca. I Cenobiti fanno breccia
nell'immaginario dei cinefili, non dei lettori; questo non col dire
che le opere di Barker scritte siano meno interessanti dei suoi film.
Anzi, è vero il contrario. Tuttavia, come topos della marcescente
cultura pop degli ultimi trent'anni, i cenobiti, Hellraiser e Pinhead
si identificano con i film e con un immaginario molto più
tradizionale, molto più “conformista” rispetto al Barker
scrittore, che è di gran lunga più sovversivo.
Clive Barker scrive
horror: innegabile. Vedasi i racconti dei Libri di Sangue, i suoi
romanzi, il suo gusto per la descrizione grafica ultrasplatter...
Clive Barker scrive
fantasy: innegabile. Abarat è una serie originale, fantasy senza
sfondi storici, puro surrealismo. Perfetta compenetrazione tra
scultura, dipinto e parola scritta.
Clive Barker scrive fiabe:
innegabile. La casa degli anni scomparsi è una fiaba moderna che non
prende in giro il suo giovane lettore, che gli presenta un bambino
protagonista intelligente e capace, all'interno di un mondo con le
sue regole e una morale di fondo.
Quindi, cosa scrive in
realtà Barker? Il buon Clive scrive
fiabe-horror-con-un-pizzico-di-fantasy.
Questi tre elementi
vengono solitamente distinti e apposta ho selezionato alcune delle
sue opere che meglio personificano questi tre diversi aspetti della
sua scrittura. Al fondo, tuttavia Barker scrive spesso una storia
horror, nella quale l'elemento che spaventa è tuttavia descritto
come in un fantasy e dove l'impianto di base è quello di una fiaba.
Dove sarebbe, in questo
contesto, il contatto con King?
Stephen King agisce in
tutt'altra lega, in tutt'altro girone infernale: King vuole
disgustare, vuole spaventare, vuole eccitare, vuole agitare i suoi
lettori. Clive Barker al contrario vuole carezzarli, vuole sì
spaventarli, ma con la consapevolezza di voler far raggiungere un
sublime, un terrore che è mescolato alla bellezza estetica,
all'intrinseca sensazione annichilente di qualcosa che è sì
terribile, ma che è anche maestosamente bello.
Tra King e Barker,
sono diverse anche le ambientazioni: le villette a schiera, i
sobborghi americani, i piccoli nuclei urbani per King; la città
labirintica e metropolitana, darwinista e decadente, nel caso di
Barker. La concezione filosofica di King vede nell'horror un'origine
biologica, “naturalistica”, connaturata a un dato ambiente; la
formula vincente di King sta anche nell'aver reso la creatura
“gotica” realistica e a suo agio, nell'ambiente moderno
americano. Al contrario, con Barker non troviamo mai una spiegazione
razionale o un perchè all'evento soprannaturale, che sovverte e
corrompe la tranquillità di ogni giorno. Persino con mostri come
Pinhead, il soprannaturale non è mai cattivo “tanto per”; i
Cenobiti si limitano a onorare il patto sotteso all'apertura del Cubo di Lemarchand, non lo fanno perchè genericamente “malvagi”.
Invece che con King,
perchè non paragonare la vellutata scrittura di Barker a Neil
Gaiman?
Sono entrambi scrittori di
fiabe, entrambi scrittori che dichiarano sia nella narrativa che
nella saggistica uno smisurato amore per il fantastico, entrambi
autori convinti che il mostro, l'estraneo, la creatura alla Guillermo
del Toro sia molto più interessante del banale umano.
Chiunque legga Gaiman o
Barker può confermare che l'attenzione e il favore dello scrittore è
tutto per il demone, lo spiritello, il mostriciattolo: gli uomini,
questi uomini così imperfetti e fragili, non destano grande
attenzione, a meno che non siano estremamente vecchi, o estremamente
giovani.
