lunedì 6 aprile 2015

Conan di Cimmeria (Fantacollana 24)


No, non ho dimenticato la promessa di leggere i volumetti della Fantacollana dedicati al buon Conan. Tuttavia, volendo seguire il corretto ordine cronologico di Sprague de Camp, ho subito incontrato l'ostacolo di un volume mancante: Conan di Cimmeria. Ero appena alla seconda tappa dei muscoli guizzanti del barbaro preferito di sempre e già mi mancava un volume. Una veloce ricerca in biblioteca mi ha svelato l'orrida realtà, che il terzo volume – Conan il pirata – era già disponibile mentre Conan di Cimmeria non era proprio in rete.
Potevo immediatamente leggere il terzo volume e recensirlo senza perder tempo, o affannarmi a rintracciare il secondo volume. Visto che sono un masochista filologo, ho scelto la seconda opzione.
E così, a parecchie settimane di distanza, possiamo finalmente riprendere la lettura.
La buona notizia è che non ci vorrà molto prima di leggere Conan il pirata, mentre il quarto volume, Conan lo zingaro (!), è allegramente disponibile in biblioteca, sebbene a Gorizia. Il che non mi sorprende, dopotutto per delle avventure girovaghe, è giusto che girovaghi anch'io. Certo pur considerando la distanza di anni dalla pubblicazione (1980) mi sfugge perché non tradurre quel Wanderer col ben più accattivante “viandante”, o addirittura “pellegrino”. Si ricercava forse una sfumatura esotica...
Gustando le avventure di questa seconda Fantacollana ho constatato una spaccatura decisa tra le opere originali di Howard, pubblicate quando in vita e le diverse imitazioni e rimaneggiamenti di Lin Carter e Sprague de Camp. Nessuno di questi racconti è brutto per davvero, e tuttavia la differenza di qualità si sente sia nel contenuto che nello stile.
Howard non perde tempo, incalza sempre. Non si sprecano dettagli superflui nella narrazione, è tutto scintille e sforzi muscolari. Se vi sono descritti pensieri, questi non interrompono mai il flusso di azioni del barbaro. Al contrario, i pastiche di Sprague de Camp sembrano volersi spesso soffermare nel dettaglio su quella o quell'altra azione, a volte descrivendo il flusso di pensieri di Conan. Il puntiglio con cui Lin Carter riepiloga dov'è il barbaro, cosa sta facendo, in quale punto della mappa si trova può far piacere ai giocatori di ruolo o ai cartografi, ma stona nell'ambientazione hyboriana. Inoltre, nelle tematiche narrate è sorprendente come siano le opere “posteriori” a risultare fiabesche e ingenue, mentre i racconti originali di Howard spesso tentano l'uso di mostri più fantascientifici che fantasy. Conan, specie se calato nelle giungle del sud, alle prese con città e necropoli abbandonate, fronteggia una mostrologia di sub-umanoidi, primati e creature alate che hanno davvero molto a che fare con Lovecraft. Trapela uno sforzo ammirevole di dare verosimiglianza a nemesi&mostri partorite dall'evoluzione naturale e da linee di sangue corrotte, lontane dal mostro “perchè fantasy”.


La Maledizione del Monolito

Racconto ex novo di Sprague de Camp e Lin Carter, la Maledizione del Monolito è un racconto tragicomico: Conan, nelle lontane terre del Khitai, viene coll'inganno attirato presso un monolite dov'è sepolto un grande tesoro. Nella realtà, il monolito è un gigantesco magnete che acchiappa Conan e lo tiene incollato alla roccia. Incapace di muoversi, il barbaro rischia di venire pappato da un mostriciattolo pieno di bava e tentacoli, che si nutre di ferro e carne umana. Nel frattempo, l'evil overlord se la ride, convinto che Conan è ormai spacciato...
Al di là della trama risibile, l'idea del magnete è ridicola: Conan non è certo un cavaliere con un'armatura a piastre, non può venire immobilizzato così facilmente. E' anche un'occasione sprecata per descrivere una terra come il Khitai, raramente trattata da Howard. In teoria è una via di mezzo tra la Cina basso medievale e le steppe mongoliche, uno spunto interessante.

Il Dio Insanguinato

Il Dio Insanguinato segue una genesi curiosa, provenendo infatti da un racconto di Howard ambientato ai giorni nostri suoi, The Trail of the Blood-Stained God, un racconto nell'assolato Afghanistan. L'infaticabile Sprague de Camp decise di trarne una versione antica, con Conan come protagonista e l'usuale ambaradan di mostri, maghi malvagi e patetiche orde di minions.
Particolarmente mal riuscito il neologismo “Iranistano”, che fa sorridere per quant'è goffo; non che solitamente i neologismi di Howard siano particolarmente arguti, ma qui si sfiora l'idiozia.
Colpi di scena improbabili e un plot poco ispirato rendono questo racconto appena passabile.

