E'
consolante come da bambino si apprezzi una storia per quello che al
fondo è, cioè una storia, bella o brutta. Solo successivamente, con
un bagaglio culturale alle spalle, ci si rende conto di quanto un
autore avesse insistito su quella metafora, su quell'allegoria, su
quel messaggio ecc ecc
Tuttavia, a
una lettura “ingenua” nulla di tutto ciò emerge, ci si limita a
leggere e gustare l'avventura. Non è un'ammissione d'ignoranza, ma
al contrario una rassicurazione su come, per l'ennesima volta, non si
debba considerare il bambino come un idiota che assimila qualsiasi
ideologia gli si proponga, ma anzi, un soggetto che sa badare a ciò
che conta per davvero, protagonisti e trama. Nel caso in questione,
un bambino che legge Il leone, la strega e l'armadio, non riconoscerà
mai l'allegoria cristiana dietro, per altro molto spicciola – il dolcetto turco per il frutto proibito del Giardino dell'Eden, il leone Aslan come
Gesù, la sua morte e resurrezione come una Via crucis fantasy ecc
ecc – si limiterà invece a leggere una storia che troverà
divertente. Se anche uscisse fresco fresco da quel tempio
dell'inutilità che è l'oratorio, non riconoscerà mai l'allegoria.
Valuterà il romanzo in base all'intrattenimento e alla piacevole
immedesimazione che gli permette; senza dubbio da quel punto di vista
C. S. Lewis è un bravo narratore, piacevolissimo.
Man mano che
le Cronache di Narnia proseguono e le invettive di Lewis aumentano,
quest'incapacità del bambino di percepire il sotto fondo
“ideologico” si rivela sempre più fortunata.
Consideriamo
ad esempio il penultimo libro, La Sedia d'Argento. Scomparsa l'epica
alla Tolkien del primo libro, come il gusto per la scoperta e
l'avventura metafisica del Viaggio del veliero, La Sedia d'Argento
già preavverte la pesantezza morale de L'Ultima Battaglia. Dietro
gli animali parlanti e le battutine che un rimbambito pronuncerebbe,
ma non un bambino, Lewis sta diventando un rauco urlatore, un
pensionato reazionario. Un giudizio eccessivo? Torniamo alla Sedia
d'Argento, e (purtroppo) vediamolo confermato fin dalle prime righe.
Eustachio,
il ragazzo “nuovo” nel Viaggio del veliero, è ora studente di
una prestigiosa scuola d'élite, dove ha stretto amicizia con uno
scricciolo di ragazza chiamata Jill Pole.
Già dal
primo capitolo, “Dietro la palestra”, vediamo confermato come
alla lettura del testo corrispondano due diverse interpretazioni, a
seconda che il lettore sia un bambino, o un novello analfabeta, o sia
invece un adulto più smaliziato.
Nel primo
caso, da quanto ricordavo alle medie, Eustachio frequenta una scuola
sgradevole e grigia, dov'è pieno di bulli e dove il corpo insegnanti
è passivo, completamente disinteressato a punire i cattivi. Questa è
la visione base, di chi legge prestando attenzione alla storia.
Rileggendo
invece La Sedia d'Argento avanti cogli anni, le intromissioni e le
gomitate del narratore onnisciente (cioè, Lewis stesso) risultano
oltremodo fastidiose. Non ci si limita a spezzare l'immersione, a
rovinare la lettura: sembra di assistere a una bel discorso
continuamente interrotto da un urlatore che megafono alla mano deve
spiegarti come stanno le cose.
Ora, dal momento che la storia che sto per raccontarvi non ha niente a che vedere con la scuola, vi darò solo qualche piccola informazione sull'Istituto di Jill: il che, detto fra noi, non è un argomento piacevole.
Lewis,
taglia corto: hai appena usato tre righe solo per dire al lettore che
parlerai di un argomento che non centra nulla con la storia (e
allora, perché parlarne, diamine?), sgradevole (perchè sgradevole,
poi?), con incredibili giri di parole e con “piccole”
informazioni che occupano già metà pagina. Un record
d'incompetenza, complimenti.
