lunedì 5 settembre 2016

La Narnia maschile di C. S. Lewis e la Narnia femminile di Pauline Baynes


E' consolante come da bambino si apprezzi una storia per quello che al fondo è, cioè una storia, bella o brutta. Solo successivamente, con un bagaglio culturale alle spalle, ci si rende conto di quanto un autore avesse insistito su quella metafora, su quell'allegoria, su quel messaggio ecc ecc
Tuttavia, a una lettura “ingenua” nulla di tutto ciò emerge, ci si limita a leggere e gustare l'avventura. Non è un'ammissione d'ignoranza, ma al contrario una rassicurazione su come, per l'ennesima volta, non si debba considerare il bambino come un idiota che assimila qualsiasi ideologia gli si proponga, ma anzi, un soggetto che sa badare a ciò che conta per davvero, protagonisti e trama. Nel caso in questione, un bambino che legge Il leone, la strega e l'armadio, non riconoscerà mai l'allegoria cristiana dietro, per altro molto spicciola – il dolcetto turco per il frutto proibito del Giardino dell'Eden, il leone Aslan come Gesù, la sua morte e resurrezione come una Via crucis fantasy ecc ecc – si limiterà invece a leggere una storia che troverà divertente. Se anche uscisse fresco fresco da quel tempio dell'inutilità che è l'oratorio, non riconoscerà mai l'allegoria. Valuterà il romanzo in base all'intrattenimento e alla piacevole immedesimazione che gli permette; senza dubbio da quel punto di vista C. S. Lewis è un bravo narratore, piacevolissimo.

Man mano che le Cronache di Narnia proseguono e le invettive di Lewis aumentano, quest'incapacità del bambino di percepire il sotto fondoideologico” si rivela sempre più fortunata.
Consideriamo ad esempio il penultimo libro, La Sedia d'Argento. Scomparsa l'epica alla Tolkien del primo libro, come il gusto per la scoperta e l'avventura metafisica del Viaggio del veliero, La Sedia d'Argento già preavverte la pesantezza morale de L'Ultima Battaglia. Dietro gli animali parlanti e le battutine che un rimbambito pronuncerebbe, ma non un bambino, Lewis sta diventando un rauco urlatore, un pensionato reazionario. Un giudizio eccessivo? Torniamo alla Sedia d'Argento, e (purtroppo) vediamolo confermato fin dalle prime righe.
Eustachio, il ragazzo “nuovo” nel Viaggio del veliero, è ora studente di una prestigiosa scuola d'élite, dove ha stretto amicizia con uno scricciolo di ragazza chiamata Jill Pole.
Già dal primo capitolo, “Dietro la palestra”, vediamo confermato come alla lettura del testo corrispondano due diverse interpretazioni, a seconda che il lettore sia un bambino, o un novello analfabeta, o sia invece un adulto più smaliziato.
Nel primo caso, da quanto ricordavo alle medie, Eustachio frequenta una scuola sgradevole e grigia, dov'è pieno di bulli e dove il corpo insegnanti è passivo, completamente disinteressato a punire i cattivi. Questa è la visione base, di chi legge prestando attenzione alla storia.
Rileggendo invece La Sedia d'Argento avanti cogli anni, le intromissioni e le gomitate del narratore onnisciente (cioè, Lewis stesso) risultano oltremodo fastidiose. Non ci si limita a spezzare l'immersione, a rovinare la lettura: sembra di assistere a una bel discorso continuamente interrotto da un urlatore che megafono alla mano deve spiegarti come stanno le cose.
Ora, dal momento che la storia che sto per raccontarvi non ha niente a che vedere con la scuola, vi darò solo qualche piccola informazione sull'Istituto di Jill: il che, detto fra noi, non è un argomento piacevole.

