E' ormai moda affermare che per
descrivere in modo efficace un'ucronia l'infodump è indispensabile.
Che si tenti un dialogo o un'intromissione del narratore omnisciente,
l'infodump risulterà inevitabile, perchè un'ucronia storica
presuppone un cambiamento talmente profondo, talmente radicale che il
lettore rischia di restare spiazzato, confuso. Non avendo il
background di studio e/o documentazione che possiede lo scrittore, il
lettore fatica a farsi strada e dev'essere “imboccato” con un
bell'infodump all'inizio del libro. Potrà poi procedere tranquillo
nella storia, passato l'olio di ricino di uno stile tanto rozzo.
Ovviamente, è tutto falso.
L'infodump danneggia l'attenzione del
lettore ed è una tecnica brutale e becera, che dà la fastidiosa
impressione di sentire un professore che ti parla all'orecchio,
discorso noioso dopo discorso noioso. Ma sopratutto la necessità
dell'infodump in un romanzo di fantascienza ucronica viene
contraddetta in continuazione. Il romanzo Pashazade, ad esempio, è
un'ottima dimostrazione che un'ucronia non deve per forza spiegare
tutto e subito, ma anzi farsi forza proprio del mistero della sua
ambientazione.
Nell'ucronia di Jon Courtenay Grimwood,
la prima guerra mondiale è terminata bruscamente nel 1915,
attraverso un accordo diplomatico negoziato dagli americani. Di
conseguenza quella che conosciamo come “Grande Guerra” è in
realtà una delle tante guerre balcaniche d'inizio Novecento;
l'impero germanico è forte e vigoroso, l'Austria-Ungheria continua a
duellare con un Impero Ottomano tanto gigantesco quanto frammentato.
Di conseguenza il Medio Oriente e i territori del Nord Africa
risultano aree sì sottosviluppate, ma pacifiche, perché l'attenzione politica e militare del mondo occidentale risulta
concentrata altrove.
Nella provincia egiziana dell'impero ottomano,
El Iskandryia (abbreviata per semplicità in Isk) è una città
portuale ricca e fiorente, uno scalcagnato aggregato di arabi, ebrei, greci e occidentali. Il giovane governatore la dirige sotto pesanti
influenze del Kaiser.
Quello che fa Grimwood è prendere
l'instabile situazione dell'impero ottomano di fine ottocento/inizio
novecento e stabilizzarla nei suoi fermenti interni, dalle spinte
nazionaliste alle spinte religiose. L'impero viene poi congelato e
trasportato di peso nel futuro del ventunesimo secolo, arcaismi
religiosi e slanci tecnologici tutto incluso nello stesso pacchetto.
Il lavoro di ricostruzione
fantascientifica funziona sotto un profilo romanzesco. L'abilità di
Grimwood di coniugare introspezione psicologica, azione e descrizione
del setting è impressionante. Arriviamo a sapere che la prima guerra
mondiale non è terminata nel 1918 solo tramite un dialogo casuale a
metà libro, ma da tanti, tantissimi dettagli sappiamo fin da subito
che siamo dentro un'ucronia storica, una realtà alternativa pseudo
ottocentesca. L'ambiente in cui si muovono i protagonisti viene
lentamente “infiltrato” da piccoli dettagli che discordano dai
nostri studi di storia. La meravigliosa Isk si colora di arabesco in
arabesco un passo alla volta e la sensazione del lettore è di
scuotere una fotografia fresca di fabbrica, intravedendo i colori che
lentamente “emergono” dalla carta.
- No, – rispose Raf. - Linee temporali alternative. Vanno alla grande negli Stati Uniti. - Era vero. – Servono a capire cosa è successo, analizzando quello che invece non è successo, ma sarebbe potuto succedere... Per esempio, se l'America avesse partecipato alla terza guerra balcanica...- Ma è rimasta neutrale, come noi.- Non nel conflitto del 1966-1975, – disse Raf. – Parlo della terza guerra balcanica, 1914-15. Mettiamo che Woodrow Wilson non avesse strappato un accordo tra Berlino e Londra ma avesse inviato le sue truppe a fianco di quelle britanniche. Londra avrebbe potuto vincere. Il Kaiser ne sarebbe uscito indebolito in modo decisivo...- Il Kaiser avrebbe vinto comunque, – disse categorico Hamzah. – La storia è scritta da Dio.Raf sospirò. – Sì, ma immaginate, – disse. – L'impero prussiano crolla nel 1923, com'è quasi successo a quello austro-ungarico. In tal caso, gli ottomani avrebbero seguito la stessa sorte? Cosa sarebbe successo al Khedivé egiziano?