Era una scuola “polivalente” frequentata sia da ragazzi che da ragazze, e c'era chi affermava che più che polivalente fosse “confusa” come le idee e le teorie del corpo insegnante che la dirigeva.
Sì, sì, va
bene: le classi miste sono il male assoluto, l'abbiamo compreso. E
allora perché criticare la “polivalenza” della scuola, se è
proprio questa sua caratteristica a permettere di riunire i due
protagonisti, Eustachio e Jill? Se fosse stata una scuola solo
maschile non avremmo avuto alcun incontro, ne alcuna storia (do per
scontato che per Lewis sia impossibile iniziare la storia in un
collegio solo al femminile). Non è la prima volta che nelle Cronache
di Narnia i protagonisti agiscono con maggiore senno ed empatia del
loro stesso creatore; un fatto a suo modo incoraggiante.
Vi sono poi
le osservazioni che avevano senso negli anni '50, ma che oggigiorno
perdono davvero significato:
– Scrubb, per chi mi prendi? – (Avrete sicuramente notato che allo Sperimentale gli alunni si chiamavano per cognome e non per nome.)
Cosa vuole insinuare?
Oppure,
quest'altro passaggio, chiaramente non al passo coi tempi:
(Tornando ai bizzarri metodi di insegnamento adottati dallo Sperimentale, bisogna precisare che in quella scuola i ragazzi studiavano poco la matematica, il francese o il latino; in compenso, avevano imparato a darsela a gambe senza dare troppo nell'occhio a “quelli”.)
Perchè la
matematica? Ritenevo che col termine “Sperimentale” Lewis se la
volesse prendere con le discipline scientifiche, ma se anche la
matematica viene tolta, la mia ipotesi storica cade a pezzi.
Chissà a
cosa si riferiva, con un rant del genere: il latino è una lamentela
comune, ma il francese?
Sul serio è mai stato insegnato in Inghilterra, superato l'Ottocento?
Voler usare un romanzo per argomentare una polemica personale espone all'oggettivo rischio di perdere ogni significato e rendersi ridicolo, scaduti un po' di anni, passate le mode.
Sul serio è mai stato insegnato in Inghilterra, superato l'Ottocento?
Voler usare un romanzo per argomentare una polemica personale espone all'oggettivo rischio di perdere ogni significato e rendersi ridicolo, scaduti un po' di anni, passate le mode.
E'
francamente disturbante che una scuola che non punisce fisicamente i
suoi alunni venga considerata “troppo moderna” e “confusa”.
Se non
altro, almeno sappiamo che la scuola è piena di malvagi atei:
(Quando andavo a scuola io, dicevamo: “Lo Giuro sulla Bibbia”, ma allo Sperimentale gli insegnanti non parlavano mai della Bibbia ai ragazzi).
Cioè,
qual'è la colpa? Attenersi ai programmi del corso? Non sfruttare la
propria posizione in cattedra come un improvvisato pulpito? Lewis,
sei davvero un meschino papista.
Ancora efficace e vero motivo dell'empatia del lettore verso Eustacio&Jill sono invece i bulli, la minaccia che rappresentano e l'inerzia delle istituzioni. Molti, se non tutti, siamo stati vessati da un bullo: se non è alle elementari, è alle medie, o ai primi anni delle superiori. Specie se si è bambini, simpatizzare con Eustachio è facile.
Ancora efficace e vero motivo dell'empatia del lettore verso Eustacio&Jill sono invece i bulli, la minaccia che rappresentano e l'inerzia delle istituzioni. Molti, se non tutti, siamo stati vessati da un bullo: se non è alle elementari, è alle medie, o ai primi anni delle superiori. Specie se si è bambini, simpatizzare con Eustachio è facile.
Non proprio tutto era lecito, eppure è certo che gli autori dei misfatti non venivano puniti e neppure esclusi dalla scuola. Il preside sosteneva che si trattasse di casi psicologici particolarmente interessanti, per cui mandava a chiamare i birbanti e chiacchierava con loro per ore.
Quante volte
tutta la classe veniva punita per la colpa di un singolo?