Lewis, taglia corto: hai appena usato tre righe solo per dire al lettore che parlerai di un argomento che non centra nulla con la storia (e allora, perché parlarne, diamine?), sgradevole (perchè sgradevole, poi?), con incredibili giri di parole e con “piccole” informazioni che occupano già metà pagina. Un record d'incompetenza, complimenti.
Era una scuola “polivalente” frequentata sia da ragazzi che da ragazze, e c'era chi affermava che più che polivalente fosse “confusa” come le idee e le teorie del corpo insegnante che la dirigeva.
Sì, sì, va bene: le classi miste sono il male assoluto, l'abbiamo compreso. E allora perché criticare la “polivalenza” della scuola, se è proprio questa sua caratteristica a permettere di riunire i due protagonisti, Eustachio e Jill? Se fosse stata una scuola solo maschile non avremmo avuto alcun incontro, ne alcuna storia (do per scontato che per Lewis sia impossibile iniziare la storia in un collegio solo al femminile). Non è la prima volta che nelle Cronache di Narnia i protagonisti agiscono con maggiore senno ed empatia del loro stesso creatore; un fatto a suo modo incoraggiante.
Vi sono poi le osservazioni che avevano senso negli anni '50, ma che oggigiorno perdono davvero significato:
– Scrubb, per chi mi prendi? – (Avrete sicuramente notato che allo Sperimentale gli alunni si chiamavano per cognome e non per nome.)
Cosa vuole insinuare?
Oppure, quest'altro passaggio, chiaramente non al passo coi tempi:
(Tornando ai bizzarri metodi di insegnamento adottati dallo Sperimentale, bisogna precisare che in quella scuola i ragazzi studiavano poco la matematica, il francese o il latino; in compenso, avevano imparato a darsela a gambe senza dare troppo nell'occhio a “quelli”.)
Perchè la matematica? Ritenevo che col termine “Sperimentale” Lewis se la volesse prendere con le discipline scientifiche, ma se anche la matematica viene tolta, la mia ipotesi storica cade a pezzi.
Chissà a cosa si riferiva, con un rant del genere: il latino è una lamentela comune, ma il francese?
Sul serio è mai stato insegnato in Inghilterra, superato l'Ottocento?
Voler usare un romanzo per argomentare una polemica personale espone all'oggettivo rischio di perdere ogni significato e rendersi ridicolo, scaduti un po' di anni, passate le mode.
E' francamente disturbante che una scuola che non punisce fisicamente i suoi alunni venga considerata “troppo moderna” e “confusa”.

Se non altro, almeno sappiamo che la scuola è piena di malvagi atei:
(Quando andavo a scuola io, dicevamo: “Lo Giuro sulla Bibbia”, ma allo Sperimentale gli insegnanti non parlavano mai della Bibbia ai ragazzi).
Cioè, qual'è la colpa? Attenersi ai programmi del corso? Non sfruttare la propria posizione in cattedra come un improvvisato pulpito? Lewis, sei davvero un meschino papista.

Ancora efficace e vero motivo dell'empatia del lettore verso Eustacio&Jill sono invece i bulli, la minaccia che rappresentano e l'inerzia delle istituzioni. Molti, se non tutti, siamo stati vessati da un bullo: se non è alle elementari, è alle medie, o ai primi anni delle superiori. Specie se si è bambini, simpatizzare con Eustachio è facile.
Non proprio tutto era lecito, eppure è certo che gli autori dei misfatti non venivano puniti e neppure esclusi dalla scuola. Il preside sosteneva che si trattasse di casi psicologici particolarmente interessanti, per cui mandava a chiamare i birbanti e chiacchierava con loro per ore.
Quante volte tutta la classe veniva punita per la colpa di un singolo?
Quante volte ci siamo sentiti come se davvero i professori, anziché aiutare, peggiorassero soltanto la situazione?
E quante volte il bambino “turbato”, “con problemi” riceveva un occhio di riguardo, un privilegio per motivi assolutamente nefandi.
La polemica contro la psicologia (come contro il sesso, di cui Lewis ha in realtà paura) è facilmente condivisibile. E' quanto ricordavo dalla prima lettura e quanto ritengo funzioni tutt'ora, senza perdersi in giochetti vari. Non ricordavo invece d'aver posto attenzione a Bibbia&Latino&Cognomi, chiaro segno che la polemica di Lewis non si traspone nel lettore. Il giovane prende dal romanzo quanto gli serve, quanto colpisce la sua immaginazione e lascia tutto il resto, pattume polemico compreso.

