lunedì 18 gennaio 2016

Arma Infero - Il Mastro di Forgia, di Fabio Carta


Del seguente romanzo ho ricevuto una review copy. L'autore, Fabio Carta, mi aveva contattato via mail per chiedermi un'opinione sul romanzo, ancora l'estate scorsa. Non ho francamente idea se l'aver comprato o meno un'opera influisce sull'attendibilità della recensione. Sostenendo, come in ogni mia recensione, i vari pregi e difetti con citazioni e appositi argomenti, non credo che la mia opinione sia stata influenzata, ma per amore della chiarezza vi avverto comunque.

Muareb è un pianeta desertico e arido, un Marte flagellato da tempeste radioattive.
Nel passato, questa palla di sabbia è stata terraformata dagli umani, trasformata in un pianeta vivo e ospitale, dove la zootecnica ha creato piante e animali adatti alla sopravvivenza. La bestia che ha popolato Muareb è stata il Fauno, un animale d'allevamento in grado di produrre uova, latte e pelliccia, caratteristico per le corna ondulate e il becco uncinato. I primi esperimenti di Fauno, abbandonati nell'ambiente inospitale del pianeta morirono uno a uno, tranne che per un mitico sopravvissuto, un Fauno che resistette ai predatori e divenne egli stesso predatore per eccellenza: il Pagan. La società dei Padri di Muareb sviluppò col passare del tempo un culto guerriero che considerava il Pagan come un Dio.

Il romanzo parte con un flashback. Il protagonista, Karan, è un vecchio che sopravvive in una Muareb devastata da un olocausto nucleare. A una platea di deformi sopravvissuti racconta di come egli abbia realmente conosciuto il Lakon di cui parlano come un mito quando ancora giovane maniscalco lavorava nella Muareb pre apocalisse. Un alieno umanoide, dal volto e gli organi artificiali, Lakon, era stato catturato dai cavalieri per cui Karan fabbricava armi e armature. E da quell'episodio, Lakon era diventato poi l'essere che tutti conoscono, il Martire Tiranno conosciuto nelle stelle più lontane. Si snoda così una lunga avventura in prima persona di Karan e Lakon, dalla cerca del Pagan, alla guerra contro i Mercanti, alle tortuose vicende che condurranno Karan all'essere il vecchio che racconta la vicenda.


