No, non ho dimenticato la
promessa di leggere i volumetti della Fantacollana dedicati al buon Conan. Tuttavia, volendo seguire il corretto ordine cronologico di
Sprague de Camp, ho subito incontrato l'ostacolo di un volume
mancante: Conan di Cimmeria. Ero appena alla seconda tappa dei
muscoli guizzanti del barbaro preferito di sempre e già mi mancava
un volume. Una veloce ricerca in biblioteca mi ha svelato l'orrida
realtà, che il terzo volume – Conan il pirata – era già
disponibile mentre Conan di Cimmeria non era proprio in rete.
Potevo immediatamente
leggere il terzo volume e recensirlo senza perder tempo, o affannarmi
a rintracciare il secondo volume. Visto che sono un masochista
filologo, ho scelto la seconda opzione.
E così, a parecchie
settimane di distanza, possiamo finalmente riprendere la lettura.
La buona notizia è che
non ci vorrà molto prima di leggere Conan il pirata, mentre il
quarto volume, Conan lo zingaro (!), è allegramente disponibile in
biblioteca, sebbene a Gorizia. Il che non mi sorprende, dopotutto per
delle avventure girovaghe, è giusto che girovaghi anch'io. Certo pur
considerando la distanza di anni dalla pubblicazione (1980) mi sfugge
perché non tradurre quel Wanderer col ben più accattivante
“viandante”, o addirittura “pellegrino”. Si ricercava forse
una sfumatura esotica...
Gustando le avventure di
questa seconda Fantacollana ho constatato una spaccatura decisa tra
le opere originali di Howard, pubblicate quando in vita e le diverse
imitazioni e rimaneggiamenti di Lin Carter e Sprague de Camp. Nessuno
di questi racconti è brutto per davvero, e tuttavia la differenza di
qualità si sente sia nel contenuto che nello stile.
Howard non perde tempo,
incalza sempre. Non si sprecano dettagli superflui nella narrazione,
è tutto scintille e sforzi muscolari. Se vi sono descritti pensieri,
questi non interrompono mai il flusso di azioni del barbaro. Al
contrario, i pastiche di Sprague de Camp sembrano volersi
spesso soffermare nel dettaglio su quella o quell'altra azione, a
volte descrivendo il flusso di pensieri di Conan. Il puntiglio con
cui Lin Carter riepiloga dov'è il barbaro, cosa sta facendo, in
quale punto della mappa si trova può far piacere ai giocatori di
ruolo o ai cartografi, ma stona nell'ambientazione hyboriana.
Inoltre, nelle tematiche narrate è sorprendente come siano le opere
“posteriori” a risultare fiabesche e ingenue, mentre i racconti
originali di Howard spesso tentano l'uso di mostri più
fantascientifici che fantasy. Conan, specie se calato nelle giungle
del sud, alle prese con città e necropoli abbandonate, fronteggia
una mostrologia di sub-umanoidi, primati e creature alate che hanno
davvero molto a che fare con Lovecraft. Trapela uno sforzo ammirevole
di dare verosimiglianza a nemesi&mostri partorite dall'evoluzione
naturale e da linee di sangue corrotte, lontane dal mostro “perchè
fantasy”.
La Maledizione del
Monolito
Racconto ex novo di
Sprague de Camp e Lin Carter, la Maledizione del Monolito è un
racconto tragicomico: Conan, nelle lontane terre del Khitai, viene
coll'inganno attirato presso un monolite dov'è sepolto un grande
tesoro. Nella realtà, il monolito è un gigantesco magnete che
acchiappa Conan e lo tiene incollato alla roccia. Incapace di
muoversi, il barbaro rischia di venire pappato da un mostriciattolo
pieno di bava e tentacoli, che si nutre di ferro e carne umana. Nel
frattempo, l'evil overlord se la ride, convinto che Conan è
ormai spacciato...
Al di là della trama
risibile, l'idea del magnete è ridicola: Conan non è certo un
cavaliere con un'armatura a piastre, non può venire immobilizzato
così facilmente. E' anche un'occasione sprecata per descrivere una
terra come il Khitai, raramente trattata da Howard. In teoria è una
via di mezzo tra la Cina basso medievale e le steppe mongoliche, uno
spunto interessante.
Il Dio Insanguinato
Il Dio Insanguinato segue
una genesi curiosa, provenendo infatti da un racconto di Howard
ambientato ai giorni nostri suoi, The Trail of the Blood-Stained God,
un racconto nell'assolato Afghanistan. L'infaticabile Sprague de Camp
decise di trarne una versione antica, con Conan come protagonista e
l'usuale ambaradan di mostri, maghi malvagi e patetiche orde
di minions.