Quante volte
ci siamo sentiti come se davvero i professori, anziché aiutare,
peggiorassero soltanto la situazione?
E quante volte il bambino “turbato”, “con problemi” riceveva un occhio di riguardo, un privilegio per motivi assolutamente nefandi.
La polemica contro la psicologia (come contro il sesso, di cui Lewis ha in realtà paura) è facilmente condivisibile. E' quanto ricordavo dalla prima lettura e quanto ritengo funzioni tutt'ora, senza perdersi in giochetti vari. Non ricordavo invece d'aver posto attenzione a Bibbia&Latino&Cognomi, chiaro segno che la polemica di Lewis non si traspone nel lettore. Il giovane prende dal romanzo quanto gli serve, quanto colpisce la sua immaginazione e lascia tutto il resto, pattume polemico compreso.
E quante volte il bambino “turbato”, “con problemi” riceveva un occhio di riguardo, un privilegio per motivi assolutamente nefandi.
La polemica contro la psicologia (come contro il sesso, di cui Lewis ha in realtà paura) è facilmente condivisibile. E' quanto ricordavo dalla prima lettura e quanto ritengo funzioni tutt'ora, senza perdersi in giochetti vari. Non ricordavo invece d'aver posto attenzione a Bibbia&Latino&Cognomi, chiaro segno che la polemica di Lewis non si traspone nel lettore. Il giovane prende dal romanzo quanto gli serve, quanto colpisce la sua immaginazione e lascia tutto il resto, pattume polemico compreso.
Un Unicorno, un Asino mascherato da Leone, dei finti soldati Eh, sì: è la Compagnia dei Dementi. |
Dov'era quel
senso di mistero, di sublime, di avventura di un mondo inesplorato e
meraviglioso...
Altrettanto
magicamente scomparso, fino a quando mi sono ricordato che al testo
si affiancavano le figure. C'erano sì, nella versione che avevo
letto alle medie, fedele fedele all'originale anni '60 inglese, un
bel po' di illustrazioni.
Ah, i
disegni dei libri d'infanzia... decisamente sottovaluti, disprezzati,
oltraggiati!
Quanti “classici” dovremmo riconoscere come tali più per merito degli illustratori che di mediocri scrittori?
Quanti “classici” dovremmo riconoscere come tali più per merito degli illustratori che di mediocri scrittori?
Perchè, nel
caso in questione di Pauline Baynes, dobbiamo parlare poi
d'illustratrice?
Perchè non
darle dignità d'artista?
Considerando
che le Cronache di Narnia sono tra i libri per l'infanzia più letti
nel Regno Unito, probabilmente i suoi disegni sono più conosciuti di
tanta schifezza post moderna ospitata in museo.
E scorrendo le illustrazioni sul suo sito, riconoscevo i luoghi mentali che avevo visitato e ritrovavo quella sensazione che avevo erroneamente cercato nei libri.
E scorrendo le illustrazioni sul suo sito, riconoscevo i luoghi mentali che avevo visitato e ritrovavo quella sensazione che avevo erroneamente cercato nei libri.
Suonerò un
po' melodrammatico, ma non è commovente?
Avevo dato la precedenza alla parola, a Lewis, e mi ritrovavo a cedere il passo all'immagine, a Pauline Baynes.
Una scoperta
tanto più bella se consideriamo che quel cazzone di Lewis si
disinteressava di Pauline, considerava i disegni come un male
necessario, una sventura ineliminabile: i due erano in pessimi
rapporti da quando Lewis aveva confidato tra “amici” che la
riteneva un'incompetente incapace di disegnare i leoni. Il suo
noiosissimo “Aslan” in realtà è reso iconico proprio dalla
matita di Pauline, come confermano generazione su generazione di
bambini.
Avevo dato la precedenza alla parola, a Lewis, e mi ritrovavo a cedere il passo all'immagine, a Pauline Baynes.