Un Unicorno, un Asino mascherato da Leone, dei finti soldati dell'ISIS di Calormen...
Eh, sì: è la Compagnia dei Dementi. 
La Sedia d'Argento trasferisce poi l'azione a Narnia; ancora un paio di capitoli e avevo già abbandonato la lettura, schifato dal narratore onnisciente, dalla vaghezza di descrizioni, nomi e azioni, dalla stupidità terribile dei dialoghi e dei personaggi. Persino i cattivi si comportavano in modo stupidamente cattivo: d'altronde già Moorcock aveva osservato come i cattivi del fantasy classico siano roba da cartoon, cattivi perché sì e nient'altro. Se non altro Lewis chiude quella sua boccaccia lasciandoci in pace a gustare il mondo di Narnia – anche se non resiste a fare quel genere di battute che gli adulti pensano da bambino e i bambini sanno da adulti rincoglioniti.
Dov'era quel senso di mistero, di sublime, di avventura di un mondo inesplorato e meraviglioso...
Altrettanto magicamente scomparso, fino a quando mi sono ricordato che al testo si affiancavano le figure. C'erano sì, nella versione che avevo letto alle medie, fedele fedele all'originale anni '60 inglese, un bel po' di illustrazioni.
Ah, i disegni dei libri d'infanzia... decisamente sottovaluti, disprezzati, oltraggiati!
Quanti “classici” dovremmo riconoscere come tali più per merito degli illustratori che di mediocri scrittori?
Perchè, nel caso in questione di Pauline Baynes, dobbiamo parlare poi d'illustratrice?
Perchè non darle dignità d'artista?
Considerando che le Cronache di Narnia sono tra i libri per l'infanzia più letti nel Regno Unito, probabilmente i suoi disegni sono più conosciuti di tanta schifezza post moderna ospitata in museo.
E scorrendo le illustrazioni sul suo sito, riconoscevo i luoghi mentali che avevo visitato e ritrovavo quella sensazione che avevo erroneamente cercato nei libri.
Suonerò un po' melodrammatico, ma non è commovente?
Avevo dato la precedenza alla parola, a Lewis, e mi ritrovavo a cedere il passo all'immagine, a Pauline Baynes.

La magnifica Pauline Baynes (2008)
Una scoperta tanto più bella se consideriamo che quel cazzone di Lewis si disinteressava di Pauline, considerava i disegni come un male necessario, una sventura ineliminabile: i due erano in pessimi rapporti da quando Lewis aveva confidato tra “amici” che la riteneva un'incompetente incapace di disegnare i leoni. Il suo noiosissimo “Aslan” in realtà è reso iconico proprio dalla matita di Pauline, come confermano generazione su generazione di bambini.
Non vi basta? Pauline Baynes disegnava anche per Tolkien, a sua volta noto amico per la pelle di Lewis. Tuttavia, a differenza di C. S. e del suo atteggiamento sdegnoso, il Professore di Oxford fu sempre grande amico di Pauline, lodandone più volte l'immenso lavoro. Egli stesso disegnatore dilettante e cartografo abilissimo, Tolkien sapeva bene come per un libro fantasy l'illustrazione interna non fosse un male, ma un bonus indispensabile. E Pauline, nella giovinezza, aveva lavorato come cartografa nell'esercito, durante la seconda guerra mondiale: le mappe per la stessa Narnia sono infatti disegnate con un certo gusto, a differenza dei pastrocchi odierni. Per darvi un'idea, Tolkien osservò che le illustrazioni per il Fattore Giles di Ham avevano “ridotto il mio testo a una didascalia del disegno”. Ovvero la parola era stata asservita all'illustrazione, ammissione sempre dura da fare per uno scrittore.