La figlia del gigante dei ghiacci
Diamo spesso per scontato la violenza nel fantasy howardiano, ma raramente ci soffermiamo su quant'è terribile e magnifica la violenza del barbaro cimmero. La figlia del gigante dei ghiacci, opera originale di Howard, è paradigmatica di questo atteggiamento: tutto, nelle azioni e nella narrazione trasuda un'energia primordiale e selvaggia.
Partiamo già con un incipit eccezionalmente sanguinoso, dove Conan è l'unico sopravvissuto di una violenta imboscata ai danni del manipolo di Aesir cui si era aggregato. Nella neve tinta del rosso dei barbari del nord, uno già esausto Conan taglia a fette l'unico guerriero sopravvissuto per poi cadere nell'incoscienza. Al risveglio, un'ariana fanciulla d'indescrivibile bellezza passeggia tra i caduti e accorgendosi del suo risveglio lo guarda seducente. Pur avendo macellato una dozzina di nemici e pur avendo sconfitto in duello il loro soldato migliore, Conan trova la forza per alzarsi e rincorrere voglioso l'apparizione celestiale:
Con un sospiro, Conan scosse il capo. «Niord avrebbe dovuto raggiungerci prima che iniziasse la battaglia. Temo ch'egli e i suoi uomini siano caduti in un'imboscata. Wulfhere e i suoi guerrieri giacciono morti... Pensavo che non ci fossero villaggi per molte leghe da qui, poiché la guerra ci ha portato lontano; ma tu non puoi avere percorso una grande distanza su queste nevi, nuda come sei. Conducimi alla tua tribù, se sei di Asgard, poiché sono indebolito dai colpi che ho ricevuto e sono stanco per la battaglia.»
«Il mio villaggio è più lontano di quanto tu possa camminare, Conan di Cimmeria» rise lei. Spalancando le braccia, ondeggiò davanti a lui: la sua testa dorata si agitava sensualmente, e i suoi occhi scintillanti scomparivano a tratti dietro le lunghe, seriche ciglia. «Non sono magnifica, uomo?»
«Come l'alba che corre nuda sulla neve» borbottò Conan, e i suoi occhi si accesero come quelli di un lupo.
«Allora, perché non ti alzi e non mi segui? Chi è questo forte guerriero che si ritira davanti a me?» cantò lei, in tono di scherno. «Stenditi a terra e muori nella neve, insieme con gli altri pazzi, Conan dai capelli neri! Tu non potresti seguirmi dove ti condurrei.»
Con un'imprecazione, il cimmero si sollevò in piedi, a fatica. I suoi occhi azzurri mandavano fiamme, e il suo volto abbronzato e segnato dalle cicatrici era contorto in una smorfia. L'ira gli agitava l'anima, ma il desiderio della figura provocante che aveva davanti a sé gli martellava nelle tempie, gli spingeva nelle vene il sangue selvaggio. La passione, bruciante come un tormento fisico, inondò tutto il suo corpo, e terra e cielo ondeggiarono arrossati davanti al suo sguardo confuso. Stanchezza e debolezza vennero spazzate via, tanto forte era la follia che si era impadronita di lui.

Non è difficile capire che Atali è una semidea, una sirena dei ghiacci il cui scopo è stuzzicare i guerrieri feriti e spingerli a perdersi nella neve e nel freddo, fino alla morte per ipotermia.
Conan, nonostante le ferite tuttavia non demorde e con sorpresa di Atali la rincorre e addirittura sembra riuscire ad afferrarla per un'istante! Atali richiama di conseguenza i suoi fratelli, i letali giganti di ghiaccio del titolo. Un paio di fendenti e l'infoiato Conan li riduce a ghiaccio per i cocktail. Dove i più valorosi Aesir erano morti assiderati, Conan non vuole rinunciare a spassarsela con una bella ragazza, sia pure una dea del Valhalla... non sarà uno spoiler svelarvi che Atali ovviamente scompare nel momento in cui Conan sembra voler completare i suoi turpi propositi di barbaro dal sangue caldo...
Voglio tuttavia sottolineare la strafottenza notevole del tutto. Conan non si limita a sconfiggere nemici umani, ma pur di far sesso sconfigge letteralmente gli dei di un intero pantheon, e nel farlo li dileggia. La chiusura del racconto completa perfettamente l'avventura, perché tronca subito eventuali sviluppi, lasciando l'intera corsa nella neve in un alone di mistero.