Gaiman ovviamente è un
autore spesso considerato per l'infanzia, ma invito a non
sottovalutare affatto il contenuto orrorifico dei suoi romanzi, così
come all'opposto invito a non sottovalutare il contenuto fiabesco di
Barker: Gaiman, come d'altronde nelle fiabe medievali non edulcorate
dalla pennellata di zucchero della Disney, è uno scrittore che sa
essere cattivo, sanguinario tanto quanto i suoi colleghi più
“temuti”. Che l'elemento pauroso sia poi nascosto dal lessico
dell'infanzia e dalle ambientazioni tim burtoniane, non elimina
l'orrore di fondo. Rovesciando la prospettiva, provate a scavare
sotto i litri di sangue rappreso dei romanzi di Barker e scoprirete
eroi e protagonisti sorprendentemente fiabeschi. Leggere Clive Barker
è davvero farsi una purissima dose di horror tagliata con
dell'additivo fantasy unico nel suo genere. E questa novella, Jakabok - Il
Demone del Libro, non fa certo eccezione.
La cosa che mi spaventa è la banalità. La banalità della cultura in cui viviamo. Quello che mi spaventa è quello che mi circonda – persone che vogliono sopprimere l'immaginazione. (Clive Barker, Horror Café, 1990)
La difficoltà nel
raccontare la trama del Demone del Libro sta nella sua natura,
lapalissiana, di libro.
E' la storia di un
“demonietto”, Jakabok Botch, nell'Europa dove infuria la tempesta
protestante scatenata da un altro demone, amico di noi liberi
pensatori, Lutero.
Ma è nel contempo la
storia di un'invenzione fondamentale per l'umanità, ovvero il
torchio a stampa di Gutenberg, macchina infernale e nel contempo
angelica, motore della più grande alluvione cartacea che sia mai
stata conosciuta prima dell'arrivo del computer.
Ma parlando e discutendo
di una novella di Barker, è anche una fiaba, con angeli&demoni,
combattimenti e colpi di scena, rievocazioni bibliche, eroi,
antagonisti e aiutanti: in effetti, si potrebbe dire che è una fiaba
dove il protagonista e la voce narrante, Jakabok, è l'aiutante
magico dell'eroe... se tale lo vogliamo considerare.
Ma è sopratutto un libro
che è la storia di un libro: è Jakabok ad accogliere il
lettore, il volume stesso, specie se cartaceo, conferma la profonda
impressione di essere il documento originale tramite cui il demone
cerca di raggiungere il lettore.
Jakabok Botch secondo AtralWolf9 |
Senza dubbio, come con i
Vangeli di Sangue di Clive Barker, usciti in contemporanea con la Independent Legions, il punto di forza del romanzo sono i demoni di
Barker, che qui compaiono con le caratteristiche e gli atteggiamenti
dei diavoletti dei cartoon degli anni '30, o delle vignette politiche
ottocentesche: con la coda a uncino, corpi rossi, con
quell'atteggiamento “birichino” i cui scherzi portano alla morte
(o dannazione, o entrambi) dello sfortunato umano. I dialoghi e le
avventure di Jakabok e del suo compagno/amante, Quitoon, sono quasi
picaresche, mentre vagabondano senza precisa meta nell'Europa
“moderna”, disastrata e disastrosa, tra lanzichenecchi, cardinali
e peones.
Jakabok è un povero
diavolo, un demone di basso livello, nato nei sobborghi infernali che
ricordano gli slums del terzo mondo: senza grande forza
fisica, o abilità speciali, il suo unico vanto è la doppia coda,
segno di speciale favore da Lucifero. E' interessante come Barker,
invece che perseguire il disegno di un inferno alieno e mostruoso,
preferisca dipingere un'atmosfera certo soprannaturale, ma dove le
famiglie di demoni e dannati imitano e involontariamente parodiano la
vita umana; Jakabok ha un padre (un diavolo violento, verso cui
commetterà parricidio), una madre, una sorella, una vita “sociale”.
Con un gioco sia verso il lettore che verso sé stesso, Clive
descrive un demone che ama scrivere, riversando di nascosto sulla
carta tutte le sue frustrazioni e i suoi desideri, accorgendosi, come
tanti umani, dell'incredibile potere della parola scritta.
Le parole sono in esubero. Ogni giorno vengono rigurgitate da lingue e penne, a miliardi. Pensa a tutto ciò che esprimono: seduzioni, minacce, pretese, suppliche, preghiere, maledizioni, presagi, proclamazioni, diagnosi, accuse, insinuazioni, testamenti, giudizi, rinvii, tradimenti, leggi, bugie e libertà. E ancora, e ancora, parole senza fine. Soltanto quando sarà pronunciata l'ultima sillaba, che si tratti di un gioioso alleluia o di qualcosa che si lamenta di fastidi intestinali, solo allora ritengo che potremo ragionevolmente affermare che il mondo sarà finito. Creato con una parola e – chi lo sa? – forse distrutto da un'altra. Io di distruzione ne so qualcosa, amico mio. Più di quanto mi vada raccontarti. Ho visto certe cose, io, cose talmente indicibili e disgustose...
