In seguito
allo scandalo Weinstein e alla catena di accuse e contro accuse che
sono seguite, mi è tornato alla mente il dimenticato romanzo “Il
Canyon delle Ombre”, di Clive Barker.
Uno dei suoi
ultimi (e corposi) romanzi prima del grande silenzio, il Canyon è
prima di tutto un'opera horror, ma in secondo luogo è una satira
verso Hollywood tanto aguzza che bisogna leggerlo con cautela –
onde non sanguinare sul tappeto, tanto taglienti sono alcune
situazioni, alcuni dialoghi.
Un Barker
già malaticcio vomita tutto il suo livore verso la Città degli Angeli con
una storia di fantasia, che tuttavia chiaramente attinge dalle sue
esperienze come regista e sceneggiatore dagli anni '80 fino ai primi
'2000.
Todd
Pickett, un attore sulla via del tramonto, spera di riconquistare i
suoi fan con un'operazione chirurgica al viso, che gli dovrebbe
ridare i vent'anni persi da tempo.
Un imprevisto lo lascia
orribilmente mutilato e lo sospinge a rinchiudersi sempre di più
nella sua villa anni Venti, dove scopre un mosaico medievale
trasportato dall'ex proprietaria.
La villa era infatti di proprietà
di una star degli anni ruggenti, in quel periodo dalla grande guerra
al 1929 di maggiore fama e decadenza di Hollywood.
Lo stesso Barker lo
ammette, quando a proposito di “Vangeli di Sangue”, scrive di non
aver voluto stavolta scrivere un polpettone, memore dei suoi ultimi
lavori ai primi '2000, tra i quali per l'appunto “Il Canyon delle
Ombre”.
Tuttavia il
romanzo è interessante, perchè Barker scrive di attrici violentate,
di contratti infernali, di Oscar di sangue: tutto fuori dalle righe, tutto
“demagogico” per i lettori... salvo poi constatare a quindici
anni di distanza, che sì, quel mondo horrorifico descritto da Barker
non era affatto così esagerato. Anzi, a confronto con quanto si va
scoprendo, tra Weinstein e Kevin Spacey, viene da pensare con
nostalgia ai mostri e alle invenzioni soprannaturali di Barker.
Sarebbe
interessante rileggere “Il Canyon delle Ombre” alla luce delle
ultime news, per leggervi in filigrana l'accusa di Barker a
Hollywood.
Barker nel
romanzo opera un collegamento storico e soprannaturale con gli anni
'20: come in quel periodo Hollywood era una bestia selvaggia che
mangiava e risputava attori e attrici come preferiva, così lo è
tutt'ora, che sia il 2001 quando il romanzo veniva pubblicato o il
2017 del caso Weinstein.
La
descrizione degli anni '20, che Barker affronta con occhio tanto
fresco quanto disincantato, mi ha portato a rovistare tra il pattume
di Internet Archive, per trovare un altro collegamento che sancisse
dal 2017 il passaggio al 2002 e da questo al 1920, nel segno di
un'identica continuità di oppressione di uomini e donne di potere
nei confronti dei più deboli.
Ho così
trovato questo interessante pamphlet scandalistico, “The Sins of
Hollywood”, di un giornalista anonimo. Pubblicato nel 1922, è un
libello d'un centinaio di pagine che descrive con dovizia di
dettagli, caso per caso, quanto definisce i “vizi” dell'industria
cinematografica.
Ci si deve
ovviamente porre, a questo proposito, la domanda su quanto sia
attendibile un libretto del genere. Una fonte, solo perchè
“storica”, non diventa automaticamente attendibile; il sospetto
dell'autore deve tanto più aumentare quanto più la fonte gli
conferma i suoi bias.
Nel caso in
questione, non c'è dubbio che “I Peccati di Hollywood” nasca
come un'opera scandalistica, venduta un tanto al chilo. L'autore si
propone di far luce sulle malvagità dell'ambiente cinematografico,
ma scende talmente nel dettaglio dei rispettivi vizi, che al lettore
sovviene il dubbio sia piuttosto interessato per altre ragioni.
Chiaramente il libello veniva comprato dai lettori maliziosi, curiosi
sulle perversioni dei rispettivi beniamini.
Un altro
elemento che depone a sfavore dell'autore è quanti capitoli siano
dedicati alle “gold diggers”; attricette e donne mature che
infatuano buoni padri di famiglia conducendoli allo sfacelo economico
e sociale. Non è a questo proposito difficile intravedere una
polemica nei confronti dell'emancipazione femminile del periodo,
delle flappers di quegli anni. Altre volte il giornalista anonimo
inorridisce o si lancia in filippiche cariche di retorica, che sono
un buffo contraltare al clima europeo, nel cinema e nelle arti di
gran lunga più maturo. Alcune situazioni descritte sono
raccapriccianti, ma altre suscitano indignazione solo a causa del
retrivo puritanesimo americano.