Particolarmente mal
riuscito il neologismo “Iranistano”, che fa sorridere per quant'è
goffo; non che solitamente i neologismi di Howard siano
particolarmente arguti, ma qui si sfiora l'idiozia.
Colpi di scena improbabili
e un plot poco ispirato rendono questo racconto appena passabile.
La figlia del gigante
dei ghiacci
Diamo spesso per scontato
la violenza nel fantasy howardiano, ma raramente ci soffermiamo su
quant'è terribile e magnifica la violenza del barbaro cimmero. La
figlia del gigante dei ghiacci, opera originale di Howard, è
paradigmatica di questo atteggiamento: tutto, nelle azioni e nella
narrazione trasuda un'energia primordiale e selvaggia.
Partiamo già con un
incipit eccezionalmente sanguinoso, dove Conan è l'unico
sopravvissuto di una violenta imboscata ai danni del manipolo di
Aesir cui si era aggregato. Nella neve tinta del rosso dei barbari
del nord, uno già esausto Conan taglia a fette l'unico guerriero
sopravvissuto per poi cadere nell'incoscienza. Al risveglio,
un'ariana fanciulla d'indescrivibile bellezza passeggia tra i caduti
e accorgendosi del suo risveglio lo guarda seducente. Pur avendo
macellato una dozzina di nemici e pur avendo sconfitto in duello il
loro soldato migliore, Conan trova la forza per alzarsi e rincorrere
voglioso l'apparizione celestiale:
Con un sospiro, Conan scosse il capo. «Niord avrebbe dovuto raggiungerci prima che iniziasse la battaglia. Temo ch'egli e i suoi uomini siano caduti in un'imboscata. Wulfhere e i suoi guerrieri giacciono morti... Pensavo che non ci fossero villaggi per molte leghe da qui, poiché la guerra ci ha portato lontano; ma tu non puoi avere percorso una grande distanza su queste nevi, nuda come sei. Conducimi alla tua tribù, se sei di Asgard, poiché sono indebolito dai colpi che ho ricevuto e sono stanco per la battaglia.»
«Il mio villaggio è più lontano di quanto tu possa camminare, Conan di Cimmeria» rise lei. Spalancando le braccia, ondeggiò davanti a lui: la sua testa dorata si agitava sensualmente, e i suoi occhi scintillanti scomparivano a tratti dietro le lunghe, seriche ciglia. «Non sono magnifica, uomo?»
«Come l'alba che corre nuda sulla neve» borbottò Conan, e i suoi occhi si accesero come quelli di un lupo.
«Allora, perché non ti alzi e non mi segui? Chi è questo forte guerriero che si ritira davanti a me?» cantò lei, in tono di scherno. «Stenditi a terra e muori nella neve, insieme con gli altri pazzi, Conan dai capelli neri! Tu non potresti seguirmi dove ti condurrei.»
Con un'imprecazione, il cimmero si sollevò in piedi, a fatica. I suoi occhi azzurri mandavano fiamme, e il suo volto abbronzato e segnato dalle cicatrici era contorto in una smorfia. L'ira gli agitava l'anima, ma il desiderio della figura provocante che aveva davanti a sé gli martellava nelle tempie, gli spingeva nelle vene il sangue selvaggio. La passione, bruciante come un tormento fisico, inondò tutto il suo corpo, e terra e cielo ondeggiarono arrossati davanti al suo sguardo confuso. Stanchezza e debolezza vennero spazzate via, tanto forte era la follia che si era impadronita di lui.
Non è difficile capire
che Atali è una semidea, una sirena dei ghiacci il cui scopo è
stuzzicare i guerrieri feriti e spingerli a perdersi nella neve e nel
freddo, fino alla morte per ipotermia.
Conan, nonostante le
ferite tuttavia non demorde e con sorpresa di Atali la rincorre e
addirittura sembra riuscire ad afferrarla per un'istante! Atali
richiama di conseguenza i suoi fratelli, i letali giganti di ghiaccio
del titolo. Un paio di fendenti e l'infoiato Conan li riduce a
ghiaccio per i cocktail. Dove i più valorosi Aesir erano morti
assiderati, Conan non vuole rinunciare a spassarsela con una bella
ragazza, sia pure una dea del Valhalla... non sarà uno spoiler
svelarvi che Atali ovviamente scompare nel momento in cui Conan
sembra voler completare i suoi turpi propositi di barbaro dal sangue
caldo...
Voglio tuttavia
sottolineare la strafottenza notevole del tutto. Conan non si limita
a sconfiggere nemici umani, ma pur di far sesso sconfigge
letteralmente gli dei di un intero pantheon, e nel farlo li dileggia.