There and back again: a map of a Blogger's journey through The University of Mordor and Carso Land^^
Risolto l'enigma della Sedia d'Argento e nell'impossibilità di recuperare alcune storie secondarie, oggigiorno fuori produzione, volevo ancora leggere l'ultimo libro che conclude le Cronache dell'Ernia di Narnia: L'Ultima Battaglia.
Il nome sembrava piacevolmente guerresco, la premessa sufficientemente adulta: purtroppo, ancora una volta, i cattivi elementi superano i buoni in proporzioni non di 3 a 1, ma di 10 a 1, di 100 a 1...

Partiamo dalla questione morale: l'Apocalisse che distrugge Narnia deriva al nocciolo da una coppia di animali parlanti, una scimmia astuta, ma immorale e un asino stupido, ma onesto.
La scimmia finge di essere amica dell'asino, ma in realtà lo sfrutta crudelmente, costringendolo a servirlo e riverirlo in tutto per tutto. Al primo capitolo, la scimmia scopre la pelle di un leone ucciso da un cacciatore. La rappezza, la pulisce e la fa indossare all'asino. In accordo coi calormeniani (torneremo su Calormen, non temete) finge che l'asino sia il leone Aslan, sfruttandolo per imporre il suo dominio su Narnia. Con l'inganno, gli animali parlanti obbediscono agli ordini della scimmia, portavoce di Aslan: sono così costretti in schiavitù, uccisi, sfruttati per le malvagie opere industriali di Calormen... ora, già la premessa è di una stupidità allucinante, perchè solo un cieco o un demente non saprebbero distinguere tra un Leone che è anche un Dio, e un asino camuffato.

Il re scimmia, una grossolana allegoria anti-evoluzionista. 
Sorvoliamo, facciamo finta di nulla. Sulla morale però non transigo: non importa quanto ingenuo, l'asino si rende bene conto che sta facendo una malvagità. Sa bene che sta sbagliando, che non importa quanto amico gli sia la scimmia, fingere di essere qualcun'altro non si fa, è disonesto, è contro la legge, è un “peccato” se volete ecc ecc
Eppure l'asino accetta alla grande. Dall'inizio alla fine, si tiene addosso quella cazzo di pelle di leone e finge di essere Aslan. E quando l'inganno è smascherato, i calormeniani sconfitti e Aslan arriva (quello vero), cosa indovinate succede all'asino, il responsabile primo e ultimo?
Niente. Niente di niente. Perdonato, coccolato, viziato, compatito, l'asino è condotto in un trionfo, questo sì, di asinina stupidità. Non riceviamo nemmeno una scusa, un rimprovero, l'ipocrisia di un figliol prodigo. Il secondo responsabile per gravità dopo la scimmia è lasciato andare, perchè “debole”, da “compatire”, “vittima” degli eventi. C'è qui il peggio dell'ipocrisia, del culto del debole, del malaticcio, della feccia ritenuta sempre innocente.
Io di quell'asino avrei fatto pelle di tamburo, ma forse questa è una condanna troppo giusta, troppo equa, troppo pagana (!) per un cristiano come Lewis.