A questo
proposito l'autore è anche vittima del falso conflitto tra città e
campagna, dove l'ambiente urbano è inevitabilmente corrotto e
peccaminoso, contrapposto all'innocenza idilliaca della countryside.
Un giro nella Bible Belt difficilmente avvalora questo vecchio
stereotipo.
L'anonimo
autore è anche un sottile razzista: l'accusa agli attori di
Hollywood di drogarsi rispettivamente di oppio, eroina, cocaina e
morfina viene attribuito all'immigrazione cinese, nei confronti della
quale verranno infatti varate diverse leggi nel 1920, che saranno poi
oggetto di vivissima lode nel Mein Kampf.
Pur con
tutti questi difetti, “The Sins of Hollywood” è interessante,
perchè già nel prologo denuncia una congiura del silenzio, da parte
dei mass media, a favore dell'industria della celluloide.
A parere
dell'autore, la/le libertà americane sono quotidianamente violate da
un monopolio di giornali che nascondono le illegalità e i vizi degli
attori hollywoodiani, così come le perversioni di registi e produttori. Invece che richiedere più leggi, più
regolamentazioni, più censura, l'autore vuole solo che il tumore
hollywodiano – come lo definisce – venga esposto senza dover
rischiare una campagna denigratoria dalla stampa.
Anzi,
paradossalmente giunge a ritenere la censura nei film un fenomeno
dovuto al silenzio dei mass media, che ha portato a deviare le colpe
degli attori al film. Anziché dunque punire l'immoralità degli
attori e dei registi, si preferisce prendersela con il film,
accusandolo di corrompere le generazioni.
E' un punto valido, perchè
riflette le posizioni dei giornali sui videogiochi, dove all'ennesima
sparatoria sui civili, anziché prendersela con le lobby delle armi,
si criticano i videogames e la loro “natura violenta”. Allo
stesso modo tanti accademici americani, impossibilitati a criticare
padroni e sfruttatori, preferiscono devolvere lo sforzo polemico sul
prodotto culturale, chiedendo di censurare quel libro, quel fumetto,
quel film. Anziché scrivere ad esempio sugli stupri compiuti dai soldati Onu in Africa, si preferisce usare le proprie conoscenze per
criticare quella data rappresentazione della donna in quel dato
trailer di quel dato videogioco di quella data fiera.
E' la
frustrazione del castrato, una piaga universitaria piuttosto diffusa.
Sai che non
puoi scrivere su quell'argomento senza destare antipatie tra amici e
collaboratori o addirittura senza rischiare una ritorsione o il
licenziamento: di conseguenza sfoghi un'istruzione che andrebbe
utilizzata altrove nel campo dell'intrattenimento.
Nello stesso
filone occorre considerare a partire dagli anni '30 la rigida censura
operata verso il cinema horror, ad opera di comitati governativi che
non sarebbe sbagliato ipotizzare consapevoli delle efferatezze
compiute a Hollywood.
Impotenti, si preferisce colpire il film
anziché il regista. Quite sad, really.
A proposito della censura, si veda il saggio sull'horror anni '30 di Jon Towlson:
Steffen Hantke has stated that capitalism “contains within itself contradictions, schisms, ruptures.” Of course, horror cinema in the thirties (along with the sex picture and underworld crime film) itself represents such a contradiction, schism, rupture. Sensational screen content in the pre–Code era arose from an economic imperative: to draw audiences back into theaters by ramping up the sex and violence. But such content also posed moral and ideological threat, a schism between economic base and ideological superstructure, which ultimately necessitated the introduction of tighter industry regulation and censorship in order to bring base and superstructure back into alignment. Moreover, the schisms of capitalism also manifested in other ways beside censorship troubles in the American film industry of the early 1930s: in the cultural conflict between provincial and urban, Catholicism and Protestantism, and federal and state. Except for a brief period between 1933 and 1935 when Roosevelt’s National Recovery Act encouraged monopoly in business, the major Hollywood studios were constantly under the threat of prosecution under longstanding monopoly legislation; they were under attack by consumer groups, Congress and the Federal Trade Commission alike for block-booking films in theaters (the practice by which the studios imposed their product—regardless of quality or subject matter—on independent theater owners, thereby stifling competition); they were under attack by the Catholic Church and other pressure groups who objected to “indecent and immoral pictures, and those which glorify crime and criminals” and whose Legion Of Decency threatened to order a boycott of films and movie theaters unless the industry cleaned up its act. The emergence of the horror film in the thirties must therefore be understood within the context of industry politics and cultural struggle.