La tana del serpente dei ghiacci

Racconto apocrifo di Lin Carter e Sprague de Camp. E' posizionato nel volume subito dopo La figlia del gigante dei ghiacci e con chiare ragioni, perchè siamo ancora nelle terre degli Aesir. Nonostante non sia un racconto howardiano, vede uno piacevole scontro tra il cimmero e un serpente dall'alito di ghiaccio, che Conan sconfigge con un proiettile infuocato scagliato da una fionda artigianale. 
E' forse il racconto più fiabesco della raccolta.

La regina della costa nera
Howard doveva aver profuso grande impegno nel racconto in questione. Viaggiamo infatti sul numero di pagine del racconto lungo, insieme a un'insolita cura nella presentazione di personaggi e situazioni. Howard introduce un personaggio fondamentale nella vita di Conan: Belit, una piratessa a capo di una ciurma di neri dediti a razzie e incendi sulle coste.
Dopo alcune spiacevoli incomprensioni con la giustizia civile, Conan fugge su una nave mercantile, dove lavora di buon grado come uomo d'arme e marinaio. I pirati tuttavia attaccano a sorpresa e macellano l'equipaggio: sono la terribile ciurma di Belit, la regina della costa nera. Ammirata dal coraggio di Conan, Belit sceglie di nominarlo capitano alla pari della nave. Solitamente sono critico verso le rappresentazioni femminili di Howard, che per forza di cose rappresentano la damsel in distress per eccellenza. E tuttavia, nel caso di Belit credo che Howard abbia centrato il bersaglio. L'abile guerriera è una donna affamata di sangue, che ama il combattimento e ammira Conan in virtù della sua forza. Dialoghi enfatici, che normalmente rigetterei come improbabili, o eccessivamente romantici, vengono trasformati dall'impeto guerriero dei due innamorati.
E' tanto, tanto raro che si celebri l'amore della forza e del coraggio, il piacere sensuale delle armi e della mischia.
La descrizione della danza di Belit davanti a un attonito Conan è sensuale, ma sanguinosa. A mio parere molto bella, ma qui si tratta di sensazioni del tutto soggettive, che immagino lasceranno perplessi o disgustati la media dei lettori, abituati a osannare la debolezza, la passività, il romanticismo stantio di cioccolatini e mimose...
«Guardami, Conan!» Spalancò le braccia. «Io sono Bêlit, regina della Costa Nera. Tu sei freddo come le montagne innevate che ti hanno generato, tigre del settentrione! Stringimi e distruggimi con la violenza del tuo amore! Vieni con me fino ai confini della terra e ai confini del mare! Io sono regina grazie al fuoco, al ferro e al massacro... sii tu il mio re!» Conan passò in rassegna le schiere di uomini incrostati di sangue rappreso, cercando espressioni di collera o di gelosia. Non ne trovò. La furia era sparita da quei volti d'ebano. Capì che per quegli uomini Bêlit era più di una donna: era una dea da non discutere. Lanciò un' occhiata all'Argus che dondolava nell'acqua arrossata, sbandando paurosamente, con i ponti coperti di morti, trattenuta dai grappini di ferro. Lanciò un'occhiata alla spiaggia frangiata d'azzurro, alle lontane nebbie verdi dell'oceano, alla figura tesa e vibrante che gli era davanti: e la sua anima barbara si agitò nel petto. Visitare quegli scintillanti reami azzurri con la giovane tigre dalla pelle bianca... per amare, ridere, vagabondare, saccheggiare...
«Verrò con te» disse brusco, scuotendo le gocce di sangue dalla spada.
(…)
Appena furono al largo, sulle trasparenti profondità azzurrine, Bêlit salì a poppa. I suoi occhi brillavano come quelli di una pantera nel buio, mentre si toglieva di dosso gli ornamenti, i sandali e l'ampia fascia di seta e li gettava ai piedi di Conan. Ella si alzò in punta di piedi tendendo le braccia verso l'alto, linea tremula di candido nudo, e gridò all'orda di disperati: «Lupi del mare azzurro, guardate la danza... la danza nuziale di Bêlit, i cui padri erano i re di Asgalun!»Ed ella danzò, come il vortice di un turbine del deserto, come le lingue d'una fiamma inestinguibile, come l'impulso della creazione e l'impulso della morte. I suoi piedi pallidi sfioravano il ponte macchiato di sangue, e uomini morenti dimenticarono la morte mentre la guardavano impietriti. Poi, quando le stelle bianche scintillarono contro l'azzurro velluto del crepuscolo, rendendo il suo corpo roteante un palpito di fuoco eburneo, con un grido selvaggio ella si gettò ai piedi di Conan, e il flusso cieco del desiderio del cimmero spazzò via ogni altra cosa quando ella si schiacciò ansimante contro le piastre nere del suo usbergo.