La magnifica Pauline Baynes (2008) |
Non vi
basta? Pauline Baynes disegnava anche per Tolkien, a sua volta noto
amico per la pelle di Lewis. Tuttavia, a differenza di C. S. e del
suo atteggiamento sdegnoso, il Professore di Oxford fu sempre grande
amico di Pauline, lodandone più volte l'immenso lavoro. Egli stesso
disegnatore dilettante e cartografo abilissimo, Tolkien sapeva bene
come per un libro fantasy l'illustrazione interna non fosse un male,
ma un bonus indispensabile. E Pauline, nella giovinezza, aveva
lavorato come cartografa nell'esercito, durante la seconda guerra
mondiale: le mappe per la stessa Narnia sono infatti disegnate con un
certo gusto, a differenza dei pastrocchi odierni. Per darvi un'idea,
Tolkien osservò che le illustrazioni per il Fattore Giles di Ham
avevano “ridotto il mio testo a una didascalia del disegno”. Ovvero la parola era stata asservita all'illustrazione, ammissione
sempre dura da fare per uno scrittore.
There and back again: a map of a Blogger's journey through The University of Mordor and Carso Land^^ |
Il nome
sembrava piacevolmente guerresco, la premessa sufficientemente
adulta: purtroppo, ancora una volta, i cattivi elementi superano i
buoni in proporzioni non di 3 a 1, ma di 10 a 1, di 100 a 1...
Partiamo
dalla questione morale: l'Apocalisse che distrugge Narnia deriva al
nocciolo da una coppia di animali parlanti, una scimmia astuta, ma
immorale e un asino stupido, ma onesto.
La scimmia
finge di essere amica dell'asino, ma in realtà lo sfrutta
crudelmente, costringendolo a servirlo e riverirlo in tutto per
tutto. Al primo capitolo, la scimmia scopre la pelle di un leone
ucciso da un cacciatore. La rappezza, la pulisce e la fa indossare
all'asino. In accordo coi calormeniani (torneremo su Calormen, non
temete) finge che l'asino sia il leone Aslan, sfruttandolo per
imporre il suo dominio su Narnia. Con l'inganno, gli animali parlanti
obbediscono agli ordini della scimmia, portavoce di Aslan: sono così
costretti in schiavitù, uccisi, sfruttati per le malvagie opere
industriali di Calormen... ora, già la premessa è di una stupidità
allucinante, perchè solo un cieco o un demente non saprebbero
distinguere tra un Leone che è anche un Dio, e un asino camuffato.
Sorvoliamo,
facciamo finta di nulla. Sulla morale però non transigo: non importa
quanto ingenuo, l'asino si rende bene conto che sta facendo una
malvagità. Sa bene che sta sbagliando, che non importa quanto amico
gli sia la scimmia, fingere di essere qualcun'altro non si fa, è
disonesto, è contro la legge, è un “peccato” se volete ecc ecc
Il re scimmia, una grossolana allegoria anti-evoluzionista. |
Eppure
l'asino accetta alla grande. Dall'inizio alla fine, si tiene addosso
quella cazzo di pelle di leone e finge di essere Aslan. E quando
l'inganno è smascherato, i calormeniani sconfitti e Aslan arriva
(quello vero), cosa indovinate succede all'asino, il responsabile
primo e ultimo?
Niente.
Niente di niente. Perdonato, coccolato, viziato, compatito, l'asino è
condotto in un trionfo, questo sì, di asinina stupidità. Non
riceviamo nemmeno una scusa, un rimprovero, l'ipocrisia di un figliol
prodigo. Il secondo responsabile per gravità dopo la scimmia è
lasciato andare, perchè “debole”, da “compatire”, “vittima”
degli eventi. C'è qui il peggio dell'ipocrisia, del culto del
debole, del malaticcio, della feccia ritenuta sempre innocente.
Io di
quell'asino avrei fatto pelle di tamburo, ma forse questa è una
condanna troppo giusta, troppo equa, troppo pagana (!) per un
cristiano come Lewis.
Una scimmia, un leone e un asino si incontrano al bar... Ah no, barzelletta sbagliata. |
Non so in
che altro modo spiegarlo: non è nemmeno un romanzo, è un, non so,
un breviario, un predicozzo, un “qualcosa” d'informe.
