mercoledì 9 novembre 2016

I miei due cent sul Trieste Science+Fiction


Trieste Science+Fiction è sempre un'esperienza frustrante, anche se mai per colpa del Festival.
Ogni anno mi riprometto infatti di seguire ogni film, di attendere ogni proiezione e di incontrare i lettori del blog triestini (cioè, Lorenzo Davia e Matteo Poropat). E puntualmente mi ritrovo esausto dal Lucca Comics, o come nel caso in oggetto, con un esame da preparare.

/Inizio Digressione
Se vi lasciano usare il dizionario di latino alla prova di accesso alla Scuola di Archivistica, non lasciatevi ingannare: ogni singolo verbo, avverbio, aggettivo, nome sarà squisitamente medievale e pertanto irreperibile sul vostro ciceroniano tomo. E quando sarà più necessario, il dizionario medievale sul tavolo degli esaminatori sarà monopolizzato dallo scricciolo di una latinista nervosa o da un pensionato che vuole superare qualcosa che non dovrebbe superare 
Fine Digressione/


Ad ogni modo, spavaldo per il mio accredito stampa, sono riuscito a seguire tre diverse conferenze, con tre diverse star dello spettacolo e del cinema di genere. Di seguito le mie impressioni dal "backstage" di questo blog, le sensazioni primarie che mi hanno suscitato al vederli dal vivo. Confesso che nel caso di Rutger Hauer, pur avendo seguito tutta la conferenza, avevo un po' di febbre, per cui ho preso appunti meglio che potevo. Troverete anche per ogni sezione il relativo link all'articolo "serio" su Trieste All News. Ancora una volta ho constatato la profonda differenza tra comunicati stampa, articoli e realtà: frasi a cui non avrei mai dato importanza venivano dall'Ufficio del Festival evidenziate a grandi lettere; passaggi che reputavo importanti inseriti alla fine come ininfluenti. Va bene, non sono un esperto: può effettivamente essere che mi concentri sui punti più superflui.


Adam Nimoy è arrivato in orario, molto disinvolto, col modo di fare di uno zio simpatico, forse un po' assente: parlava un inglese chiaro e distinto, teneva ogni frase sull'essenziale. Privilegiava la battuta, sempre intelligente: non è mai scaduto nel volgare. Vestiti casual, anche se la giacca non era da buttar via. A ripensarci, Nimoy è uno dei pochi figli d'attori che abbia un rapporto positivo col padre: la maggior parte scivola o nell'elogio sperticato, o nell'odio represso. 
Prendiamo Tolkien: Christopher è divenuto una personificazione del padre, un vecchio barbogio che ne rovista nei cassetti di anno in anno, senza diventare mai un essere umano "staccato" dal padre/padrone. Il nipote, Simon Tolkien, dopo aver frequentato la Dragon Academy (!) è ora uno sgradevole ciccione che scrive thriller: Inheritance, il suo ultimo romanzo, ha come protagonista un giovane (Simon?), diseredato (il nipote odia Christopher, non si possono vedere) e falsamente accusato dell'uccisione del padre (Freud, anyone?). 
E' pertanto un sollievo conoscere una persona rilassata come Nimoy, che fa esattamente quello che gli piace e per il bene di tutti (i nerd).

Confesso un'assoluta ignoranza dello Star Trek più recente, con l'eccezione dei film. Alla menzione di Deep Space Nine nessuna luce interstellare mi si è accesa nel cervello, sebbene dopo sia andato a documentarmi sulle apposite fonti. Terry Farrell è stata dall'inizio alla fine un turbine di battute e risposte intelligenti, a differenza di Adam sempre animate. C'era una bella alchimia tra i due ospiti e in più di un'occasione Adam ha sollecitato interventi e approfondimenti dalla Farrell.
E certo, non è difficile capire perchè i fan presenti ne siano così affascinati: la Terry è molto bella, aggraziata, con quel genere di fascino che non troveremo mai nelle attrici bambine che vanno di moda oggigiorno, o all'opposto nei vestiti nazi della Lady Gaga di turno.



