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lunedì 5 settembre 2016

La Narnia maschile di C. S. Lewis e la Narnia femminile di Pauline Baynes


E' consolante come da bambino si apprezzi una storia per quello che al fondo è, cioè una storia, bella o brutta. Solo successivamente, con un bagaglio culturale alle spalle, ci si rende conto di quanto un autore avesse insistito su quella metafora, su quell'allegoria, su quel messaggio ecc ecc
Tuttavia, a una lettura “ingenua” nulla di tutto ciò emerge, ci si limita a leggere e gustare l'avventura. Non è un'ammissione d'ignoranza, ma al contrario una rassicurazione su come, per l'ennesima volta, non si debba considerare il bambino come un idiota che assimila qualsiasi ideologia gli si proponga, ma anzi, un soggetto che sa badare a ciò che conta per davvero, protagonisti e trama. Nel caso in questione, un bambino che legge Il leone, la strega e l'armadio, non riconoscerà mai l'allegoria cristiana dietro, per altro molto spicciola – il dolcetto turco per il frutto proibito del Giardino dell'Eden, il leone Aslan come Gesù, la sua morte e resurrezione come una Via crucis fantasy ecc ecc – si limiterà invece a leggere una storia che troverà divertente. Se anche uscisse fresco fresco da quel tempio dell'inutilità che è l'oratorio, non riconoscerà mai l'allegoria. Valuterà il romanzo in base all'intrattenimento e alla piacevole immedesimazione che gli permette; senza dubbio da quel punto di vista C. S. Lewis è un bravo narratore, piacevolissimo.

Man mano che le Cronache di Narnia proseguono e le invettive di Lewis aumentano, quest'incapacità del bambino di percepire il sotto fondoideologico” si rivela sempre più fortunata.
Consideriamo ad esempio il penultimo libro, La Sedia d'Argento. Scomparsa l'epica alla Tolkien del primo libro, come il gusto per la scoperta e l'avventura metafisica del Viaggio del veliero, La Sedia d'Argento già preavverte la pesantezza morale de L'Ultima Battaglia. Dietro gli animali parlanti e le battutine che un rimbambito pronuncerebbe, ma non un bambino, Lewis sta diventando un rauco urlatore, un pensionato reazionario. Un giudizio eccessivo? Torniamo alla Sedia d'Argento, e (purtroppo) vediamolo confermato fin dalle prime righe.
Eustachio, il ragazzo “nuovo” nel Viaggio del veliero, è ora studente di una prestigiosa scuola d'élite, dove ha stretto amicizia con uno scricciolo di ragazza chiamata Jill Pole.
Già dal primo capitolo, “Dietro la palestra”, vediamo confermato come alla lettura del testo corrispondano due diverse interpretazioni, a seconda che il lettore sia un bambino, o un novello analfabeta, o sia invece un adulto più smaliziato.
Nel primo caso, da quanto ricordavo alle medie, Eustachio frequenta una scuola sgradevole e grigia, dov'è pieno di bulli e dove il corpo insegnanti è passivo, completamente disinteressato a punire i cattivi. Questa è la visione base, di chi legge prestando attenzione alla storia.
Rileggendo invece La Sedia d'Argento avanti cogli anni, le intromissioni e le gomitate del narratore onnisciente (cioè, Lewis stesso) risultano oltremodo fastidiose. Non ci si limita a spezzare l'immersione, a rovinare la lettura: sembra di assistere a una bel discorso continuamente interrotto da un urlatore che megafono alla mano deve spiegarti come stanno le cose.
Ora, dal momento che la storia che sto per raccontarvi non ha niente a che vedere con la scuola, vi darò solo qualche piccola informazione sull'Istituto di Jill: il che, detto fra noi, non è un argomento piacevole.

mercoledì 17 ottobre 2012

La belle dame sans merci


Brevissimo frammento di racconto che forse in futuro amplierò. L'ambientazione è una città italiana postapocalittica, sprofondata in un cyberpunk feudale.
Se vi va commentate su come vi sembra. Confuso? noioso? Esageratamente descrittivo? Ecc. 

La belle dame sans merci

Cigola, l'armatura. Stringo la mano sull'impugnatura della spada, la sfodero con delicatezza da fanciullo: con secca stoccata la pianto nell'assise del pavimento in legno intagliato. Piego la gamba, affondo la ginocchiera nel tappeto di finissima seta. Un lento stillare d'olio antiruggine macchia il tessuto bianco.
Lentissimamente, m'inchino.

- Cavaliere -

Una parola, una grazia. 
Acuto tintinnio di cucchiaini e tazzine, lieve deglutire, schioccare soddisfatto di labbra: cauto, alzo la testa.
La Dama stringe fra mignolo e indice una tazzina di fragile porcellana cinese, sorseggia a brevi sorsi il liquido ambrato. Mantengo l'inchino, mano stretta a pugno sull'armatura, croce dinnanzi.
Ci fissiamo. Per un bel po'.
Sospira. 

- Cavaliere... Non sei nemmeno in grado di fissarmi? -

Allunga una mano dalle perfette unghie, mi alza il mento. Le sue iridi nere mi si piantano nel cranio. Scivolo con l'attenzione sulla ribelle ciocca di capelli rossa che spunta all'angolo del viso, dalla cuffia bianco latte. 
I raggi del sole dalla finestra gotica alle sue spalle le indorano il capo. Infinita aureola. 
Sospira, per la seconda volta. 

- No. Non lo sei. Dimmi, allora- appoggia il mento sottile sui palmi delle mani, cerca ancora il mio sguardo, da dietro gli occhialoni a pesante montatura. - Quali imprese hai compiuto in mio nome? -
Già, quali? Quali e quante raccontare? 