La chiusura del racconto completa perfettamente l'avventura, perché
tronca subito eventuali sviluppi, lasciando l'intera corsa nella neve
in un alone di mistero.
La tana del serpente
dei ghiacci
Racconto apocrifo di Lin
Carter e Sprague de Camp. E' posizionato nel volume subito dopo La
figlia del gigante dei ghiacci e con chiare ragioni, perchè siamo
ancora nelle terre degli Aesir. Nonostante non sia un racconto
howardiano, vede uno piacevole scontro tra il cimmero e un serpente
dall'alito di ghiaccio, che Conan sconfigge con un proiettile
infuocato scagliato da una fionda artigianale.
E' forse il racconto
più fiabesco della raccolta.
La
regina della costa nera
Howard
doveva aver profuso grande impegno nel racconto in questione.
Viaggiamo infatti sul numero di pagine del racconto lungo, insieme a
un'insolita cura nella presentazione di personaggi e situazioni.
Howard introduce un personaggio fondamentale nella vita di Conan:
Belit, una piratessa a capo di una ciurma di neri dediti a razzie e
incendi sulle coste.
Dopo
alcune spiacevoli incomprensioni con la giustizia civile, Conan fugge
su una nave mercantile, dove lavora di buon grado come uomo d'arme e
marinaio. I pirati tuttavia attaccano a sorpresa e macellano
l'equipaggio: sono la terribile ciurma di Belit, la regina della
costa nera. Ammirata dal coraggio di Conan, Belit sceglie di
nominarlo capitano alla pari della nave. Solitamente sono critico
verso le rappresentazioni femminili di Howard, che per forza di cose
rappresentano la damsel in distress per eccellenza. E tuttavia, nel
caso di Belit credo che Howard abbia centrato il bersaglio. L'abile
guerriera è una donna affamata di sangue, che ama il combattimento e
ammira Conan in virtù della sua forza. Dialoghi enfatici, che
normalmente rigetterei come improbabili, o eccessivamente romantici,
vengono trasformati dall'impeto guerriero dei due innamorati.
E'
tanto, tanto raro che si celebri l'amore della forza e del coraggio,
il piacere sensuale delle armi e della mischia.
La
descrizione della danza di Belit davanti a un attonito Conan è
sensuale, ma sanguinosa. A mio parere molto bella, ma qui si tratta
di sensazioni del tutto soggettive, che immagino lasceranno perplessi
o disgustati la media dei lettori, abituati a osannare la debolezza,
la passività, il romanticismo stantio di cioccolatini e mimose...
«Guardami, Conan!» Spalancò le braccia. «Io sono Bêlit, regina della Costa Nera. Tu sei freddo come le montagne innevate che ti hanno generato, tigre del settentrione! Stringimi e distruggimi con la violenza del tuo amore! Vieni con me fino ai confini della terra e ai confini del mare! Io sono regina grazie al fuoco, al ferro e al massacro... sii tu il mio re!» Conan passò in rassegna le schiere di uomini incrostati di sangue rappreso, cercando espressioni di collera o di gelosia. Non ne trovò. La furia era sparita da quei volti d'ebano. Capì che per quegli uomini Bêlit era più di una donna: era una dea da non discutere. Lanciò un' occhiata all'Argus che dondolava nell'acqua arrossata, sbandando paurosamente, con i ponti coperti di morti, trattenuta dai grappini di ferro. Lanciò un'occhiata alla spiaggia frangiata d'azzurro, alle lontane nebbie verdi dell'oceano, alla figura tesa e vibrante che gli era davanti: e la sua anima barbara si agitò nel petto. Visitare quegli scintillanti reami azzurri con la giovane tigre dalla pelle bianca... per amare, ridere, vagabondare, saccheggiare...
«Verrò con te» disse brusco, scuotendo le gocce di sangue dalla spada.
(…)
Appena furono al largo, sulle trasparenti profondità azzurrine, Bêlit salì a poppa. I suoi occhi brillavano come quelli di una pantera nel buio, mentre si toglieva di dosso gli ornamenti, i sandali e l'ampia fascia di seta e li gettava ai piedi di Conan. Ella si alzò in punta di piedi tendendo le braccia verso l'alto, linea tremula di candido nudo, e gridò all'orda di disperati: «Lupi del mare azzurro, guardate la danza... la danza nuziale di Bêlit, i cui padri erano i re di Asgalun!»Ed ella danzò, come il vortice di un turbine del deserto, come le lingue d'una fiamma inestinguibile, come l'impulso della creazione e l'impulso della morte. I suoi piedi pallidi sfioravano il ponte macchiato di sangue, e uomini morenti dimenticarono la morte mentre la guardavano impietriti. Poi, quando le stelle bianche scintillarono contro l'azzurro velluto del crepuscolo, rendendo il suo corpo roteante un palpito di fuoco eburneo, con un grido selvaggio ella si gettò ai piedi di Conan, e il flusso cieco del desiderio del cimmero spazzò via ogni altra cosa quando ella si schiacciò ansimante contro le piastre nere del suo usbergo.