La scoperta del suo
segreto – la scrittura – e l'obbligo a bruciare tutte le sue
carte, cioè tutta la sua vita, è il perno di passaggio dell'intera
storia, la svolta in seguito alla quale Jakabok si brucia egli stesso, conoscendo
il fuoco e per conseguenza del quale viene “pescato” nel mondo di
Sopra, la nostra Terra, passando dall'inferno alla dimensione degli umani. Da
quel momento, la sua insolita passione per i libri e la lettura lo
condurranno a un'avventura peculiare, dove fuoco, libri e l'ingenuità
umana giocheranno un ruolo fondamentale.
Una storia narrata in
prima persona, con protagonista un demone, naturalmente non può non
far identificare, o quantomeno simpatizzare il lettore con Jakabok.
Un aspirante scrittore, che attraversa le pene dell'inferno, che
giunto sulla Terra soffre un amore non ricambiato e i cui delitti
sembrano trovare una soddisfacente giustificazione morale, dal prete
corrotto al mercante crapulato.
Eppure Clive gioca con i
sentimenti del suo lettore e quando meno te lo aspetti, inserisce una
scena dove Jakabok si comporta normalmente per un demone, ma
a-normalmente per un uomo: una scena ultrasplatter, un banale
disprezzo per la vita umana, una battuta talmente crudele che stenti
non tanto ad accettarla, quanto comprenderla.
Il mio passaggio preferito
è il seguente, dove la cattiveria di Jakabok risalta perché
menzionata come una nota a piè di pagina del suo discorso con
Quitoon:
Quindi, un giorno di un certo anno che ho già ammesso di non ricordare, Quitoon mi disse:
“Dovremmo andare a Magonza .”Non avevo mai sentito parlare di Magonza. Né in quel momento nutrivo alcun desiderio di andare da qualche parte. Mi stavo crogiolando in un bagno di sangue di poppanti, che non ci era voluto poco tempo a preparare, visto che la vasca era grande e i poppanti difficili da procurarsi (e da mantenere in vita affinché il bagno fosse caldo) nelle quantità necessarie. Mi ci era voluta mezza giornata per trovare trentuno bambini, e un'altra ora abbondate per tagliare le loro gole stridenti e scaricarne i contenuti nella vasca. Ma finalmente avevo compiuto l'opera e mi ero appena sistemato nel mio bagno rilassante, inalando il profumo di miele e rame del sangue d'infante, quando Quitoon entrò e – scalciando via i fornitori morti, sparpagliati attorno, del mio attuale benessere – venne al bordo della vasca, dicendomi di vestirmi.
Eravamo in partenza per Magonza.
“Perchè ce ne dobbiamo
andare così presto?”, soggiunge Jakabok seccato e il discorso
sulla mattanza dei bambini resta ad aleggiare grottesco sullo sfondo,
volutamente ignorato.
Il carattere dei diavoli
si accompagna poi bene ai contorni, ovvero a quest'Europa quattro/cinquecentesca ultra violenta, popolata da personaggi bizzarri,
caricaturali, che mirano a ingannarsi reciprocamente alla ricerca del
minimo profitto immaginabile. I diavoli, all'inferno, parodiano i
sentimenti degli uomini, ma questi a loro volta, sembrano voler
imitare i diavoli, in crudeltà e grettezza. Le descrizioni dei
comprimari e delle ambientazioni trasudano miseria e sporcizia:
E nel mezzo di questo strano frutteto c'era lui. Dal suo corpo nudo si levava un fumo bluastro, la cui sostanza era intrecciata dalle venature di una lucentezza che si faceva gradualmente più fievole, via via che ciascuna striatura perdeva d'intensità.
Gli unici punti in cui la luce non si era ancora smorzata erano negli occhi dell'uomo, simili a lampade gemelle che balenavano nella cupola del suo cranio.
