mercoledì 17 ottobre 2012

La belle dame sans merci


Brevissimo frammento di racconto che forse in futuro amplierò. L'ambientazione è una città italiana postapocalittica, sprofondata in un cyberpunk feudale.
Se vi va commentate su come vi sembra. Confuso? noioso? Esageratamente descrittivo? Ecc. 

La belle dame sans merci

Cigola, l'armatura. Stringo la mano sull'impugnatura della spada, la sfodero con delicatezza da fanciullo: con secca stoccata la pianto nell'assise del pavimento in legno intagliato. Piego la gamba, affondo la ginocchiera nel tappeto di finissima seta. Un lento stillare d'olio antiruggine macchia il tessuto bianco.
Lentissimamente, m'inchino.

- Cavaliere -

Una parola, una grazia. 
Acuto tintinnio di cucchiaini e tazzine, lieve deglutire, schioccare soddisfatto di labbra: cauto, alzo la testa.
La Dama stringe fra mignolo e indice una tazzina di fragile porcellana cinese, sorseggia a brevi sorsi il liquido ambrato. Mantengo l'inchino, mano stretta a pugno sull'armatura, croce dinnanzi.
Ci fissiamo. Per un bel po'.
Sospira. 

- Cavaliere... Non sei nemmeno in grado di fissarmi? -

Allunga una mano dalle perfette unghie, mi alza il mento. Le sue iridi nere mi si piantano nel cranio. Scivolo con l'attenzione sulla ribelle ciocca di capelli rossa che spunta all'angolo del viso, dalla cuffia bianco latte. 
I raggi del sole dalla finestra gotica alle sue spalle le indorano il capo. Infinita aureola. 
Sospira, per la seconda volta. 

- No. Non lo sei. Dimmi, allora- appoggia il mento sottile sui palmi delle mani, cerca ancora il mio sguardo, da dietro gli occhialoni a pesante montatura. - Quali imprese hai compiuto in mio nome? -
Già, quali? Quali e quante raccontare? 

- La gang all'inizio Viale, sconfitta. Il cavaliere del tramonto, trucidatore di barboni e artisti da strada, ucciso. La Bestia del Giardino pubblico, divoratore d'innocenti passanti, scovata e distrutta. L'islamico bombarolo...-

Dilata gli occhi, si mordicchia il labbro. Splendida, ingenua apprensione. 

- E sei rimasto ferito? -

Se lo sono? Avete mai presente, dolce Dama, cosa voglia dire affrontare nell'esoscheletro arrugginito di una corporazione da quattro soldi un intero branco di drogati con mitragliatrici e pistole? Cosa voglia dire affrontare un'orda di teste di stracci islamiche, che caricano e urlano, versetti del corano sulle labbra? Cosa voglia dire ricevere dritto nel costato una lama arrugginita, sentire un proiettile dilaniare meccanismi e acciaio dell'armatura, piantarsi vigliacco nella carne, mentre ancora aspetti d'attaccare, armato della tua sola spada, perché recita il tuo maledetto codice cavalleresco, le armi da tiro son roba da codardi!

- Nulla di grave, mia Dama -

- Bene. - S'infilò su per il naso gli occhiali, raddrizzò la schiena flessuosa, strinse le mani – Ho deciso di sposare Luca, alla fin fine. Lo amo: che ne pensi? -

La bocca è secca, d'improvviso respirare diventa difficile. Mormoro, mi sforzo d'imprimere un ansito di vitalità nella voce bassa all'esagerazione:

- Intendi... il ricco mercante? Quel pallone gonfiato- l'insulto esce naturale, come se già il mio cervello l'avesse programmato con largo anticipo – che vive nelle rovine delle Torri, l'antico centro commerciale? -

La Dama annuisce, compiaciuta. Mi regala un sorriso, minuscola cattedrale d'avorio lavorato.

- Esatto, solo lui mi capisce... Ehi, hai detto pallone gonfiato? - Alza il sopracciglio, fremito all'angolo delle labbra.

- Feccia borghese, se preferisci. Affarista senza scrupoli. Codardo senza spina dorsale -

Rispondo in modo secco, affilato: con peso al cuore, mi mordo la lingua. Un po' troppo tardi, per fermare la catena d'insulti. 
La Dama trema, accende con tremito delle mani una preziosa sigaretta, portabocchino lavorato in oro. L'aroma dell'antico tabacco mi sollecita le narici, quando immersa in una boccata di fumo bianco sospira. Per la terza volta. 

- Non è un mercante, è un banchiere. E non spetta a te, Cavaliere, giudicarmi. Io l'amo. Lui è il futuro, non cigola in giro con vecchie armature e sciocchi discorsi di romanticismo -

- Banchiere- Mi spacco la faccia sporca di sangue e barba ispida in un sogghigno – Iniziò così la guerra, ne sei conscia, vero? Con la Crisi economica, e tutto per un branco di banchieri -

- Sciocchezze! - Getta la sigaretta finita a metà sul pavimento lucido, mozzicone bruciato per cui gli straccioni nelle strade s'accoltellerebbero volentieri – Sei invidioso, Cavaliere. Ma l'amore, capisci – Si china a fissarmi in faccia. Volentieri affogo, nei suoi occhi neri – Non è qualcosa che puoi comprare con belle azioni e gesti d'eroismo -

- E' vero.- Annuisco- A quanto pare, nel caso di Luca, è qualcosa che puoi comprare con i soldi. Dimmi, quanto ti costa vivere in questo modo, fra lusso e comodità? -

- Parecchio- Si tira una ciocca di capelli ribelle – Ma non è come pensi. Lo amo, Cavaliere. Non puoi comprenderlo, e darci un taglio? -

Mi fissa. La fisso. Ancheggiando con grazia, si dirige alla tastiera in plastica nero lucido, clicca con il mouse un paio di volte. La preghiera Windows 8 cinguetta in sottofondo, quando accende l'antico computer.  Scorgo la sagoma di una mappa satellitare, bianco e nero di figure che si agitano e muovono.

- Ecco, Cavaliere. Mutanti alle spiagge radioattive, al nord della città. Nuove bande di dodicenni drogati nel Centro. Una lucertola gigante avvistata nel Carso. -

- Un Drago- la correggo automaticamente.-Quegli archivi sono ancora aggiornati al vecchio mondo pre crisi -

- Che c'entra? Vai, Cavaliere e sconfiggili. E torna solo allora -

- E quando? -

- E quando sarai tornato, mi sarò già sposata, relitto arrugginito. Ma va'! - M'indica con la mano l'uscita. - Sconfiggili pure in mio nome, se ti fa sentire meglio! -

Costringo i servomeccanismi a muoversi, l'armatura, l'esoscheletro nel vecchio dizionario, lamenta ingranaggi consunti, stringhe sfilacciate, batterie al lumicino. Rinfodero la spada, fluido movimento consunto. 

- Sai, Gloriana:- assaporo il nome-  nel Medioevo ci chiamavano cavalier serventi. Poi, man mano che l'industria avanzava, diventammo l'uomo zerbino, il sognatore, l'ometto gentile, ma noioso. E furono banchieri come Luca a chiamarci così. Banchieri e mercanti, che trattavano donne e servi come oggetti d'arredamento, paramenti di cui vantarsi. Cerca di ricordartelo, prima d'ogni passo avventato -

Voltai l'armatura, mi avviai fuori.
L'istante prima d'uscire sentii una tazza di thè che veniva frantumata sul muro. 





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