Una scimmia, un leone e un asino si incontrano al bar... Ah no, barzelletta sbagliata. 
La coppia asino-scimmia illustra bene il difetto alla base dell'Ultima Battaglia: non c'è storia, non c'è ambientazione, non ci sono (quasi) personaggi. Tanta è la furia d'imbastire questa apocalisse fantasy, che Lewis perde per strada pezzi di narrativa. E l'immedesimazione, come la qualità in generale, ne risentono paurosamente. L'Ultima Battaglia è un'allegoria scarnificata di tutto, uno scheletro con qualche lembo di carne qua e là: certo, le ossa-metafore si vedono bene, ma il risultato è un romanzo-zombie, orribile, tanto più che è uno zombie con una morale noiosa.
Non so in che altro modo spiegarlo: non è nemmeno un romanzo, è un, non so, un breviario, un predicozzo, un “qualcosa” d'informe.
Se il romanzo si limitasse a questo, se fosse essenziale e dritto al punto, sarebbe anche accettabile. Ma no, ovvio che no: il nostro Lewis deve intervenire dall'alto del suo scranno.
Dal primo capitolo, ad esempio:
In effetti Cambio aveva visto bene. Era stato un cacciatore umano a uccidere e scuoiare il leone, in una lontana e selvaggia regione dell'Ovest, ed era avvenuto esattamente un mese prima. Ma questo non ha nulla a che vedere con la nostra storia.
Se non ha nulla “a che vedere con la nostra storia”, perchè diamine l'hai scritto? E' una roba buttata lì, un'informazione inutile, mal scritta e senza una singola traccia di fascino. Non approfondisce nemmeno il background. Scrivevo anch'io questo genere di stronzate, ma era sui forum di fan fiction di Warhammer, avevo 17 anni e non mi consideravo un classico della letteratura.

Quando vuole, Lewis sa caratterizzare benissimo a una scena, o un gruppo di personaggi. Ad esempio, è commovente come i Calormeniani non siano cattivi per quello che fanno, ma perché ne(g)ri che adorano una sorta di Satana/Tash, le cui usanze assomigliano parecchio all'Islam.
E ora osservate questa bottiglia di pietra: contiene una pozione che, se viene strofinata sulla pelle, fa diventare scuri come i Calormeniani. In pochissimo tempo.
Come dice Jill, “Urrà”, una pozione abbronzante!
Il re e l'unicorno furono colpiti dal fatto che la folla fosse composta sopratutto da esseri umani. Non si trattava certo dei biondi abitanti di Narnia, ma degli uomini scuri e barbuti di Calormen, l'enorme regione dei sanguinari abitanti che si estende a sud della Terra di Archen, nel deserto.
Usano le scimitarre, sono di “colore scuro”, con lunghe barbe, vivono nel deserto, sono arretrati e sanguinari... a chissà quale civiltà della storia si voleva riferire Lewis, davvero difficile indovinarlo!
Infine l'uomo di carnagione scura e con la barba, il mercante di Calormen...
Scuri, mi raccomando, che non ci confondiamo.

Il meglio – o il peggio - è raggiunto nel capitolo “Gloria allo scimmione” (sì, i nomi dei capitoli sono bruttini, se non proprio scialbi):
Gli uomini bruni si strinsero intorno, formando una folla compatta. Odoravano di aglio e cipolle e il bianco degli occhi risaltava sulla pelle scura. Misero una corda intorno al collo di Diamante, tolsero la spada al re e gli legarono le mani dietro la schiena. Uno dei Calormeniani, il comandante visto che portava un elmo al posto del turbante, strappò la fascia d'oro che ornava la testa del re e la mise in tasca.
Ah, ecco, cosa ci mancava: aglio, cipolle e turbanti.
Ora, il problema dello stereotipo razziale non è a mio parere così grave, perchè Lewis attingeva certo dai saraceni dell'epica medievale, non aveva un granché cui ispirarsi negli anni '50. Vederlo come un coraggioso baluardo contro il politically correct è attribuirgli sentimenti che non aveva.
La carnagione scura e gli attributi da ottomano erano per lui un utile stereotipo, come lo erano, trasposti su chiave più ampia, per gli orchi di Tolkien.
Tuttavia, è ancora una volta istruttivo un confronto con Tolkien sull'argomento. Quando infatti Sam nelle Due Torri incontra gli Olifanti nell'Ithilien, ha un incontro ravvicinato con un nemico molto simile, nero, avvolto nel turbante, chiaramente medio orientale.
Sam, ansioso di vedere meglio, andò a raggiungere le guardie. Si arrampicò su uno dei grossi lauri; per un attimo intravide degli Uomini di carnagione scura vestiti di rosso scendere di corsa il pendio con guerrieri in abiti verdi alle calcagna che li atterravano durante la fuga. Fitta era la coda delle frecce. Poi improvvisamente un uomo cadde proprio dall'orlo della conca, quasi sulle loro teste, piombando fra gli esili arbusti. Giacque immobile nelle felci a pochi passi di distanza, bocconi, con frecce dalle verdi piume che gli trafiggevano il collo appena più in basso del collare d'oro. I suoi abiti rossi erano laceri, la cotta di piastrine d'ottone strappata e deforme, le nere trecce adorne d'oro fradicie di sangue. La bruna mano stringeva ancora l'elsa di una spada rotta.