Mi feci strada tra lo scompiglio dei cadaveri, senza provare repulsione per sangue o parti corporee sparse ovunque, ma per i parassiti che avevano prosperato a migliaia sui corpi e negli abiti, e che ora stavano rapidamente venendo allo scoperto in cerca di portatori viventi su cui balzare. Io non volevo certo diventare il loro obiettivo e diverse volte, attraversando la radura, fui costretto a spazzolarmi via qualche pulce ambiziosa che mi era saltata addosso.
Diavoli! Dalla rivisita socialista tedesca Der wahre Jakob (inizi '900) |
L'era moderna, di Lutero e
di Gutenberg, è per Barker un'era fantastica, trasfigurata nei miti
e nelle credenze degli europei del XVI secolo; un'era di portenti, di
magie e di diavoli. L'idea più affascinante è che esista un
commercio parallelo a quello delle reliquie, costituito da zanne,
corna e carne di demone, che vengono catturati da conventricole di
monaci con gabbie, reti e trappole, che calano da pozzi e crateri che
scendono fino all'inferno. Senza volerlo, Barker avvalora la tesi di
quegli storici che definiscono la prima età moderna una
continuazione del Medioevo!
Tagliole, reti, pungoli e
ingegnosi strumenti di tortura permettono a questi intraprendenti
“cacciatori” di issare sulla Terra qualche bel diavolo, che poi
cucinano e scalpellano per ricavarne amuleti e portafortuna, così
come materiale di scambio al mercato (nero).
Ovviamente, come
osservavano i recensori inglesi, sì, va bene, lo stile adottato ha i
suoi difetti, perchè la sciarada di fingere che Jakabok parli dal
libro e ti chieda di bruciarlo, è reiterata così tante volte che
rischia di annoiare. Tuttavia, la ripetizione di “brucia questo
libro”, pur stancante, ha lo scopo di collegare tra loro i diversi
capitoli, dare un senso a paragrafi altrimenti disordinati; inoltre,
a meno di non essere davvero molto sensibili alle ripetizioni, è
un'espressione facilmente assorbita dal lettore e ignorata dopo
qualche pagina, come un nome proprio ripetuto un numero sufficiente
di volte. Meno convincente invece l'umorismo di Jakabok, che pervade
e appesantisce alcune pagine, così come lo scarso approfondimento
psicologico di (quasi) tutti i diavoli e gli umani, che tuttavia
conferma come sia tanto una storia horror quanto una fiaba.
Ci sono
alcune espressioni banali, che confliggono con il lavoro di “lima”
operato da Barker: “artigli affilati come il dolore”,
“carpentieri” invece che “scalpellini”, “comunione cosmica”
(esagerato!).
Se accettate come ogni persona intelligente il gioco
metalinguistico di Barker, con il libro-demone, lo stile vi piacerà
senz'altro, concludendosi con quel tot di pagine necessario perchè
diverta, prima che lo mandiate al diavolo.
Senza essere un
capolavoro, Jakabok – Il Demone del Libro è un buon ritorno di
Barker in Italia, proponendo una novella che non è eccessivamente
splatter, ne eccessivamente weird, bilanciando i due ingredienti in
una storia auto-conclusiva piacevole tanto per i vecchi fan, che per
le nuove leve.
L'ambientazione infernale
è inoltre un perfetto aggancio – no pun intended,
Pinhead! – per il secondo volume tradotto dalla Independent
Legions, quei Vangeli di Sangue che di Jakabok mantengono lo sfondo
infernale, aumentando tuttavia il gore e il “disgustoso”.
Fonti:
Jakabok – Il Demone del Libro, di Clive Barker (sito casa editrice)
Jakabok – Il Demone del Libro, di Clive Barker (Ibs). Ho comprato il libro in formato ebook;
all'uscita, vi erano stati alcuni problemi con l'edizione cartacea,
sia per le spedizioni che per alcuni errori di stampa. Sembra però
siano stati risolti con la massima celerità.
La Independent Legions –
che sta pubblicando davvero una marea di libri! – ha annunciato la
traduzione di altro materiale barkeriano, mossa editoriale
che supporto caldamente.
2 commenti:
Non sapevo che fosse uscito quest'anno, non ti nego che mi inquieta un pochino. La verità è che sono un fifone :S
@Marco Grande Arbitro
Effettivamente è piuttosto violento, per chi non è abituato a Barker :-D
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