Parli del diavolo. Qualche giorno fa mi
lamentavo in chat con un amico sulla superficialità di certi newser
e certo giornalismo d'accatto praticato in quei siti di notizie
generali che una volta avremmo sprezzantemente definito “rotocalchi”.
Siano le ultime curiosità su quella data attrice, notizie di sbarchi
d'immigrati o ultime grida nel campo della moda, l'informazione del
giorno è puntualmente inattendibile, fraudolenta e miserabilmente
povera.
Posso in effetti comprendere come
lavorare nelle vesti di newser deve far parecchio schifo e sono il
primo ad ammettere che il disprezzo che la blogosfera nutre per il
giornalismo ufficiale è motivato dalla semplice invidia. Non siamo
riusciti a pubblicare sul giornale, allora, per vendetta, parliamone
male. Verissimo.
Nel campo dei videogiochi tuttavia,
basterebbe davvero poco per migliorare la situazione.
Citare la fonte
inglese, il sito da cui si sono attinte le informazioni, sarebbe già
un buon passo in avanti. Non limitarsi a tradurre le suddette
notizie, ma incorporarle in un articolo coerente, darvi un proprio
punto di vista personale e citare quante più fonti diverse sarebbe
un graditissimo cambiamento. Un giornalista da rotocalco, almeno
nella mia discutibilissima opinione, non dovrebbe limitarsi a
un'unica fonte, ma citarne diverse ed esporre quanti più punti di
vista possibili.
Prendiamo Hatred.
I siti di videogiochi l'hanno
presentato come un gioco controverso, dove nei panni di uno
psicopatico imperversi in una cittadina. Lo scopo è unico e
semplice: uccidere quanti più civili possibili. Dopo queste notizie
il newser ha puntualmente allegato il trailer e, obbediente soldatino, concluso la notizia. Seguono i diversi commenti, ovviamente
entusiasti dell'ennesimo simulatore di macello globale. Un timido
commentatore azzarda l'idea che tutta quella violenza sia eccessiva,
viene puntualmente zittito dal coro di pecore belanti...
Io ho giocato a Postal a nove anni ma non sono mica diventato un killer!!!1
Scuotendo la testa, passiamo a leggere
la notizia sui siti internazionali.
Il livello di approfondimento,
forse per effetto delle paghe più alte (chi sono io per negarlo?) è
mostruosamente, immensamente maggiore. Il sito Polygon, dopo la
presentazione del trailer, analizza le notizie finora disponibili
traendone un verdetto decisamente negativo. Il livello di violenza in
Hatred è infantile, affidandosi a un effetto shock anni novanta
ormai sorpassato. Fattore decisamente più inquietante, il gioco non
si limita a promuovere il genocidio di massa, ma celebra allegramente
la tortura e la sofferenza: il protagonista non si limita
all'uccisione indiscriminata, ma mira a infliggere quanto più dolore
possibile. Il motivo? L'odio. Lui odia l'umanità – senza una reale
ragione, l'odia e basta – e di conseguenza tutti devono morire.
Molto perverso, molto sadico, molto infantile.
L'odio verso tutto e
tutti è una fase tipica dell'adolescenza depressa, caratteristica di
perdenti e frustrati. Il mondo mi odia, io odio lui. Possiamo dunque
vedere il trailer com'è davvero: un videogioco che vorrebbe essere
traumatizzante, ma che sortisce l'effetto contrario. Sorvolando sulla
pancia e i capelloni unti del protagonista, fanno molto meno ridere
le continue torture ai diversi civili. Anche a voler creare un gioco
sulla falsariga di Postal, era davvero necessario mostrare il
protagonista che ficca una pistola in bocca a una donna inerme e
preme il grilletto?