lunedì 8 settembre 2014

Ufo Robot Goldrake, di Alessandro Montosi



Sono sempre stato molto critico verso gli anni Ottanta e chi li ama, consegnando un duro giudizio specie nell'articolo Vomito ergo sum del primo anno del blog. 
Questo perché ritengo che l'amore verso gli anni Ottanta stia rappresentando per molti un grottesco impasse, che immobilizza la produzione culturale e la costringe alla stanca replica di formule già viste. Non è la nostalgia verso epoche passate che critico, tanto più che studio storia; è piuttosto il nauseante immobilismo di chi ricorda "i bei vecchi anni passati" e li usa come autentico passepartout per rigettare quanto di buono viene pubblicato attualmente. Siano musica, film o fumetti gli anni in cui viviamo sono tutt'altro che brutti periodi, anzi; nelle file Indie spuntano progetti interessanti e non mancano opere ben al di sopra della sufficienza. Una persona con un minimo di discernimento vede chiaramente i molti prodotti culturali che oggi disprezzati un tempo sarebbero stati premiati anche solo per l'eccellente profilo tecnico. E' indubbio che questa mitica cosa chiamata “originalità” cui si dà tanta importanza quanto più è morta da un pezzo, funziona spesso da paraocchi, impedendo di vedere con un minimo di ottimismo quanto viene proposto. Proprio negli anni Ottanta, si fecero molti ottimi remake di film degli anni Cinquanta; ricordiamo brevemente La Cosa e Terrore dallo spazio profondo. Il regista era il simpatico Carpenter nel primo caso, Philip Kaufman nel secondo. Dunque non proprio gli ultimi incompetenti. Si tratta di pellicole che coniugano bene il tema orrifico nato nella Guerra fredda con il nuovo pessimismo della "cura dimagrante" Thatcheriana e Raeganiana. Il grigiore di queste pellicole è un grigiore sociale e incastona l'elemento sovrannaturale molto meglio di quanto facesse l'ottimismo della Golden Age.
Si tratta di remake! Remake che oggigiorno verrebbero azzoppati e ricoperti d'insulti ancora prima che esca non il film, ma il teaser trailer! Nei tanto osannati anni Ottanta i remake c'erano, eccome. Con buona pace dell'aura di “originalità” che si vorrebbe loro appioppare.


Quindi è stato con malcelato pregiudizio che mi sono accostato a questo "Ufo Robot Goldrake: Storia di un'eroe nell'Italia degli anni Ottanta", di Alessandro Montosi.
Anni Ottanta? 
Ufo Robot? 
Rischiavamo parecchio. 
Tuttavia, fin dall'inizio della lettura, mi sono dovuto ricredere.

Innanzitutto, Ufo Robot si colloca a fine anni Settanta, inizio anni Ottanta. 
Siamo dunque all'inizio di questa "magica" era che gli appassionati vorrebbero rivivere. 
Secondariamente, Montosi non pecca di arroganza a chiamare saggio universitario la sua opera; fin dall'inizio chiaro e conciso, riesce a fornire una panoramica generale della serie senza sfociare nella parlantina fine a sé stessa, o nella strizzata d'occhio del fan. La passione per l'argomento si sente, questo è indubbio. Ma non abbiamo qui un libro di memorie mascherato da saggino per la laurea, oppure quelle noiosissime carrellate di riferimenti meta-nerd che massaggiano il membro di chi "negli anni ottanta ha vissuto per davvero" (qualunque cosa questa espressione voglia dire!).

Giunto in Italia la sera del 4 aprile 1978 sul secondo Programma della Rai (Attuale Rai2) Atlas Ufo Robot diede la stura all'invasione nipponica sugli schermi televisivi, dando una sana concorrenza al non sense del cartone animato Disneyano, avulso dal realismo e dalla costruzione di storie complesse. C'era già stata come anime, è vero, Heidi, che per quanto sembri strano, rappresentava all'epoca un autentica rivoluzione, nell'ambito dei cartoni per bambini. Goldrake, dalla leva dell'innocente Heidi giunse a scalzare totalmente l'avversario occidentale presentando verso fine anni Settanta un ritmo e un'accuratezza di Worldbuilding cui non si poteva, più che sperare, nemmeno proprio immaginare.