Il racconto è
fondamentale, perchè discorrendo di filosofia e dei, Conan menziona
chiaramente il suo dio, Crom, il cui unico merito è lasciare in pace
i suoi adoratori, mentre Belit professa un allegro politeismo “alla
rinfusa”. Compare un altro dei più lunghi e iconici discorsi del
cimmero, che riporto nella versione inglese del kickstarter di Conan:
L'ambizioso obiettivo
della coppia è un autentico dungeon lovecraftiano. Howard appartiene
a quella generazione che non esitava a inserire nella narrativa gli
ultimi studi scientifici; pertanto i mostri, le creature che Conan
affronta sono il risultato di una stratificazione genetica, il
risultato storico di millenni di evoluzione sotterranea. Lo sforzo
premia il lettore con una bella sensazione di orrore, dandogli in
pasto mostri molto meno metafisici del fantasy “tradizionale”.
La valle delle donne
perdute
Il terzo racconto
originale di Howard è ambientato tra i bellicosi bamula, nelle
giungle dove abitano (parole testuali) “i negri” e dove vige la
legge del più forte. Persino Conan trova eccessiva la violenza delle
tribù della giungla, dove per un certo periodo cerca d'imporsi come
capo. Il racconto viene principalmente narrato dalla prospettiva di
Livia, una ragazza catturata dagli indigeni.
Per Conan Livia è
“speciale” per il solo fatto di essere bianca. L'idea che una
fanciulla meriti di essere salvata se bianca o di pelle “leggermente”
più chiara credo sia una costante razzista del pulp di quegli anni.
Questa prospettiva poco
incoraggiante viene riscattata da un'ambientazione con tocchi di
horror e con un mostro alato ancora una volta preso di peso da
Lovecraft. Un gradito avversario.
Il castello del terrore
Temevo che le imitazioni
di Lin Carter avessero l'unica costante della mediocrità, ma nel
Castello del terrore riscatta le mie impressioni. E' infatti un gran
bel racconto, dove scene evocative si succedono a una trama
interessante.
In fuga dalla giungla e
dai suoi indigeni, Conan si perde nella savana. Stanco, assetato e
braccato dai leoni, Conan si rifugia nelle rovine megalitiche di un
castello. Sono gli antichissimi resti di un insediamento degli uomini
serpente, una razza maledetta annientata secoli prima dalla furia di
Kull di Valusia. Le anime dannate di quel popolo si accorgono
dell'intruso, giungendo a fondersi in un'entità di mani e piedi metà
carne, metà ombra. Un vero incubo cronenberghiano, che testimonia
l'abilità della coppia Carter&Sprague de Camp:
Mentre la sentinella era ferma sulla soglia, con le spalle voltate ai compagni, una forma sinistra si formò in mezzo alla banda di schiavisti intenti a russare. Crebbe lentamente, da nuvole ondeggianti d'ombra immateriale. La creatura composita che acquistò forma per gradi, era costituita della forza vitale di migliaia di esseri già morti. Diventò una figura sinistra... un colossale tronco dal quale sporgevano innumerevoli arti e appendici informi; si reggeva su una dozzina di zampe massicce. Dalla cima, come un grappolo sinistro, spuntavano decine di teste, alcune simili a quelle di esseri viventi, con capelli irsuti e fronte, altre soltanto abbozzi in cui occhi, bocca, naso, orecchie erano disposti a casaccio.
Il muso nel buio
A sud del deserto della
Stygia, si estendono diversi regni neri il cui più grande ed evoluto
è il Kush. Dopo aver scampato il pericolo del castello degli uomini
serpente, Conan cerca come sempre d'inserirsi nel regno, lavorando
come mercenario o cercando una nomina come protettore della regina.
Il racconto in origine
scritto da Howard, ma revisionato da Sprague de Camp non ha vere
pecche, ma è fin troppo simile a quanto già visto nei precedenti
racconti. In particolare il mostro che Conan affronterà ricorda
eccessivamente la scimmia di Intrusi a palazzo, mentre
l'ambientazione è la copia carbone del racconto I Tamburi di
Tombalku, che trovate in Conan l'avventuriero. Persino la crudele
regina deriva dalla Salomè di Nascerà una strega.
2 commenti:
Questi sono Conan che non avevo mai sentito nominare O-O
Vi faccio scoprire sempre cose nuove ^^
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