Rutger Hauer è stato Rutger Hauer. E' un uomo alto, vestito di nero, ancora molto muscoloso. La chioma bianca, la pelle incisa e gli occhi di ghiaccio lo rendono una presenza imponente, quasi intimidatoria. Eppure, nella piega del volto, ha sempre un sorriso nascosto, una piega canzonatoria.
E' emersa più volte nel corso della conferenza stampa, tra battutine, risposte a monosillabi e gustosissimi trollaggi alle spese di qualche fan troppo invadente. 
Basterebbe l'esordio, con quel "Mi sento come King Kong" di fronte a una formazione aerea di cineprese, otturatori di macchine fotografiche, ronzare di zoom. 
Prendiamo la sua risposta sulla recitazione: in assoluto silenzio ha accartocciato un foglio di carta (su cui la traduttrice voleva scrivere) e si è messo a giocarci, togliendo pezzetti qui e lì. Poi, con uno scatto della mano, ha lanciato la pallina di carta fuori dal tavolo: era un metafora per la sua recitazione, su quanto “bassa” la consideri.
Di tutti, è stato anche l'ospite più fisico: gesticolava, giochicchiava con tutto quello che aveva a tiro, dalla penna alla bottiglietta di carta, si abbandonava a pantomime e caricature grottesche.
Una persona, insomma, molto alla mano, con un aspetto molto più giovane di quanto lasciassero indovinare i grandangoli dei fotografi. Se avessi dovuto dargli una professione, l'avrei considerato un marinaio, un vecchio lupo di mare, certo non un attore, o un “replicante”.



Dario Argento è stato forse l'ospite dove più si è sentita una lontananza tra quanto il pubblico e l'intervistatore volevano che dicesse e quanto effettivamente ha detto. Raffreddato, accomodato con un pullover blu e semplici jeans era il più umile del Festival, un po' stufo nelle risposte e nelle contro battute ai giornalisti. In generale ogni riferimento al cinema, o nel caso in questione al fumetto americano, non era mai accompagnato dal nome specifico: era sempre “quell'americano” è molto bravo, senza riferimenti.

Alquanto apprezzabile la robusta critica al cinema di genere, riportata da pochissimi:
il cinema di genere è troppo complessa come definizione, non si capisce bene cosa sia questo genere, cosa vi entri, un po’ di tutto

Non abbiamo qui un commento passeggero, ma un affondo dritto dritto al cuore dei fanatici delle nicchie, delle tribù, del “io leggo solo horror/fantasy/giallo e nient'altro”. E la lode a Jeeg Robot? Strappata a forza per liberarsi dalla conferenza, un contentino: “quel regista è bravo”. Ma quale? Perchè non menzionare Mainetti? A mio del tutto personale giudizio c'era un disinteresse molto forte verso per altro un cinema supereroistico molto lontano da Dario Argento.

Altrettanto importante, la conferma di una serie tv ambientata nella Londra del 1840, dalle avventure oppiate di Quincey: certo, gli ultimi lavori di Dario Argento non rassicurano, ma il modo con cui insisteva sulla capitale inglese come “un immondezzaio” e sul volergli dare un sapore "storico" lasciano sperare, dopo il disastro di Dracula 3D (in cui, paradossalmente, c'era Rutger Hauer). 

E Sandman... perchè non menzionarlo? E sopratutto, perchè non menzionare che chiaramente Dario Argento ha detto di volersi ispirare al Sandman di Gaiman? "Quel fumetto americano"... E chi altri può essere, se non la saga anni '90 dalle vignette gotiche? 

Anche se mi rimane il rammarico di un'edizione gustata a metà, anche questo Trieste Science+Fiction ha confermato la qualità della proposta e del pubblico: in faccia ai blogger che vedo malignare sulla presunta "fine" della fantascienza (una fine che va detto, non fanno nulla per contrastare, se non piangendosi addosso).

2 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Per vari motivi ci sono potuto essere, per questo motivo il tuo post me lo sono divorato immediatamente.
La conferenza su Dario Argento conferma quello che penso di lui. Per quanto gli voglia bene, lo sto vedendo molto invecchiato.

Coscienza ha detto...

@Marco Grande Arbitro
Eri al Trieste Science+Fiction? Avremmo potuto vederci!
(Anche se ero ancora in lutto post Lucca Comics...)

Argento era davvero simpatico, anche se un po' scazzat(ell)o. Secondo me dovrebbero lasciarlo libero di occuparsi di lirica come in fondo desidera...