Era per Sam la prima immagine di una battaglia di Uomini contro Uomini, e non gli piacque. Era contento di non poter vedere il viso del morto. Avrebbe voluto sapere da dove veniva e come si chiamava quell'Uomo, se era davvero di animo malvagio, o se non erano state piuttosto menzogne e minacce a costringerlo ad una lunga marcia lontano da casa; se non avrebbe invece preferito restarsene lì in pace...
Come avete appena letto, siamo davvero in un altro mondo, di fattura migliore di quello di un armadio pieno di naftalina! Sam capisce come il “nemico” sia una persona come lui, con una sua personalità, una sua vita, una sua famiglia; nonostante la diversità gli dispiace che sia morto per niente, agli ordini di qualcun'altro. Una riflessione del genere forse poteva farla solo un hobbit uscito dall'inferno delle Somme, non un accademico fermo mentalmente al college.


Verso la fine del romanzo, Aslan, deus ex in tutti i sensi, accoglie chi l'aveva venerato e rigetta gli animali parlanti e gli esseri viventi che l'avevano respinto, o con grande coerenza, che nemmeno l'avevano conosciuto. L'Apocalisse fantasy, guidata da Padre Tempo, segue la solita paccottiglia da ultimo libro della Bibbia, dai draghi alla caduta delle stelle.
In quest'ambito tutta la famiglia Pevensie si ritrova riunita, tutti tranne... Susan.
Perchè? La malvagia Susan, a quanto pare, ha preferito restare sulla Terra. Non è stata ovviamente una sua scelta: le è successo così, perchè...
– Già, Susan – commentò Jill. – A lei interessano solo vestiti, creme, rossetti e gran feste. Ha lo sguardo candido e imbambolato di una bambina troppo cresciuta. –
Non dovrebbe sorprendere che la condanna di Susan all'inferno sia solo perchè si trucca. Per la mentalità di Lewis, solo i bambini si salvano, chi osa diventare adulto, o nel caso di Susan, cambiare ambiente, è irrimediabilmente condannato. D'altronde, nelle Lettere di Berlicche, le attrici vanno tutte all'inferno, assieme agli psicologi, ai poeti modernisti e a qualche altra povera categoria.
Susan ha contraddetto Narnia, ha addirittura cercato di metterne in dubbio l'esistenza, peggio ancora è diventata una donna, creatura a quanto pare abominevole per Lewis. A proposito ad esempio della Pauline Baynes, non piaceva a Lewis perchè era “far too pretty”. Lo stereotipo della donna-bambina ha una lunga tradizione e andrebbe osservato che Lewis ci sguazza fino al mento.
Quell'esempio della Pauline Baynes non è lì per vezzo, tanto per. E' il nesso necessario tra mondo fantasy (Susan) e mondo reale (Pauline). E' perfettamente naturale, per una persona come Lewis, che reputa un difetto in una disegnatrice essere “troppo bella”, sacrificare Susan perchè si mette il rossetto. Alla fine, il discorso gira sempre lì. Non offende che un membro della famiglia Pevensie venga sacrificato, dà fastidio che venga volgarizzato così, senza alcun sforzo di nascondere la misoginia. Non ci importa che Susan lo meriti, perchè troppo egocentrica, troppo legata al mondo materiale. Dà un sincero disgusto che si debba veicolare questo messaggio con un bel po' di stereotipi misogini, la bambola, le calze di nylon nella versione inglese (apice dell'assurdo), i vestiti, i trucchi, il rossetto...