Il nome originale di Goldrake è Ufo Robot Grendizer, e coincide in realtà con il terzo capitolo della serie animata Mazinsaga, che parte con Mazinga Z e prosegue con Il Grande Mazinga.

Go Nagai presenta Mazinga Z fin dall'inizio come un robot realistico, nel senso che anziché onnipotente Dio, ha bisogno di essere aggiornato e riparato per combattere contro i suoi sempre più agguerriti antagonisti. Non costituisce dunque il classico oggetto magico e invisibile delle fiabe occidentali, ma piuttosto una macchina, che come un'auto dev'essere oliata e aggiustata. E' una caratteristica di questa prima serie evidente nel modo con cui le "ali" di Mazinga vengono contestualizzate sia dal punto di vista della "meccanica" che narrativamente parlando.

Conclusi con successo i 92 episodi della serie, parte immediatamente Il Grande Mazinga (Gureto Majinga). A differenza del supereroe americano, soggetto a uno sfibrante riciclo di costumi e idee, nell'anime giapponese raramente avviene il riutilizzo di un personaggio; nel nostro caso Mazinga Z è tecnologia sorpassata e il ruolo di protagonista passa a Il Grande Mazinga. Il protagonista Tetsuya Tsurugi era inoltre già comparso nell'anime di Mazinga Z, nell'ultimo capitolo: è un caso da manuale sia di spin off che di serialità: il nuovo robot è migliore del precedente (da cui Grande!) sia mantiene un forte rapporto di continuità narrativa colla serie precedente, trasformandone uno dei personaggi secondari in protagonista. Attualmente è cosa di tutti i giorni; all'epoca era una mossa tutt'altro che banale.

Curioso come sia in Giappone che in America la frustrazione dall'essere imbottigliati nel traffico instradi (è proprio il caso di dirlo!) verso improvvisi lampi di genialità: Go Nagai ebbe la prima intuizione per Mazinga Z in un ingorgo a Tokyo, mentre sempre negli stessi anni Alan McNeil partoriva Berzerk, violentissimo videogioco a scorrimento dell'epoca, dopo essere rimasto bloccato per ore in coda verso Chicago.

Ero così esasperato che avrei voluto avere un cannone laser per uscire dall'ingorgo

Se volete diventare famosi, compratevi dunque un'auto di seconda mano del dopoguerra e ficcatevi nella più lunga e frustrante coda di automobili che riuscite a immaginare. Se fa caldo e siete programmatori o disegnatori dilettanti, le chances aumentano! 


Goldrake su Tv Sorrisi e canzoni! :-D

Al di là della genesi nipponica, quanto interessa il testo è Goldrake, dunque l'Ufo Robot Grendizer. 
E' a questo punto del saggio che Montosi analizza il passaggio dal doppiaggio francese al doppiaggio italiano. E' un passaggio fondamentale.
Sia in Francia che in Italia è impressionante analizzare quanto la trasposizione di Ufo Robot si debba in realtà a una manciata scarsa di arditi, avversati in ogni modo sia da chi temeva un flop commerciale, sia dai conservatori meno tolleranti verso produzioni diverse dal made in Usa.