Se il
romanzo si limitasse a questo, se fosse essenziale e dritto al punto,
sarebbe anche accettabile. Ma no, ovvio che no: il nostro Lewis deve
intervenire dall'alto del suo scranno.
Dal primo
capitolo, ad esempio:
In effetti Cambio aveva visto bene. Era stato un cacciatore umano a uccidere e scuoiare il leone, in una lontana e selvaggia regione dell'Ovest, ed era avvenuto esattamente un mese prima. Ma questo non ha nulla a che vedere con la nostra storia.
Se non ha
nulla “a che vedere con la nostra storia”, perchè diamine l'hai
scritto? E' una roba buttata lì, un'informazione inutile, mal
scritta e senza una singola traccia di fascino. Non approfondisce
nemmeno il background. Scrivevo anch'io questo genere di stronzate,
ma era sui forum di fan fiction di Warhammer, avevo 17 anni e non mi
consideravo un classico della letteratura.
Quando
vuole, Lewis sa caratterizzare benissimo a una scena, o un gruppo di
personaggi. Ad esempio, è commovente come i Calormeniani non siano
cattivi per quello che fanno, ma perché ne(g)ri che adorano una
sorta di Satana/Tash, le cui usanze assomigliano parecchio all'Islam.
E ora osservate questa bottiglia di pietra: contiene una pozione che, se viene strofinata sulla pelle, fa diventare scuri come i Calormeniani. In pochissimo tempo.
Come dice
Jill, “Urrà”, una pozione abbronzante!
Il re e l'unicorno furono colpiti dal fatto che la folla fosse composta sopratutto da esseri umani. Non si trattava certo dei biondi abitanti di Narnia, ma degli uomini scuri e barbuti di Calormen, l'enorme regione dei sanguinari abitanti che si estende a sud della Terra di Archen, nel deserto.
Usano le
scimitarre, sono di “colore scuro”, con lunghe barbe, vivono nel
deserto, sono arretrati e sanguinari... a chissà quale civiltà
della storia si voleva riferire Lewis, davvero difficile indovinarlo!
Infine l'uomo di carnagione scura e con la barba, il mercante di Calormen...
Scuri, mi
raccomando, che non ci confondiamo.
Il meglio –
o il peggio - è raggiunto nel capitolo “Gloria allo scimmione”
(sì, i nomi dei capitoli sono bruttini, se non proprio scialbi):
Gli uomini bruni si strinsero intorno, formando una folla compatta. Odoravano di aglio e cipolle e il bianco degli occhi risaltava sulla pelle scura. Misero una corda intorno al collo di Diamante, tolsero la spada al re e gli legarono le mani dietro la schiena. Uno dei Calormeniani, il comandante visto che portava un elmo al posto del turbante, strappò la fascia d'oro che ornava la testa del re e la mise in tasca.
Ah, ecco,
cosa ci mancava: aglio, cipolle e turbanti.
Ora, il
problema dello stereotipo razziale non è a mio parere così grave,
perchè Lewis attingeva certo dai saraceni dell'epica medievale, non
aveva un granché cui ispirarsi negli anni '50. Vederlo come un
coraggioso baluardo contro il politically correct è attribuirgli
sentimenti che non aveva.
La
carnagione scura e gli attributi da ottomano erano per lui un utile
stereotipo, come lo erano, trasposti su chiave più ampia, per gli
orchi di Tolkien.
Tuttavia, è
ancora una volta istruttivo un confronto con Tolkien sull'argomento.
Quando infatti Sam nelle Due Torri incontra gli Olifanti
nell'Ithilien, ha un incontro ravvicinato con un nemico molto simile,
nero, avvolto nel turbante, chiaramente medio orientale.