Narnia Apocalypse: Lewis Edition (Troma Production). 
Si è anche scritto troppo su Susan, tra Gaiman e Pulmann.
Perchè invece non attacchiamo l'ultimo colpo di coda di Lewis prima di chiudere il libro?
Ovvero che per essere felici e contenti nel mondo di Narnia, Aslan fa morire l'intera famiglia Pevensie?
Perchè ovviamente Lewis lo pone in maniera diversa, ma è quello che succede: il Leone-Dio causa un bell'incidente ferroviario, ammazzando ogni singolo Pevensie.
Alla fine, se Narnia nel finale diventa il paradiso terrestre, perchè aspettare? Si muore e via, verso una sorte radiosa. Non serve che sottolinei che mentalità del genere le si ritrova solo nelle sette e nelle frange estremiste delle religioni del Libro. Ricordati che devi morire, spera che succeda presto, perchè questo è solo un passaggio sulla Terra, una transizione.
A differenza di molti recensori, decisamente troppo premurosi, non c'è pericolo che un bambino legga L'Ultima Battaglia e decida di buttarsi sui binari per andare a trovare Aslan/Dio/I Pokemon.
I lettori bambini non sono lettori stupidi: ci vuole un accurato lavoro di piallatura da parte di parenti, istituzioni e media perchè cominciano a confondere il normale dall'anormale.

Tuttavia, il discorso sull'incidente ferroviario è malsano anche per un altro motivo.
Da un lato infatti, Lewis argomenta un mondo perfetto, incontaminato, giusto, con manifestazioni visibili della divinità, nella forma del Leone. Si ribadisce più volte, sia nella saga, che nelle Lettere a Berlicche, come si debba ridere, essere felici e gioire per questo mondo che ci aspetta. Via i barbogi filosofi che “pensano”, via i pessimisti, i materialisti, i socialisti ecc ecc
Dall'altro, per raggiungere questo mondo così bello, perfetto, immacolato c'è un'unica via: morire. Essere ammazzati. Perire. E' un modo sporco di pensare e in contrasto con gli uccellini cinguettanti di poco fa, parecchio cupo. La morte non riceve nemmeno spazio per sé, valore in sé stessa, come nella morte in battaglia di Theoden, o nella consapevolezza “storica” della memoria dell'eroe.
No, la morte qui è solo un passaggio, obbligatorio e si spera rapido e indolore, per il paradiso (Narnia). Per il mondo bello lì fuori (inesistente) si abbruttisce il mondo qui dentro (reale).
E' anche una visione utilitaristica, perché si mira ad avere piacere infinito (fornito dal Paradiso) il più velocemente possibile (con la morte). Personalmente, trovo che l'idea che l'uomo viva sulla Terra solo per godere (qui o nell'Aldilà, poco conta) un'idea malata, ma anche un'idea decisamente religiosa. Lo stesso Lewis definisce in Lettere di Berlicche Dio come “il più gaudente di tutti”.
E nella stessa opera un giovane muore per un bombardamento nella seconda guerra mondiale.
Morte che Lewis accoglie con gioia, perchè significa che andrà subito in Paradiso, senza dover sopportare altre tentazioni in Terra.
Come se il nostro pianeta non sapesse offrire altro, solo bruttezza!
Sarebbe bastato che guardasse le illustrazioni dei suoi libri per vedere nei suoi stessi testi la contraddizione pittorica a tanta stupidità!

Consoliamoci con Ripicì ^__^

2 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Non so cosa aggiungere a tutti quello che hai scritto su "Le Cronache di Naria". Sapevo delle simbologie cristiane, ma non pensavo ci fosse tutta questa complessità...

Coscienza ha detto...

Nulla vieta di leggerli per il proprio divertimento, e nient'altro. Almeno i primi romanzi della serie sono ottimi in tal senso :)