In Francia è Jacques Canestrier a svolgere un ruolo fondamentale.
La scelta di Ufo Robot è in stretta correlazione con due diversi fattori, l'uno culturale, l'altro economico. L'anime avrebbe permesso di variare il programma aggiungendovi un genere completamente inedito, quello della fantascienza avventurosa
Contemporaneamente, trasmettere un cartone animato nipponico costava diecimila franchi al minuto, trasmetterne uno francese, quarantamila. Una differenza di soldi non da poco.
Canestrier incontra la consueta xenofobia venata di buonismo, da chi lo boccia semplicemente perché non-disneyano a chi reputa troppo patriottica la sigla d'inizio Le prince de l'espace. Quel genere d'ipocrisia di chi poi ha come inno nazionale sanguinari versi come "Marciamo! Marciamo! Che un sangue impuro imbeva i nostri solchi! (sic!)" Ahh, la rivoluzione francese! <3 <3
Canestrier alla fine la spunta. 
Avendo puntato tutto su Atlas Ufo Robot, si vuole ridurre i rischi al minimo; il team francese attua così una radicale pulizia dell'anime. Si tagliano tutti i riferimenti alla cultura giapponese e considerando che ambientarla in Francia sarebbe stato impossibile, si sceglie di collocare le vicende in un "limbo" imprecisato, pur di nascondere che l'anime è ovviamente ambientato in Giappone.
Ogni ideogramma viene tagliato dalla pellicola, e lavorando di forbice si ottengono invece siparietti cattolici, dove i personaggi pregano tutti assieme o ringraziano Dio.
Il cambiamento maggiore, tuttavia, è nei nomi. E' indubbio che il cast francese abbia stavolta svolto un lavoro particolarmente raffinato: ogni nome, come sapranno sicuramente i fan, deriva da un astro, o dalla mitologia. Duke Fleed diventa così Actarus, dalla stella rossa Arcturus, la più luminosa della costellazione del Pastore. Actaurs è così il messia, un nuovo Gesù che deve proteggere il suo vasto gregge, l'umanità, appunto. Contemporaneamente, Actarus dall'episodio 30 comincia a soffrire un'inguaribile ferita al braccio, che ricorda le stigmate. Non a caso, Arcturus è una stella rossa, dunque morente. Il lavoro diventa tanto certosino che persino i più piccoli nemici vengono “adattati”: i dischi mostro privi di un pilota si chiamano Golgoth, dal Golgota cristiano. Anche attraverso il doppiaggio, questi mostri sembrano voler portare sofferenza e dolore.
Prima dell'uscita nessun adulto tranne gli arditi scommette su questa serie animata.
Poi, come sempre succede quando il prodotto è buono e la storia avvincente, parte il successo.
Il fenomeno, rapidamente di massa, ai contemporanei "adulti" doveva sembrare senza dubbio straniante. Delle citazioni che riporta Montosi, questa è tra le più gustose:

Dal primo mese, tutti i bambini e gli adolescenti francesi riconobbero in lui il loro nuovo Messia Protettore. Dal secondo mese, tutti gli eroi che avevano fatto sognare le quattro generazioni precedenti caddero nel dimenticatoio. Dal terzo mese, l'indice di ascolto della rete televisiva rivale, in quella fascia oraria, precipitò allo 0%. Dal quarto mese, i genitori ebbero l'impressione di essere scomparsi dalla sfera affettiva dei loro bambini. Dal quinto mese (per fare buon viso a cattiva sorte) i genitori cominciarono ad affannarsi per comprare la riproduzione di Goldorak... Al punto che, venticinque giorni prima delle feste natalizie, i negozi furono al limite delle loro scorte. Ci si iscriveva nelle liste d'attesa e, se si avevano dei contatti, si tentava di cercarlo al mercato nero. Una cosa inaudita! La Signora Coquelin, responsabile delle vendite dei diritti di sfruttamento commerciale di Antenne 2, non ha mai visto niente di simile in quindici anni di lavoro: dall'inizio del mese di dicembre 400000 dischi, 150000 poster, 300000 copie del periodico a fumetti, delle caramelle, delle liquirizie, delle sedie a sdraio, dei bicchieri, delle maschere, dei puzzle, dei vestiti... ogni cosa in cui è raffigurato Goldorak va a ruba. Quanto al gioco rappresentante il "Dio" … una follia. La società Mattel che lo fabbrica è stata sommersa di richieste... In alcuni grandi magazzini si assumono dei commessi unicamente destinati a rispondere: << Per Goldorak, bisogna attendere >>. Stesso successo in Spagna (in realtà, in Spagna, il Robot che ottiene un successo strepitoso è Mazinga Z, n.d.a.), in Italia, in Belgio e in Canada dove una squadra professionale di calcio ha scelto di chiamarsi Goldorak. (…) Una follia, vi dico, un uragano, un tifone.