Quest'amore per il dettaglio è ancor
più straordinario se si considera quanto i personaggi, a partire dal
protagonista schizoide Ashraf, sono piuttosto sfaccettati. Ashraf
viene da un passato di scuole e college tra Scozia e New York dove
ha maturato una personalità sfuggente e camaleontica, a suo agio
nella finzione, guidato (posseduto?) da una volpe argentata che gli
regala spiccioli consigli di pura sopravvivenza. La storia di Ashraf
è la storia di Pashazade; è dunque un giallo con venature noir. Ma
se concentriamo l'attenzione sul protagonista è anche una storia di
formazione che non lesina passaggi difficili e regala un personaggio
sofferente, quasi “storpio” mentalmente. Abituato a confondersi
nella folla di una città statunitense e incapace di adattarsi nel
mosaico di culture decadenti di Isk, Ashraf annaspa per tutto il
romanzo alla ricerca di una “presa” su un mondo familiare per
sangue ma estraneo per cultura.
Si potrebbe spendere ore sui
co-protagonisti, in particolare Felix, un alcolizzato ispettore della
polizia locale e Hani, la nipotina del protagonista. La cura nel
dettaglio emerge persino nelle persone di sfondo, quelle silhouette
che altri scrittori riducono a stereotipo; Donna, la signora delle
pulizie, il servo sudanese e molti altri.
A questo proposito, l'aneddoto di
Grimwood sulla nascita del romanzo dovrebbe dar di che pensare:
Mi sono portato l'immagine di Raf, una decina di penne giapponesi dello stesso colore e un quaderno vuoto nella casetta che avevo sulle montagne spagnole e ho passato un mese a disegnare la mappa di El Iskandryia, la città in cui il ragazzo con i dreadlock sarebbe finito, a tratteggiare la casa in cui avrebbe vissuto e gli interni del bar che sarebbe diventato il suo ufficio.
Per tre mesi non ho scritto niente, ma alla fine dell'estate sapevo tutto quello che c'era bisogno di sapere su Raf, sulla sua nuova città e sulla famiglia di disadattati che gli sarebbe formata intorno.
Tre mesi! Sorvolando sul vezzo da
borghese altolocato della “penna giapponese” e della “casetta
spagnola” è incredibile pensare a tre mesi di sola preparazione
del background. Siamo decisamente lontani dalla scena nostrana di
ometti che scrivono tre libri in tre giorni di trenta pagine ciascuno
per autopubblicarli sul blogghino di turno. E questa preparazione
maniacale, per certi versi simile a quella di un dungeon master, si
riflette splendidamente nel romanzo, che è sempre preciso e
accurato. Non troverete mai la generica parola “automobile”,
piuttosto una “Daimler-Benz”. Allo stesso modo ogni via ha un
nome, ogni piazza una statua. I riferimenti storici che trapelano dal
romanzo appaiono sprecati, per il normale pubblico: quanti
riconosceranno Mehmet Ali, il leader che condusse l'Egitto a una
modernizzazione che non aveva nulla da invidiare a quella giapponese?
Per il normale lettore sarà un riferimento tra i tanti, ma ciò
nonostante aumenterà a dismisura la sua attenzione, la sua
percezione di un mondo completo e autosufficiente. Non abbiamo qui
l'ennesimo trucco da prestigiatore, l'ennesimo palcoscenico di
cartapesta.
Questa tassonomia di nomi&località
raggiunse il suo vertice negli oggetti d'artigianato, descritti da
Grimwood con dettaglio al limite del pornografico. In tal senso, si
potrebbe dire che il romanzo è steampunk, nel senso che ne condivide
l'amore per la tecnologia bella, ma pragmatica. Senza dubbio
Pashazade è fantascienza al cento per cento e tuttavia serpeggia tra
le pagine un amore per il retrofuturismo, per l'argento e i rivetti
che ho trovato molto piacevole.
E' una mia estrapolazione soggettiva,
ma considerate questo passaggio:
Sotto il gilet blu faccia da golem aveva una colt di ceramica infilata in una vistosa fondina ascellare di pelle, una di quelle eleganti, pinzate a sella con una fibbia cromata che non sarebbe mai passata al metal detector. Forse allora non era poi questo gran professionista.
Non ci si limita alla descrizione della
pistola, o della fondina che la contiene, ma addirittura della fibbia
sulla fondina! Oppure...
I primi tre negozi di Rue Faransa vendevano cianfrusaglie spacciandole per antiquariato. Una radio di bachelite in vetrina attirò lo sguardo di ZeeZee, ma quando entrò nel negozio per osservarla meglio scoprì che qualcuno aveva sostituito le valvole originali con degli scadenti circuiti somali.
Il negozio vendeva quasi solo riproduzioni di spade giapponesi perché era ciò che sembrava volere (e che poteva permettersi) la maggior parte dei turisti di Seattle. La spada che il ragazzo teneva in mano, però, era vera: si capiva dal prezzo.