Muareb all'epoca della giovinezza di Karan possiede una società ancora tecnologicamente avanzata, ma irrigidita in un ancient regime di ceti e caste guerriere. I cavalieri, cui Karan aspira a essere parte, governano con pugno di ferro insediamenti dispersi nei Calanchi, dipendenti dalle riserve idriche collegate alle condutture ai Poli. E' una società di ceti, dove la mobilità sociale è inesistente, e per quanto importante, il denaro è svalutato alla pari delle arti tecniche. I cavalieri sono così chiamati perchè cavalcano gli zodion, cavalcature artificiali via di mezzo tra un cavallo e una motocicletta. Provate a immaginare una moto moltiplicata per tre, dalla struttura che ricordi anziché un cavallo, il fauno prima descritto. Questo è lo zodion, il veicolo per eccellenza di Muareb, nella sua versione militare sovralimentato da una turbina a microfusione. Come gli antichi cavalieri della Terra, la Falange di Muareb cavalca in battaglia sugli zodion, travolgendo milizie e lancieri tramite una griglia di deflessione, in sostanza un campo energetico che rende possibili queste donchisciottesche cariche lancia in resta. Dell'intero worldbuilding di Fabio Carta, gli zodion sono l'elemento su cui spende più pagine e più dettagli tecnici. Per le esigenze della recensione, basti tener conto che si tratta di una cavalleria meccanizzata, di stampo religioso (il culto del Pagan, per quanto vietato dalla modernizzazione è ancora vivo nella nobiltà), che sebbene superata in ricchezza dal ceto dei mercanti, mantiene un notevole monopolio sull'arsenale militare di Muareb, dalla contraerea, ai bombardamenti, alle armi nucleari delle cui distruttive conseguenze vediamo l'effetto nel preambolo.
Al di fuori dei feudi dei cavalieri, il mondo di Muareb pre-apocalisse è in viva crescita: possiamo chiaramente vedere come il ceto dei mercanti si stia rendendo conto di produrre tutta la ricchezza del paese, in contrasto con un ceto, quale quello dei cavalieri, che può tenerli in scacco solo in virtù della forza delle armi e della tradizione. Altri insediamenti e altri stati hanno poi sviluppato governi ed economie caratteristiche del capitalismo e del liberalismo ai suoi primi passi, tra la seconda metà del Settecento e i primi dell'Ottocento in Inghilterra.
Il fatto tuttavia che l'intero romanzo sia filtrato dal punto di vista di Karan rende la narrazione ostile verso questi “mercanti” cui si rimprovera (non a torto) lo sfruttamento, il relativismo, la vigliaccheria, l'oppressione del più ricco sul più debole. Nonostante sia fatto cavaliere solo a metà romanzo, Karan è un tradizionalista che contrappone la comunità (prima della Forgia, in seguito dei cavalieri) all'individualismo distruttivo dei Mercanti, che pur non muovendo guerre percepisce danneggiano l'anima e i valori delle comunità dei Calanchi. 
La Muareb di Fabio Carta non è pertanto in declino, o medievale, ma decisamente moderna (1500-1700): che la società descritta stia lentamente cambiando è reso ancora più interessante dal fatto che però tecnologicamente gli zodion dei cavalieri restano ineguagliati, dando loro una forza sproporzionata al loro ruolo effettivo.

Contrapposto a Karan, Lakon è un alieno sotto ogni aspetto: non è umano, non conosce Muareb (o almeno i Calanchi dove vive Karan), non ha sentimenti o logica umana. Riconosciamo in questo futuro Dio solo un'estrema razionalità, da macchina, che nei momenti tuttavia “di svolta” della trama cede a impulsi senza ragione, dal concedersi sentimenti umani a lanciarsi nella mischia. In effetti, guardando le decine (centinaia?) pagine di dialogo tra lui e Karan, dove il secondo lo introduce e lo deduce della società dei cavalieri, comprendiamo che il suo ruolo almeno nella prima parte è d'infodump vivente, quel genere di personaggio fantoccio che spiega il mondo creato dall'autore.
L'effetto tuttavia risulta piuttosto pesante, il che ci porta al primo difetto del romanzo...