Il racconto è fondamentale, perchè discorrendo di filosofia e dei, Conan menziona chiaramente il suo dio, Crom, il cui unico merito è lasciare in pace i suoi adoratori, mentre Belit professa un allegro politeismo “alla rinfusa”. Compare un altro dei più lunghi e iconici discorsi del cimmero, che riporto nella versione inglese del kickstarter di Conan:

L'ambizioso obiettivo della coppia è un autentico dungeon lovecraftiano. Howard appartiene a quella generazione che non esitava a inserire nella narrativa gli ultimi studi scientifici; pertanto i mostri, le creature che Conan affronta sono il risultato di una stratificazione genetica, il risultato storico di millenni di evoluzione sotterranea. Lo sforzo premia il lettore con una bella sensazione di orrore, dandogli in pasto mostri molto meno metafisici del fantasy “tradizionale”.

La valle delle donne perdute

Il terzo racconto originale di Howard è ambientato tra i bellicosi bamula, nelle giungle dove abitano (parole testuali) “i negri” e dove vige la legge del più forte. Persino Conan trova eccessiva la violenza delle tribù della giungla, dove per un certo periodo cerca d'imporsi come capo. Il racconto viene principalmente narrato dalla prospettiva di Livia, una ragazza catturata dagli indigeni.
Per Conan Livia è “speciale” per il solo fatto di essere bianca. L'idea che una fanciulla meriti di essere salvata se bianca o di pelle “leggermente” più chiara credo sia una costante razzista del pulp di quegli anni.
Questa prospettiva poco incoraggiante viene riscattata da un'ambientazione con tocchi di horror e con un mostro alato ancora una volta preso di peso da Lovecraft. Un gradito avversario.


Il castello del terrore

Temevo che le imitazioni di Lin Carter avessero l'unica costante della mediocrità, ma nel Castello del terrore riscatta le mie impressioni. E' infatti un gran bel racconto, dove scene evocative si succedono a una trama interessante.
In fuga dalla giungla e dai suoi indigeni, Conan si perde nella savana. Stanco, assetato e braccato dai leoni, Conan si rifugia nelle rovine megalitiche di un castello. Sono gli antichissimi resti di un insediamento degli uomini serpente, una razza maledetta annientata secoli prima dalla furia di Kull di Valusia. Le anime dannate di quel popolo si accorgono dell'intruso, giungendo a fondersi in un'entità di mani e piedi metà carne, metà ombra. Un vero incubo cronenberghiano, che testimonia l'abilità della coppia Carter&Sprague de Camp:
Mentre la sentinella era ferma sulla soglia, con le spalle voltate ai compagni, una forma sinistra si formò in mezzo alla banda di schiavisti intenti a russare. Crebbe lentamente, da nuvole ondeggianti d'ombra immateriale. La creatura composita che acquistò forma per gradi, era costituita della forza vitale di migliaia di esseri già morti. Diventò una figura sinistra... un colossale tronco dal quale sporgevano innumerevoli arti e appendici informi; si reggeva su una dozzina di zampe massicce. Dalla cima, come un grappolo sinistro, spuntavano decine di teste, alcune simili a quelle di esseri viventi, con capelli irsuti e fronte, altre soltanto abbozzi in cui occhi, bocca, naso, orecchie erano disposti a casaccio.

Il muso nel buio

A sud del deserto della Stygia, si estendono diversi regni neri il cui più grande ed evoluto è il Kush. Dopo aver scampato il pericolo del castello degli uomini serpente, Conan cerca come sempre d'inserirsi nel regno, lavorando come mercenario o cercando una nomina come protettore della regina.

Il racconto in origine scritto da Howard, ma revisionato da Sprague de Camp non ha vere pecche, ma è fin troppo simile a quanto già visto nei precedenti racconti. In particolare il mostro che Conan affronterà ricorda eccessivamente la scimmia di Intrusi a palazzo, mentre l'ambientazione è la copia carbone del racconto I Tamburi di Tombalku, che trovate in Conan l'avventuriero. Persino la crudele regina deriva dalla Salomè di Nascerà una strega. 

2 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Questi sono Conan che non avevo mai sentito nominare O-O

Coscienza ha detto...


Vi faccio scoprire sempre cose nuove ^^