Il rapporto
direttamente proporzionale tra violenza del produttore/regista e il
successo della carriera dell'attore/attrice appare evidente già nel
prologo:
Privately they have lived, and are still living, lives of wild debauchery.
In more than one case licentiousness and incest have been the only rungs in the ladders on which they have climbed to fame and fortune!
Come potete
leggere, l'accento è più sulla depravazione degli attori, che sulle
vittime, spesso colpevolizzate. Tuttavia, “the only rungs in the
ladder” è piuttosto chiaro.
They knew of the horde of creatures of easy morals who hovered about the industry and set the standard of price – decided what good, clean women would have to pay – have to give – in order to succeed.
They knew of the macqueraux – of the scum that constitued the camp followers of the great stars. They knew of the wantoness of their leading women –
They knew about the yachting parties – the wild orgies at road houses and private homes
They knew about Vernon and its wild life – Tia Juana and its mad, drunken revels –
They knew about the kept women – and the kept men –
They knew about the prominent people among them who were living in illicit relantionship –
There was a time at one studio when every star, male and female, was carrying on an open liason – The producer could not help knowing it.
Ancora una
volta, gigantesca enfasi sull'aspetto “morale” della questione.
Tuttavia, il “what good, clean women would have to pay – have to
give – in order to succeed.” è un'ammissione raggelante,
virtualmente indistinguibile dalle scoperte in seguito al Caso
Weinstein.
Cabiria, di Giovanni Pastrone/ Gabriele D'Annunzio/ Segundo de Chomón, 1914 |
In effetti,
è piuttosto interessante come chi gridasse allo scandalo venisse
accusato di voler danneggiare l'industria filmica:
Any attempt to bring about reform was called “hurting the industry”.
It was the lapses and laxities of the producer that precipitated the censorship agitation – that led a nauseated nation, determined to cleanse the Augean stables of the screen, into the dangerous notion of censorship – almost fatally imperilling two sacred principles of democracy – freedom of speech and freedom of the press!
Il capitolo
dedicato alla droga – Dope! – è interessante, ma slegato
dall'argomento.
Le dosi in
ogni caso assunte in America erano poca cosa al confronto con la
capitale narcotica di quegli anni, ovvero Berlino. In effetti, se si
confrontano le copertine pulp americane con il loro equivalente
europeo, Der Orchideengarten, ci si sorprende di quanto i tedeschi
fossero avanti, prima del crollo della Repubblica di Weimar.
In ogni caso
il carattere darwinista e gerarchico del sistema Hollywoodiano è
nuovamente confermato:
There are other case, of course. For it is the young and inexperienced who suffer most. It is they who are driven to despair, and there are many in Hollywood today.
Il capitolo
“Strip Poker and Paddle Parties” presenta la testimonianza di
un'aspirante attrice, Jane Evans. L'adolescente si presenta a un
produttore noto nel settore, che dopo aver dato un'occhiata alle sue
foto e confermato che sa “swim and ride” la invita a un
appuntamento di lavoro a mezzanotte.
L'ingenua
popolana (conflitto campagna vs città) accetta, salvo scoprire che
l'incontro per il lavoro preclude un rapporto con il produttore. In
anticipo, è invitata in una villa quasi al buio, costretta a un
gioco di strip poker con gli attori e amici ubriachi.
Quando il boss finalmente compare, si scusa per il comportamento
irrispettoso degli “amici” e la convince a restare: la Jane
scopre troppo tardi che sta per partire una “Paddle Parties”: le
ragazze semi svestite ricevono ciascuna un numero, che i festiccioli
si giocano a sorte, ciascuno poi intrattenendo un rapporto più o
meno ubriaco con la ragazza “premio”. Jane alla fine riuscirà a
fuggire dall'orgia, grazie a un uscita di servizio e allo stato
alcolico di gran parte dei presenti.
So che
alcuni elementi, a causa degli anni '20, fanno sorridere: il
narratore ad esempio sembra morire dalla vergogna, mentre descrive un
semplice gioco di Strip Poker.
Tuttavia riesce a trasmettere con una
certa efficacia il terrore della ragazza, specie man mano che la
festa va avanti e si rende conto che dovrà accettare le “attenzioni”
del produttore:
“Nothing can be stripped off that some other player has removed before” laughed one of the men. “Now be a good sport and pay your bets. No waists or skirts or shoes.” She became fearfully indignant. She arose and said she thought it was time to leave.