Come sempre avviene, grandi fenomeni attirano grandi critiche.
Nei tempi di Internet 2.0, questo è un fenomeno tanto ricorrente da non suscitare neppure meraviglia. Tre critici su cinque non aspirano veramente a demolire il film/fumetto/videogioco in questione, piuttosto vogliono conquistarne una fetta di fama, reclamare un po' di celebrità alzando a volumi esagerati il volume della critica. La cara, vecchia polemica.
Con il successo di Goldrake, pardon Goldorak, piovono le critiche.
Accademici. Professorini. Giornalisti-scarafaggi, maestre, psicologhe dell'infanzia, sociologi e filosofi. Montosi svolge un buon lavoro a smontare le diverse critiche, motivate oltre che dalla già citata fame di gloria, da un letale cocktail d'ignoranza e xenofobia. Metodicamente smontati compaiono sia il saggio "A cinque anni con Goldorak" di Lilliane Lurcat, sia “Un'estetica industriale” di Jacques Aumont. Testi pionieri di un atteggiamento, anche italiano, di buonismo lancinante e disprezzo piccolo-borghese. Non smette mai di colpirmi quanto questi esperti dell'infanzia, che dovrebbero essere i primi a valorizzare il bambino, lo ritengano invece un mezzo idiota incapace di gusti propri. Un bambino dell'elementare diventa così un demente, un bambolotto che assorbe il medium incondizionatamente. La cura ovviamente è il ritornello assurdo dell'aria aperta, di quel "limbo primitivo" di girotondi sui prati, nascondino e allegre scampagnate dentro una natura buona&incontaminata mai esistita. Nessuno mai che si chieda cosa ne pensa invece il bambino! Tant'è; le polemiche che accompagnarono Goldorak saranno destinate a ripetersi con i Pokemon, con i videogiochi (Gta, Mafia, ecc), con Facebook, con Dragonball... Conta ergersi a cavaliere del bene; poco importa se dopo con la tua armatura di polemiche e saggini universitari fai più male che bene...
Un esempio di come questo rigurgito continui a ripetersi, è l'inconsistente video dello Youtuber Croix89 che, sebbene geniale nel montaggio, riprende il razzismo xenofobo che America in testa si vomita contro l'Estremo Oriente dagli anni Cinquanta in poi. 



Mentre Goldorak viene bombardato di prodotti promozionali e polemiche in Francia, qui in Italia si valuta se acquistare Ufo Robot per trasmetterlo in televisione.
Se Canestrier è l'ardito della Francia, Nicoletta Artom è l'ardita in Italia.
E' Nicoletta Artom a “scoprire” la serie dal suo adattamento in Francia, rimanendo colpita dalla qualità dell'impianto tecnico-artistico.
E' Nicoletta Artom a premere perché la serie venga trasmessa in televisione, secondo paese europeo a importare un prodotto nipponico, totalmente inedito per l'epoca.
E' Nicoletta Artom a difendere Ufo Robot Goldrake nel peggio del maccartismo, quando la serie verrà accusata dalle solite cricche di reazionari sociologi e psicologi, senza dimenticare la consueta cloaca del giornalismo. Una posizione controcorrente all'epoca, che le costerà carriera e lavoro.

Sergio, ho visto dei cartoni animati giapponesi... Incredibili... Una cosa nuovissima... Mai vista... Non si può dire nemmeno che siano di fantascienza! E' un mondo di robot, pilotati da esseri umani. Che si trasformano. Volano. Uomini che diventano macchine... Si dividono in due...
Nicoletta Artom (responsabile dei programmi per ragazzi della Rai nel 1978).

