Trieste Science+Fiction è
sempre un'esperienza frustrante, anche se mai per colpa del Festival.
Ogni anno mi riprometto
infatti di seguire ogni film, di attendere ogni proiezione e di
incontrare i lettori del blog triestini (cioè, Lorenzo Davia e
Matteo Poropat). E puntualmente mi ritrovo esausto dal Lucca Comics,
o come nel caso in oggetto, con un esame da preparare.
/Inizio Digressione
Se vi
lasciano usare il dizionario di latino alla prova di accesso alla
Scuola di Archivistica, non lasciatevi ingannare: ogni singolo verbo,
avverbio, aggettivo, nome sarà squisitamente medievale e pertanto
irreperibile sul vostro ciceroniano tomo. E quando sarà più
necessario, il dizionario medievale sul tavolo degli esaminatori sarà
monopolizzato dallo scricciolo di una latinista nervosa o da un
pensionato che vuole superare qualcosa che non dovrebbe superare
Fine
Digressione/
Ad ogni modo, spavaldo per
il mio accredito stampa, sono riuscito a seguire tre diverse
conferenze, con tre diverse star dello spettacolo e del cinema di
genere. Di seguito le mie impressioni dal "backstage" di
questo blog, le sensazioni primarie che mi hanno suscitato al vederli
dal vivo. Confesso che nel caso di Rutger Hauer, pur avendo seguito
tutta la conferenza, avevo un po' di febbre, per cui ho preso appunti
meglio che potevo. Troverete anche per ogni sezione il relativo link
all'articolo "serio" su Trieste All News. Ancora una volta
ho constatato la profonda differenza tra comunicati stampa, articoli e
realtà: frasi a cui non avrei mai dato importanza venivano
dall'Ufficio del Festival evidenziate a grandi lettere; passaggi che
reputavo importanti inseriti alla fine come ininfluenti. Va bene, non
sono un esperto: può effettivamente essere che mi concentri sui
punti più superflui.
Adam Nimoy è arrivato in
orario, molto disinvolto, col modo di fare di uno zio simpatico,
forse un po' assente: parlava un inglese chiaro e distinto, teneva
ogni frase sull'essenziale. Privilegiava la battuta, sempre
intelligente: non è mai scaduto nel volgare. Vestiti casual, anche
se la giacca non era da buttar via. A ripensarci, Nimoy è uno dei
pochi figli d'attori che abbia un rapporto positivo col padre: la
maggior parte scivola o nell'elogio sperticato, o nell'odio represso.
Prendiamo Tolkien: Christopher è divenuto una personificazione del
padre, un vecchio barbogio che ne rovista nei cassetti di anno in
anno, senza diventare mai un essere umano "staccato" dal
padre/padrone. Il nipote, Simon Tolkien, dopo aver frequentato la
Dragon Academy (!) è ora uno sgradevole ciccione che scrive
thriller: Inheritance, il suo ultimo romanzo, ha come protagonista un
giovane (Simon?), diseredato (il nipote odia Christopher, non si
possono vedere) e falsamente accusato dell'uccisione del padre
(Freud, anyone?).
E' pertanto un sollievo conoscere una persona
rilassata come Nimoy, che fa esattamente quello che gli piace e per
il bene di tutti (i nerd).
Confesso un'assoluta
ignoranza dello Star Trek più recente, con l'eccezione dei film.
Alla menzione di Deep Space Nine nessuna luce interstellare mi
si è accesa nel cervello, sebbene dopo sia andato a documentarmi
sulle apposite fonti. Terry Farrell è stata dall'inizio alla fine un
turbine di battute e risposte intelligenti, a differenza di Adam
sempre animate. C'era una bella alchimia tra i due ospiti e in più
di un'occasione Adam ha sollecitato interventi e approfondimenti
dalla Farrell.
E certo, non è difficile
capire perchè i fan presenti ne siano così affascinati: la Terry è
molto bella, aggraziata, con quel genere di fascino che non troveremo
mai nelle attrici bambine che vanno di moda oggigiorno, o all'opposto
nei vestiti nazi della Lady Gaga di turno.
Rutger Hauer è stato
Rutger Hauer. E' un uomo alto, vestito di nero, ancora molto
muscoloso. La chioma bianca, la pelle incisa e gli occhi di ghiaccio
lo rendono una presenza imponente, quasi intimidatoria. Eppure, nella
piega del volto, ha sempre un sorriso nascosto, una piega
canzonatoria.