Sam, ansioso di vedere meglio, andò a raggiungere le guardie. Si arrampicò su uno dei grossi lauri; per un attimo intravide degli Uomini di carnagione scura vestiti di rosso scendere di corsa il pendio con guerrieri in abiti verdi alle calcagna che li atterravano durante la fuga. Fitta era la coda delle frecce. Poi improvvisamente un uomo cadde proprio dall'orlo della conca, quasi sulle loro teste, piombando fra gli esili arbusti. Giacque immobile nelle felci a pochi passi di distanza, bocconi, con frecce dalle verdi piume che gli trafiggevano il collo appena più in basso del collare d'oro. I suoi abiti rossi erano laceri, la cotta di piastrine d'ottone strappata e deforme, le nere trecce adorne d'oro fradicie di sangue. La bruna mano stringeva ancora l'elsa di una spada rotta.
Era per Sam la prima immagine di una battaglia di Uomini contro Uomini, e non gli piacque. Era contento di non poter vedere il viso del morto. Avrebbe voluto sapere da dove veniva e come si chiamava quell'Uomo, se era davvero di animo malvagio, o se non erano state piuttosto menzogne e minacce a costringerlo ad una lunga marcia lontano da casa; se non avrebbe invece preferito restarsene lì in pace...
Come avete
appena letto, siamo davvero in un altro mondo, di fattura migliore di
quello di un armadio pieno di naftalina! Sam capisce come il “nemico”
sia una persona come lui, con una sua personalità, una sua vita, una
sua famiglia; nonostante la diversità gli dispiace che sia morto per
niente, agli ordini di qualcun'altro. Una riflessione del genere
forse poteva farla solo un hobbit uscito dall'inferno delle Somme,
non un accademico fermo mentalmente al college.
Verso la fine del romanzo, Aslan, deus ex in tutti i sensi, accoglie chi l'aveva venerato e rigetta gli animali parlanti e gli esseri viventi che l'avevano respinto, o con grande coerenza, che nemmeno l'avevano conosciuto. L'Apocalisse fantasy, guidata da Padre Tempo, segue la solita paccottiglia da ultimo libro della Bibbia, dai draghi alla caduta delle stelle.
In
quest'ambito tutta la famiglia Pevensie si ritrova riunita, tutti
tranne... Susan.
Perchè? La malvagia Susan, a quanto pare, ha preferito restare sulla Terra. Non è stata ovviamente una sua scelta: le è successo così, perchè...
Perchè? La malvagia Susan, a quanto pare, ha preferito restare sulla Terra. Non è stata ovviamente una sua scelta: le è successo così, perchè...
– Già, Susan – commentò Jill. – A lei interessano solo vestiti, creme, rossetti e gran feste. Ha lo sguardo candido e imbambolato di una bambina troppo cresciuta. –
Non dovrebbe
sorprendere che la condanna di Susan all'inferno sia solo perchè si
trucca. Per la mentalità di Lewis, solo i bambini si salvano, chi
osa diventare adulto, o nel caso di Susan, cambiare ambiente, è
irrimediabilmente condannato. D'altronde, nelle Lettere di Berlicche,
le attrici vanno tutte all'inferno, assieme agli psicologi, ai poeti
modernisti e a qualche altra povera categoria.
Susan ha
contraddetto Narnia, ha addirittura cercato di metterne in dubbio
l'esistenza, peggio ancora è diventata una donna, creatura a quanto
pare abominevole per Lewis. A proposito ad esempio della Pauline
Baynes, non piaceva a Lewis perchè era “far too pretty”.
Lo stereotipo della donna-bambina ha una lunga tradizione e andrebbe
osservato che Lewis ci sguazza fino al mento.
Quell'esempio
della Pauline Baynes non è lì per vezzo, tanto per. E' il nesso
necessario tra mondo fantasy (Susan) e mondo reale (Pauline). E'
perfettamente naturale, per una persona come Lewis, che reputa un
difetto in una disegnatrice essere “troppo bella”, sacrificare
Susan perchè si mette il rossetto. Alla fine, il discorso gira
sempre lì. Non offende che un membro della famiglia Pevensie venga
sacrificato, dà fastidio che venga volgarizzato così, senza alcun
sforzo di nascondere la misoginia. Non ci importa che Susan lo
meriti, perchè troppo egocentrica, troppo legata al mondo materiale.