L'adattamento dal francese all'italiano dev'essere completato in tempi brevissimi e italianizza le scelte già compiute in Francia, con qualche eccezione. La più interessante è forse il nome stesso Goldrake, dal "Goldorak" francese. S'ignora dove sia spuntato fuori. C'è chi punta a una fusione tra Goldfinger e Mandrake, chi preferisce riferirsi all'elemento “dragonesco”, il “drago d'oro” che voleva richiamare l'Estremo oriente cui veniva. Forse. E' difficile stabilire il perché della traduzione, senza dubbio azzeccato colpo di genio.
Il doppiaggio supera in maestria quanto fatto dai francesi. Sia nella fedeltà della trasposizione, che mantiene ideogrammi e riferimenti al Giappone, sia nell'uso di attori teatrali di lunga esperienza. Largo spazio nell'opera di Montosi è giustamente riservata alla voce di Actarus/Goldrake, mirabilmente impersonata da Romano Malaspina.
Come in Francia, l'anime è attorniato prima della definitiva messa in onda da uno palpabile scetticismo. Il fenomeno Goldrake tuttavia dopo aver digerito la Francia, attraversa le Alpi.
La cura psicologica (per l'epoca) dei personaggi, il meccanismo della serialità, la fascia oraria serale e il passaparola alle scuole generano a tutti gli effetti un fenomeno di massa. Quanto sfugge a chi lo critica, è che per la prima volta abbiamo un cartone animato che segue una vera sceneggiatura, con tanto di colpi di scena senza limitarsi al far ridere. Un altro aspetto curioso, che osserva Montosi, è il confronto tra i personaggi femminili in Ufo Robot Goldrake e Superman. Nell'uomo d'acciaio americano, Lois Lane, la segretaria, è una bambola utile solo per mostrare la stupidità femminile a confronto col potente ingegno di Superman. Sia nei fumetti che nei cartoni, è un personaggio passivo, oltre che piatto caratterialmente. In Ufo Robot Goldrake, al contrario, Venusia e Maria evolvono in personaggi femminili, se non a tutto tondo quantomeno indipendenti, che partecipano con ruolo attivo nelle battaglie robotiche. 

Come venivano demolite le critiche francesi, così Montosi smonta quelle italiane.
Sottolineerei in particolare due piccoli aspetti su cui spesso si continua a battere in fatto di anime: i guadagni dei cartoni giapponesi all'estero e la questione degli "occhi giganti".
Spesso oggigiorno si sottolinea come l'anime sia un genere pianificato a tavolino per la massa, un mondo alternativo lontano dalla realtà e costruito appositamente per soddisfare tutti, che siano cinesi, africani o americani. Gli "occhi grandi", i vestiti appariscenti, le trame piene di cliché servono a piacere a tutti, a sfondare ovunque sul botteghino. Gli anime sarebbero insomma un freddo prodotto commerciale escogitato per vendere, vendere il più possibile. Ci sarebbe anche un fondo di verità in queste affermazioni, anche se maliziosamente le attribuirei più alle attuali produzioni Marvelliane statunitensi che agli anime!

Uno stralcio di un'intervista di Colpi a Huramoto in tal senso è rivelatrice:


Colpi: Quando vendete una serie all'estero, quanto ottenete in diritti dalla ditta che la distribuisce?
Huramoto: 6 o 8%, giù di lì...
E la vendita all'estero dei vostri prodotti, che percentuali occupa nel totale delle entrate di una serie?
Dubito che raggiunga il 10%. D'altronde, noi produciamo solo per il mercato giapponese. Se poi la serie va all'estero, tanto meglio.
Vuol dire che proprio non vi interessa fare serie che vendano bene all'estero? –
Per il mercato estero, di solito, prima mandiamo la serie in Francia. S va bene in Francia, la passiamo anche in Italia e in altri paesi. Però, quando ideiamo una serie, all'estero proprio non ci pensiamo. Almeno fino a poco tempo fa... (intervista del 1991).