- La gang all'inizio Viale, sconfitta. Il cavaliere del tramonto, trucidatore di barboni e artisti da strada, ucciso. La Bestia del Giardino pubblico, divoratore d'innocenti passanti, scovata e distrutta. L'islamico bombarolo...-

Dilata gli occhi, si mordicchia il labbro. Splendida, ingenua apprensione. 

- E sei rimasto ferito? -

Se lo sono? Avete mai presente, dolce Dama, cosa voglia dire affrontare nell'esoscheletro arrugginito di una corporazione da quattro soldi un intero branco di drogati con mitragliatrici e pistole? Cosa voglia dire affrontare un'orda di teste di stracci islamiche, che caricano e urlano, versetti del corano sulle labbra? Cosa voglia dire ricevere dritto nel costato una lama arrugginita, sentire un proiettile dilaniare meccanismi e acciaio dell'armatura, piantarsi vigliacco nella carne, mentre ancora aspetti d'attaccare, armato della tua sola spada, perché recita il tuo maledetto codice cavalleresco, le armi da tiro son roba da codardi!

- Nulla di grave, mia Dama -

- Bene. - S'infilò su per il naso gli occhiali, raddrizzò la schiena flessuosa, strinse le mani – Ho deciso di sposare Luca, alla fin fine. Lo amo: che ne pensi? -

La bocca è secca, d'improvviso respirare diventa difficile. Mormoro, mi sforzo d'imprimere un ansito di vitalità nella voce bassa all'esagerazione:

- Intendi... il ricco mercante? Quel pallone gonfiato- l'insulto esce naturale, come se già il mio cervello l'avesse programmato con largo anticipo – che vive nelle rovine delle Torri, l'antico centro commerciale? -

La Dama annuisce, compiaciuta. Mi regala un sorriso, minuscola cattedrale d'avorio lavorato.

- Esatto, solo lui mi capisce... Ehi, hai detto pallone gonfiato? - Alza il sopracciglio, fremito all'angolo delle labbra.

- Feccia borghese, se preferisci. Affarista senza scrupoli. Codardo senza spina dorsale -

Rispondo in modo secco, affilato: con peso al cuore, mi mordo la lingua. Un po' troppo tardi, per fermare la catena d'insulti. 
La Dama trema, accende con tremito delle mani una preziosa sigaretta, portabocchino lavorato in oro. L'aroma dell'antico tabacco mi sollecita le narici, quando immersa in una boccata di fumo bianco sospira. Per la terza volta. 

- Non è un mercante, è un banchiere. E non spetta a te, Cavaliere, giudicarmi. Io l'amo. Lui è il futuro, non cigola in giro con vecchie armature e sciocchi discorsi di romanticismo -

- Banchiere- Mi spacco la faccia sporca di sangue e barba ispida in un sogghigno – Iniziò così la guerra, ne sei conscia, vero? Con la Crisi economica, e tutto per un branco di banchieri -

- Sciocchezze! - Getta la sigaretta finita a metà sul pavimento lucido, mozzicone bruciato per cui gli straccioni nelle strade s'accoltellerebbero volentieri – Sei invidioso, Cavaliere. Ma l'amore, capisci – Si china a fissarmi in faccia. Volentieri affogo, nei suoi occhi neri – Non è qualcosa che puoi comprare con belle azioni e gesti d'eroismo -

- E' vero.- Annuisco- A quanto pare, nel caso di Luca, è qualcosa che puoi comprare con i soldi. Dimmi, quanto ti costa vivere in questo modo, fra lusso e comodità? -

- Parecchio- Si tira una ciocca di capelli ribelle – Ma non è come pensi. Lo amo, Cavaliere. Non puoi comprenderlo, e darci un taglio? -

Mi fissa. La fisso. Ancheggiando con grazia, si dirige alla tastiera in plastica nero lucido, clicca con il mouse un paio di volte. La preghiera Windows 8 cinguetta in sottofondo, quando accende l'antico computer.  Scorgo la sagoma di una mappa satellitare, bianco e nero di figure che si agitano e muovono.

- Ecco, Cavaliere. Mutanti alle spiagge radioattive, al nord della città. Nuove bande di dodicenni drogati nel Centro. Una lucertola gigante avvistata nel Carso. -

- Un Drago- la correggo automaticamente.-Quegli archivi sono ancora aggiornati al vecchio mondo pre crisi -

- Che c'entra? Vai, Cavaliere e sconfiggili. E torna solo allora -

- E quando? -

- E quando sarai tornato, mi sarò già sposata, relitto arrugginito. Ma va'! - M'indica con la mano l'uscita. - Sconfiggili pure in mio nome, se ti fa sentire meglio! -

Costringo i servomeccanismi a muoversi, l'armatura, l'esoscheletro nel vecchio dizionario, lamenta ingranaggi consunti, stringhe sfilacciate, batterie al lumicino. Rinfodero la spada, fluido movimento consunto. 

- Sai, Gloriana:- assaporo il nome-  nel Medioevo ci chiamavano cavalier serventi. Poi, man mano che l'industria avanzava, diventammo l'uomo zerbino, il sognatore, l'ometto gentile, ma noioso. E furono banchieri come Luca a chiamarci così. Banchieri e mercanti, che trattavano donne e servi come oggetti d'arredamento, paramenti di cui vantarsi. Cerca di ricordartelo, prima d'ogni passo avventato -

Voltai l'armatura, mi avviai fuori.
L'istante prima d'uscire sentii una tazza di thè che veniva frantumata sul muro.