E' emersa più volte nel
corso della conferenza stampa, tra battutine, risposte a monosillabi
e gustosissimi trollaggi alle spese di qualche fan troppo invadente.
Basterebbe l'esordio, con quel "Mi sento come King Kong" di
fronte a una formazione aerea di cineprese, otturatori di macchine
fotografiche, ronzare di zoom.
Prendiamo la sua risposta sulla
recitazione: in assoluto silenzio ha accartocciato un foglio di carta
(su cui la traduttrice voleva scrivere) e si è messo a giocarci,
togliendo pezzetti qui e lì. Poi, con uno scatto della mano, ha
lanciato la pallina di carta fuori dal tavolo: era un metafora per la
sua recitazione, su quanto “bassa” la consideri.
Di tutti, è stato anche
l'ospite più fisico: gesticolava, giochicchiava con tutto quello che
aveva a tiro, dalla penna alla bottiglietta di carta, si abbandonava
a pantomime e caricature grottesche.
Una persona, insomma,
molto alla mano, con un aspetto molto più giovane di quanto
lasciassero indovinare i grandangoli dei fotografi. Se avessi dovuto
dargli una professione, l'avrei considerato un marinaio, un vecchio
lupo di mare, certo non un attore, o un “replicante”.
Dario Argento è stato
forse l'ospite dove più si è sentita una lontananza tra quanto il
pubblico e l'intervistatore volevano che dicesse e quanto
effettivamente ha detto. Raffreddato, accomodato con un pullover blu
e semplici jeans era il più umile del Festival, un po' stufo nelle
risposte e nelle contro battute ai giornalisti. In generale ogni
riferimento al cinema, o nel caso in questione al fumetto americano,
non era mai accompagnato dal nome specifico: era sempre
“quell'americano” è molto bravo, senza riferimenti.
Alquanto apprezzabile la
robusta critica al cinema di genere, riportata da pochissimi:
il cinema di genere è troppo complessa come definizione, non si capisce bene cosa sia questo genere, cosa vi entri, un po’ di tutto
Non abbiamo qui un
commento passeggero, ma un affondo dritto dritto al cuore dei
fanatici delle nicchie, delle tribù, del “io leggo solo
horror/fantasy/giallo e nient'altro”. E la lode a Jeeg Robot?
Strappata a forza per liberarsi dalla conferenza, un contentino:
“quel regista è bravo”. Ma quale? Perchè non menzionare
Mainetti? A mio del tutto personale giudizio c'era un disinteresse
molto forte verso per altro un cinema supereroistico molto lontano da
Dario Argento.
Altrettanto importante, la
conferma di una serie tv ambientata nella Londra del 1840, dalle
avventure oppiate di Quincey: certo, gli ultimi lavori di Dario
Argento non rassicurano, ma il modo con cui insisteva sulla capitale
inglese come “un immondezzaio” e sul volergli dare un sapore "storico" lasciano sperare, dopo il disastro di Dracula 3D (in cui, paradossalmente, c'era Rutger Hauer).
E Sandman... perchè non menzionarlo? E sopratutto, perchè non menzionare che chiaramente Dario Argento ha detto di volersi ispirare al Sandman di Gaiman? "Quel fumetto americano"... E chi altri può essere, se non la saga anni '90 dalle vignette gotiche?
Anche se mi rimane il rammarico di un'edizione gustata a metà, anche questo Trieste Science+Fiction ha confermato la qualità della proposta e del pubblico: in faccia ai blogger che vedo malignare sulla presunta "fine" della fantascienza (una fine che va detto, non fanno nulla per contrastare, se non piangendosi addosso).
2 commenti:
Per vari motivi ci sono potuto essere, per questo motivo il tuo post me lo sono divorato immediatamente.
La conferenza su Dario Argento conferma quello che penso di lui. Per quanto gli voglia bene, lo sto vedendo molto invecchiato.
@Marco Grande Arbitro
Eri al Trieste Science+Fiction? Avremmo potuto vederci!
(Anche se ero ancora in lutto post Lucca Comics...)
Argento era davvero simpatico, anche se un po' scazzat(ell)o. Secondo me dovrebbero lasciarlo libero di occuparsi di lirica come in fondo desidera...
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