Vysogota di Corvo è un
anziano eremita che vive nelle paludi.
Esiliato, cacciato
dall'università per idee sovversive, vive una vita tranquilla tra
pesca e meditazione. Un giorno, trova una fanciulla svenuta, dalle
ferite lancinanti.
E' Ciri, la principessa delle leggende: l'ultima
discendente del trono di Cintra, un incrocio più unico che raro tra
profezie millenarie e sangue elfico. Mentre accudisce la giovane
convalescente, la Fiamma di Cintra inizia a raccontare la sua
storia...
Ranuncolo è un bardo col
debole per le ragazze.
Al tramonto, mentre siede con Geralt, Milva e
Regis intorno al fuoco, scrive le sue avventure che ha già
pomposamente nominato “Cinquant'anni di poesia”. E' dai frammenti
di questo tubus che apprendiamo le ultime fatiche dello strigo
Geralt...
Kenna Selbourne è una
soldatessa di Nilfgaard.
Svolge il ruolo di spia e ha poteri da
sensitiva. E' processata da un tribunale imperiale, accusata di
tradimento. Sotto lo sguardo del giudice inizia la sanguinosa
testimonianza della caccia a una pericolosa banditessa di nome Falka,
pseudonimo di Ciri...

Il tratto principale dell'ultimo
romanzo di Sapkowski è la struttura a clessidra.
Mentre i racconti
dell'autore polacco ricordano delle fiabe e ne ricalcano la struttura
lineare, dove abbiamo un (anti)eroe, Geralt, alle prese con un mostro
che raramente si mantiene tale, nel romanzo La Torre della Rondine la
struttura appare singolarmente complessa. La testimonianza di Ciri
all'eremita Vysigota apre una parentesi che si manterrà stabile per
quattrocento pagine sulle cinquecento del libro. La testimonianza –
scritta stavolta – del menestrello Ranuncolo occupa un intero
capitolo, mentre Kenna Selbourne permette una variante giuridica di
questa tecnica, permettendo uno sguardo “dall'interno” nel mondo
di tagliagole e spie che insegue Ciri.
Una struttura a clessidra,
perché in alcuni punti Geralt, Ciri, Ranuncolo, Kenna e molti altri
finiscono per incrociare i rispettivi sentieri in un incontro/scontro
piacevolmente sanguinoso.
Verso il termine del
romanzo queste rispettive linee sfumano, man mano che l'azione
ritorna nel presente: Ciri abbandona Vysogota, il punto di vista
ritorna fisso su Geralt, s'aprono occasionali parentesi su diversi
personaggi secondari utili alla trama.
Il mondo di Sapkowski non
è mai stato sfaccettato, ricco di riferimenti e vivo come in
quest'ultimo romanzo. Se già Ciri e Geralt sono personaggi ricchi
psicologicamente, afflitti dall'introspezione filosofica e un certo
nichilismo di fondo, il fantasy polacco si arricchisce di
co-protagonisti credibili, moderni nel pensiero e nelle accuse che
lanciano.
Il cacciatore di taglie Bonhart, un sadico sull'orlo della
pensione.
La determinazione ben poco femminile di Yennefer, maga
ormai in esilio dalle sue stesse consorelle. I compagni di Geralt:
dall'arciera Milva a Ranuncolo (ovviamente!), da Angouleme al
rinnegato Cahir. A ognuno, anziché relegarli nello stereotipo,
Sapkowski concede largo spazio, cercando d'inserirvi nuovi tic, nuovi
tratti di personalità. Aiuta, in tal senso la mole enorme di
dialoghi, fedelmente rispecchiata nei videogiochi. Tutti parlano,
discutono, si lanciano in monologhi e imprecazioni contro la
“cattiva” natura umana. Dalla critica degli outsider di
Sapkowski non sfugge nessuno: a finire accusati piombano tutti, dalla
nobiltà, al clero, ai mostri, agli elfi terroristi, ai druidi
persino, in una delle scene a mio parere forse tra le più intense
del libro.