L'elsa era di pelle di razza rivestita da una fettuccia di cotone, la tsuba era traforata e semplice, la fodera laccata, con qualche graffio attraverso cui appariva il legno sottostante. Ma era la lama del periodo shinto a renderla speciale. Persino il fatto che suo bisnonno fosse morto a Nanchino non le impediva di apprezzare la cruda bellezza della katana.
L'abilità descrittiva, che non è mai
disgiunta dall'attenzione al personaggio, risulta particolarmente
efficace perché non si limita alla sfera visiva, ma dà grande
attenzione a odori&sapori. Il vantaggio di un romanzo rispetto a
un film dovrebbe essere proprio mostrare quanto un medium puramente
visivo non può fare. E grazie alla curiosità di Ashraf è proprio
quello che succede, consegnando al lettore impressioni
particolarmente vivide.
Si veda un'operazione semplice quale
bere un buon caffè:
Sollevando la tazza dell'aeroporto alle labbra, ZeeZee si ritrasse quando la fanghiglia nera e bollente gli ustionò le labbra. Sapeva di limo dolciastro e chicchi di arabica non tanto gentilmente tostati quanto inceneriti a morte in uno speciale autodafé.
O ancora l'ipertrofica descrizione di
un dolce assaggiato da Zara:
Ashraf Bey avrebbe potuto benissimo non esistere, se ci si fosse dovuti basare sulle tracce che aveva lasciato fino a quel momento. – Putain de merde... –
Senza pensarci, Zara ingoiò l'ultimo dei suoi biscotti ipocalorici, fiocchi d'avena, fiocchi di cereali integrali, glicerolo, sorbitolo e orlistat, cinquantasette calorie in tutto, e rovinò ogni beneficio dietetico versandosi un altro caffè e dolcificandolo con un grosso cucchiaio di una cosa che sembrava fatta di diamanti grezzi ma era in realtà zucchero di canna.
Il romanzo tentenna nel momento in cui
si allontana da Isk. I capitoli di flashback di Ashraf non sono male,
ma risentono di una New York piuttosto anonima, oltre che di vicende
famigliari troppo mielose. Si potrebbe quasi pensare una
contrapposizione di freddo/New York, passato, flashback e caldo/Isk,
presente, vivo.
Le co-protagoniste femminili, da Hani a
Zara sono bene tratteggiate. Per Grimwood il principale difetto dei
maschi di Isk sembra essere l'indolenza, mentre le donne risultano
molto più disturbanti e pericolose. Nella tradizione musulmana di
Isk il ruolo patriarcale sembra interamente di monopolio della donna
anziana, dalla nonna alla madre, che la esercitano con tipica
brutalità verso figlie e nipoti. I maschi, occupati nella sfera
politico-militare, restano all'oscuro o vi sono indifferenti.
Nella conclusione del romanzo in
effetti quest'oppressione non trova soluzione se non nella fuga, sia
fisica che tecnologica.
Attualmente Pashazade è pubblicato in
Italia da Zona 42.
La traduzione di Chiara Reali scorre veloce e senza
intoppi.
Se siete interessati alla versione
ebook è disponibile sia su Kindle che in cartaceo. Io vi consiglierei
tuttavia di acquistarlo direttamente sul sito della casa editrice,
risparmiandovi trafile e bypassando quel brutto colosso di
Amazon.
Fonti: L'immagine della copertina alternativa
proviene dal blog di Iguana Jo, preparata nel corso della vittoriosa
campagna di crowdfunding conclusa l'estate scorsa.
4 commenti:
"Mi sono portato l'immagine di Raf, una decina di penne giapponesi dello stesso colore e un quaderno vuoto nella casetta che avevo sulle montagne spagnole e ho passato un mese a disegnare la mappa di El Iskandryia, la città in cui il ragazzo con i dreadlock sarebbe finito, a tratteggiare la casa in cui avrebbe vissuto e gli interni del bar che sarebbe diventato il suo ufficio.
Per tre mesi non ho scritto niente, ma alla fine dell'estate sapevo tutto quello che c'era bisogno di sapere su Raf, sulla sua nuova città e sulla famiglia di disadattati che gli sarebbe formata intorno."
Magari, riuscire a lavorare così! :-)
Io mi accontenterei di un luogo tranquillo e silenzioso, anche se sì, la baita sui monti non sembra male...
Sei riuscito molto bene a rendere sia lo stile di Grimwood sia la sua cura nel worldbuilding - e mi pare di capire che le due cose siano in sintonia. Anche questo libro è in coda di lettura. Mi incuriosiscono in particolar modo la costruzione di Isk e tutte le sue sfaccettature.
Il livello di dettaglio di Isk è strabordante, specie perché vista dagli occhi "estranei" di Ashraf.
Per assurdo, se Grimwood volesse trarne un manuale di ambientazione per un gioco di ruolo non avrebbe grandi difficoltà... E' già tutto descritto&preparato.
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