… e cioè l'infodump. Il sovraccaricare la nostra umana memoria con valanghe su valanghe di dettagli, introdotti in modo brutale. Tutti i primi due terzi del romanzo sono alla fine un saggio sul mondo di Muareb, dove le azioni effettive dei personaggi si potrebbero ridurre a una ventina scarsa di cartelle. Se anche togliamo dal romanzo i dialoghi geografici e storici tra Lakon e Karan, resta un'infinita catena di digressioni della voce narrante che non si limitano a pochi paragrafi ma proseguono per interi, lunghi capitoli.
Karan si volta alla finestra? Facciamo partire un paragrafo d'approfondimento sulla finestra e sull'architettura del luogo.
Karan vede uno zodion civile? Parliamo per almeno otto pagine degli zodion civili.
E Kalan vede uno zodion militare? Parliamo allora per almeno venti pagine degli zodion militari, della loro corazzatura, tecnologia, aspetto, colore, armamento, storia, storia di fabbricazione, mobilità sul terreno, quale tipo di terreno, a quali riparazioni provvedere se il terreno l'ha danneggiato ecc ecc
Non fraintendiamoci: nessuno di questi approfondimenti è mal scritto, improbabile o ridicolo. Il mondo di Muareb è un mondo a trecentosessanta gradi, costruito con evidente amore dall'autore. Tuttavia, a differenza che in un film o in fumetto, le panoramiche e i paesaggi risultano pesanti se descritte in minuzia a scapito dell'azione dei personaggi. Non è inoltre ragionevole “frenare” la tensione e l'aspettativa per gli eventi più importanti della storia con paragrafi di notifiche tecniche e scientifiche, per quanto queste possano risultare attendibili.
Una citazione, nemmeno tra le più lunghe, in cui Karan descrive la piana di Bastian:
Percorremmo quindi con calma la rampa, una ripida salita in pietra sdrucciolevole perennemente battuta dal gelido vento polare che ci soffiava contro, che dal cratere portava al livello sovrastante; e quando ci disponemmo in formazione a cuneo per avanzare verso nord, potemmo infine ammirare in tutta la sua deprimente vastità la piana di Bastian. Essa era un’immensa, scura distesa basaltica che nulla aveva in comune con la morfologia calcarea della fascia dei calanchi, un falsopiano dalle remote origini vulcaniche coperto da polvere, sassi, ghiaccio e placche d’ardesia, una terra variegata eppur egualmente piatta e monotona, sotto la quali si celavano vecchissimi campi minati, la cui disposizione c’era nota grazie alle carte forniteci dai miliziani, non contando che le obsolete mine, vecchie forse di decenni, furono facilmente localizzate dai nostri scanner. La piana s’incuneava profondamente nella desolazione subpolare boreana, coincidendo con un saliente dell’antico fronte di guerra contro i Magog, quando la linea della tregua si era poi cristallizzata in frontiera.

E la descrizione non si ferma, ma prosegue ancora e ancora.
Spesso, leggendo, mi sono ritrovato a implorare che Karan realmente facesse qualcosa, anziché ciondolare a chiacchierare con Lakon e a discutere l'ennesimo infodump sul mondo di Muareb.
Oltre che alla ricostruzione visiva di Muareb, il problema si allarga ai sentimenti e agli umori di Karan, descritti anch'essi per numerose cartelle, con grande spreco di termini astratti che vengono presto a noia. Il che ci porta al secondo difetto del romanzo...

… e cioè, lo stile di scrittura. In sostanza, Arma Infero è un romanzo di fantascienza scritto con uno stile molto tradizionale, tipico sia dei classici che dell'High Fantasy. Nell'introduzione, interviene un narratore onnisciente, dal flashback in poi una prima persona molto narrata, incline come detto a divagare alla pari di un diarista. Come con il primo difetto che lamentavo, l'infodump, non c'è nulla di realmente scorretto: ogni scrittore usa lo stile che più gli aggrada e approfondisce quanto vuole la storia che vuole scrivere. Tuttavia, se a estesi approfondimenti sommiamo uno stile elaborato e pomposo, il lettore si stufa presto. L'uso continuo degli avverbi, di periodi complicati e contorti e di espressioni continuamente auliche mettono a dura prova la pazienza del lettore. 
Ripeto, a scanso di equivoci: sia dal punto di vista della grammatica, che del lessico il romanzo è perfetto. Pur provenendo da una casa editrice agguerrita, ma piccola come la Inspired Digital Publishing, non vi sono errori di battitura, ortografici, grammaticali.
La padronanza del mezzo scritto è eccezionale, ma totalmente asservita a uno stile il più possibile alto.
Il tono arrogante di chi narra, cioè Karan, a volte risulta comico, tant'è elevato:
Non mi salutò con parole o con gesti, ma mi lanciò una sconvolgente occhiata civettuola, e mentre s’allontanava seppi che il mio cuore era già suo.
Ah! Emozioni.
Lakon custodiva le sue sensazioni come fonti ermeneutiche da anteporre al raziocinio, come stimoli interpretativi necessari a una cognizione il più possibile coerente alla verità dei fatti, come filtri per una selezione funzionale della memoria. Si ricorda solo quello che serve – sosteneva – e sono le emozioni a stabilirlo.