“She is crawfishing,” cried one of the women. “Make her pay, Al”.
The man who answered the name of “Al” put his cigar more firmly into the corner of his big flabby mouth and arose. He took hold of her and unhooked the back of her dress.
The others roared and the other man wanted to know if “he wanted any help?”Jane began to cry. She tried to tear away from the man. He sunk his dirty fingernails into her white full arm.
Just then the “boss” was heard coming down. He reached the scene at the poker table with incredible haste.
He looked at Jane who was wiping a tear and tried to look calm...
Il “Paddle
Party” è altrettanto significativo, perchè le diverse
ragazze/attrici sono descritte come esemplari in vendita a un'asta di
schiavi, con l'affannarsi degli attori che “puntano” la donna
desiderata. La vincitrice ottiene i soldi e come confessa una
compagna di Jane, avanzamenti di carriera.
Accanto alla
droga e alle “gold diggers”, un elemento che caratterizza una
buona metà delle storie è il comportamento specialmente crudele dei
“comici”: inventori di nuove gag, banali attori che salgono alla
ribalta in pochi mesi, diventando estremamente popolari. Tanto
aggressivi nelle pretese sessuali quanto arroganti, i comici sembrano
costituire nel libello una categoria a parte, che si distingue causa
un estremo cinismo.
Theda Bara in Cleopatra (1917) |
Atlanta,
“the girl”, è un'altra ragazza in cerca di fortuna a Los
Angeles. Come Jane, per il suo rifiuto di accettare le pretese del
produttore verrà esclusa dal mercato di corpi di Hollywood. Stavolta
il luogo delle tentate avanches è l'ufficio del produttore,
descritto come un uomo grasso e volgare, che si presenta alla ragazza intento
a russare beatamente. La segretaria preferisce aspettare che si
svegli da sé, perchè non è sicuro “sia vivo”.
Al momento
del colloquio, il conflitto tra la presentazione della ragazza e i
grugniti soddisfatti del produttore viene reso bene:
“Vell,” he smiled, and pushed his chair close up where the girl sat. “Speak your piece.”
Determined to succeed and to tolerate his idiosyncrasies, Atlanta began:
“I want to get into the motion pictures and will work hard, very hard.”
“You have a nice figure,” said Junius, and looked her over.
“I have had some dramatic experience,” she stuttered.
“Vy don't you act that way, then,” he smiled.
“You are camouflaging, and why?”
“In high school plays and in–”
“You have swell ankles and pretty knees, I think–” he continued. “Vat do you veigh– live weight?”
“I weigh one hundred and twenty-two,” said the girl. “As I was going to say– I – want to be given a chance –”
“It's up to you,” replied Junius. “You are a high kicker, yes?”
He held his hat high above his head, invitingly.
“Can you do anything for me?” she asked, ignoring his personal remarks and attempting to overlooking his leering glances.
“I told you it vas up to you personally,” said the man, insistenly. “Do you live with your mother or have you a apartment. If you live with your mother– well, there's nothing doing–”
Atlanta could stand it no longer. She arose, trembling and disgusted.
Al termine,
come Jane, anche Atlanta fugge dall'incontro, stavolta brandendo uno
spillone e urlando verso il produttore. Questi a sua volta l'avverte
che non troverà lavoro dopo la “scenata”: la donna infatti si
accorge di essere stata inserita dentro una “blacklist” di
oppositori che in un modo o nell'altro non si sono concessi e sono
pertanto esclusi totalmente dall'establishment.
L'autore
preferisce declinare in chiave morale la faccenda, ma le conseguenze
lavorative appaiono chiare, valide nel 1922 come nel 2017:
“I'll queer you all over town,” he said, “you– you are a lemon!” Of course, the girl did not know till later that he was a member of a producer association, and that the blacklist was one of his weapons for stubborn girls with “false” standards of virtue”.
Bibliografia:
“The Sins of Hollywood” (Internet Archive)
Una biografia dell'autore “anonimo”, Ed Roberts. Interesting stuff!
L'attore
Rodolfo Valentino, in teoria nominato sotto pseudonimo nel pamphlet, compare anche nel “Canyon delle Ombre”, di Clive Barker.
2 commenti:
Non so davvero che altro aggiungere.... Ancora ha volta hai scritto un articolo perfetto!
Interessantissimo fino alla fine!
@Marco Grande Arbitro
Mi fa piacere, di solito gli articoli di storia vengono ignorati :-)
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