Dà un sincero disgusto che si debba veicolare questo messaggio con
un bel po' di stereotipi misogini, la bambola, le calze di nylon
nella versione inglese (apice dell'assurdo), i vestiti, i trucchi, il
rossetto...
Narnia Apocalypse: Lewis Edition (Troma Production). |
Perchè
invece non attacchiamo l'ultimo colpo di coda di Lewis prima di
chiudere il libro?
Ovvero che per essere felici e contenti nel mondo di Narnia, Aslan fa morire l'intera famiglia Pevensie?
Ovvero che per essere felici e contenti nel mondo di Narnia, Aslan fa morire l'intera famiglia Pevensie?
Perchè
ovviamente Lewis lo pone in maniera diversa, ma è quello che
succede: il Leone-Dio causa un bell'incidente ferroviario, ammazzando
ogni singolo Pevensie.
Alla fine,
se Narnia nel finale diventa il paradiso terrestre, perchè
aspettare? Si muore e via, verso una sorte radiosa. Non serve che
sottolinei che mentalità del genere le si ritrova solo nelle sette e
nelle frange estremiste delle religioni del Libro. Ricordati che devi
morire, spera che succeda presto, perchè questo è solo un passaggio
sulla Terra, una transizione.
A differenza
di molti recensori, decisamente troppo premurosi, non c'è pericolo
che un bambino legga L'Ultima Battaglia e decida di buttarsi sui
binari per andare a trovare Aslan/Dio/I Pokemon.
I lettori
bambini non sono lettori stupidi: ci vuole un accurato lavoro di
piallatura da parte di parenti, istituzioni e media perchè
cominciano a confondere il normale dall'anormale.
Tuttavia, il
discorso sull'incidente ferroviario è malsano anche per un altro
motivo.
Da un lato
infatti, Lewis argomenta un mondo perfetto, incontaminato, giusto,
con manifestazioni visibili della divinità, nella forma del Leone.
Si ribadisce più volte, sia nella saga, che nelle Lettere a Berlicche, come si debba ridere, essere felici e gioire per questo
mondo che ci aspetta. Via i barbogi filosofi che “pensano”, via i
pessimisti, i materialisti, i socialisti ecc ecc
Dall'altro,
per raggiungere questo mondo così bello, perfetto, immacolato c'è
un'unica via: morire. Essere ammazzati. Perire. E' un modo sporco di
pensare e in contrasto con gli uccellini cinguettanti di poco fa,
parecchio cupo. La morte non riceve nemmeno spazio per sé, valore in
sé stessa, come nella morte in battaglia di Theoden, o nella
consapevolezza “storica” della memoria dell'eroe.
No, la morte
qui è solo un passaggio, obbligatorio e si spera rapido e indolore,
per il paradiso (Narnia). Per il mondo bello lì fuori (inesistente)
si abbruttisce il mondo qui dentro (reale).
E' anche una
visione utilitaristica, perché si mira ad avere piacere infinito
(fornito dal Paradiso) il più velocemente possibile (con la morte).
Personalmente, trovo che l'idea che l'uomo viva sulla Terra solo per
godere (qui o nell'Aldilà, poco conta) un'idea malata, ma anche
un'idea decisamente religiosa. Lo stesso Lewis definisce in Lettere di Berlicche Dio come “il più gaudente di tutti”.
E nella
stessa opera un giovane muore per un bombardamento nella seconda
guerra mondiale.
Morte che
Lewis accoglie con gioia, perchè significa che andrà subito in
Paradiso, senza dover sopportare altre tentazioni in Terra.
Come se il
nostro pianeta non sapesse offrire altro, solo bruttezza!Sarebbe bastato che guardasse le illustrazioni dei suoi libri per vedere nei suoi stessi testi la contraddizione pittorica a tanta stupidità!
2 commenti:
Non so cosa aggiungere a tutti quello che hai scritto su "Le Cronache di Naria". Sapevo delle simbologie cristiane, ma non pensavo ci fosse tutta questa complessità...
Nulla vieta di leggerli per il proprio divertimento, e nient'altro. Almeno i primi romanzi della serie sono ottimi in tal senso :)
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