Un altro esempio tra i tanti:
Cercando di dare il meno possibile nell'occhio, ma scorgendo lo stesso gli sguardi sospettosi di alcuni contadini guardinghi, scivolammo in un corridoio dando risibile sfoggio d’una noncuranza platealmente inesistente.

Risibile. Sfoggio. D'una. Noncuranza. Platealmente. Inesistente.
Certo, il passaggio citato è corretto, ma quegli accostamenti, quegli avverbi mozzano il respiro al lettore. Non ci soffermiamo poi sulle “fonti ermeneutiche” e la Sconvolgente Occhiata Civettuola della prima citazione. E' un modo di scrivere pesante, ampolloso.
Certo, Karan stesso si scusa per risultare noioso, ma ciò non cancella il fatto che sia davvero noioso per il lettore. Per altro, i “volete?” che preannunciano un approfondimento finiscono per risultare minacciosi, perchè preludono ad altre pagine di divagazioni.
Ora però, come vi avevo già precedentemente annunciato, è d’uopo una descrizione più approfondita dello zodion da guerra nell’accezione generale, o meglio del suo peculiare telaio, ché se della meccanica del rotismo epicicloidale della trazione ho già detto a tempo debito, quando v’ho lungamente descritto lo zodion civile – la soma – ora mi dovrete perdonare se vi tedierò ancora con qualcuno dei miei pedanti tecnicismi.
In fondo questa mia digressione sarà anche occasione per mettere da parte l’aspro ricordo di quel giorno, del grande e inaspettato successo di Lakon, a fronte della mia meschina condotta, della mia invidia che m’aveva roso all’ombra della celebrazione del mio amico. Concentriamoci sullo zodion, dunque; volete?

Dalla prima battaglia del romanzo in poi, la narrazione accelera. Le scene di combattimento sugli zodion sono bene descritte, veloci al punto giusto, piuttosto sanguinose. La vicinanza che si prova (nolenti) con Karan dà i suoi frutti, avvicinando allo scontro, dando la sensazione della carica, dei colpi sulla griglia di deflessione, i veicoli in fiamme, i colpi delle armi ecc ecc
Tuttavia, per arrivare a ciò, occorre superare lo sbarramento del resto del romanzo e anche così, dopo la battaglia, qualsiasi parvenza di azione scompare a favore della narrazione. Questo da un buon indizio di cosa avrebbe potuto essere il romanzo e cosa può ancora essere nel seguito: una storia emozionante in un medioevo futuristico e violento.


Altri recensori consigliavano di sfoltire il testo, riscrivendolo in una versione “alleggerita”. Non sono sicuro sia questa la strada giusta: in primo luogo, stile e approfondimenti sono molto legati nel romanzo, è un'unità difficilmente “divisibile”. In secondo luogo è vero che molto del fascino di Arma Infero derivi proprio dal suo essere un libroostico”, una sorta di Dune wanna be. L'autore ha chiaramente scelto di scrivere con questo stile e con questo ritmo di propria scelta, con buone ragioni.  Mi limito a sottolineare che sono scelte che determinano un romanzo molto “difficile”, senza che da questa difficoltà derivi un progresso per il lettore. Vorrei sperare che nel seguito si decida almeno di far agire di più Karan e Lakon, approfittando delle fondamenta di wordlbuilding già stese in questo primo romanzo.  

Fonti: 
Arma Infero (sito dell'autore e della casa editrice) 

2 commenti:

LorenzoD ha detto...

Queste sono il genere di recensioni che aiutano uno scrittore!

Coscienza ha detto...

@LorenzoD
Si fa il possibile! :-D E' utile in questi casi prendere già appunti mentre si legge il testo, in modo che l'impressione "finale" non elimini eventuali osservazioni di passaggio...