L'intervista non è di fine anni settanta. E' degli anni Novanta! (Relativamente) vicina a noi.
Eppure Huramoto rimarca continuamente quanto poco gliene freghi di esportare il prodotto fuori dai confini nazionali. Dieci per cento sono percentuali microscopiche. Tutt'ora gli Otaku guardano gli anime scaricati e coi sottotitoli, rigorosamente in originale. L'eventualità che il prodotto venga doppiato o generi vendite all'estero è persino più scarsa di vent'anni fa.
Eppure, l'azione diffamatoria continua, implacabile: gli anime sono prodotti il più possibile generici, rivolti a tutti.
Un discorso simile vale per le dimensioni degli occhi.
Per il periodo preso in esame, gli occhi giganti non servivano per "mascherare un senso d'inferiorità giapponese" né per accattivarsi gli spettatori. Al contrario, rispondevano a un'esigenza squisitamente pragmatica: quando Actarus ha tutto il volto coperto dalla maschera, risaltano solo le pupille e solo attraverso quelle è possibile esprimere emozioni. E' innanzitutto un mezzo stilistico.

Tuttavia, tra la critica e la difesa dalla critica, la prima vince sempre.
Nella primavera del 1980, solo Nicoletta Artom, e pochi sparuti sostenitori emergono in difesa di Goldrake. L'Artom riassume meglio del sottoscritto le mie confuse opinioni su come trattare i bambini:


In realtà i bambini tutti questi problemi non se li pongono. Loro accettano o rifiutano i programmi secondo i loro gusti, a volte dimostrandosi più adulti e più "ragionevoli" di coloro che vogliono o possono amministrare i loro spettacoli. (…) Fiducia nei bambini, invece. Sono intelligenti.
(Nicoletta Artom, “Chi ha paura di Goldrake cattivo?”, TV Sorrisi e canzoni).

La dissertazione sulle polemiche della serie non costituisce il nucleo del libro di Montosi, ma senza dubbio occupa un bel po' di spazio. La ragione è evidente nella grande disponibilità di materiali che è rimasta; settimanali e quotidiani, sopratutto. Il quadro è a dir poco delirante, tra un'interpellanza parlamentare, esposti pubblici, raccolte di firme fino a culminare nell'accusa che Atlas Ufo Robot sia una serie demoniaca che incita al satanismo.

Topolino è lettura sana, ma Goldrake è il diavolo (da “Il Resto del Carlino”).

E' interessante proporre un parallelismo in questo caso tra i Videogiochi, Atlas Ufo Robot e i Pokemon. Tutti e tre hanno in comune l'essere capi d'accusa, e tutti e tre sono stati soggetti a pesantissime polemiche.
Nel caso dei videogiochi, la morte di Peter Burkowski.
Il buon Peter era un ragazzino con forte cardiopatia, che il 3 aprile 1982 si mise a giocare a Berzerk, picchiaduro a scorrimento già per l'epoca violentemente frenetico. Il caldo, l'emozione: secco sul colpo. Sui giornali, il rapporto del coroner che faceva notare la debolezza del cuore venne ignorata e la polemica si appuntò presto sul malefico videogioco che ne aveva molto teoricamente causato il decesso. La morte di un ragazzo venne a tutti gli effetti pubblicizzata e manipolata dai vecchi media (televisione, radio e giornali) verso i nuovi (i videogiochi). Il semplice elemento umano – un cuore debole – viene totalmente ignorato.
Nel caso di Atlas Ufo Robot la morte di un un bambino, di undici anni, morto per soffocamento.
Un incidente fatale; ma dalla stampa parte un uragano. Quando infatti il bambino muore, indossava una maschera (per di più auto fabbricata!) di Goldrake. La shitstorm desidera così tanto ostracizzare il cartone, che gli eventi, magicamente cambiano: il bambino non muore più per mancanza d'aria, ma addirittura si getta dal balcone! Fatto del tutto inventato, pianificato giornalisticamente a sangue freddo. Ci si chiede con quale coscienza si possa lucrare sulla memoria di un morto, cambiando perfino i fatti pur d'alimentare la crociata xenofoba.
Nel caso dei Pokemon, la morte di un bambino di quattro anni, gettatosi dal balcone mentre ne trasmettevano il cartone. In realtà la storia è poco convincente: non si capì bene perché si fosse gettato o cosa stesse facendo o quale effettivo ruolo giocassero i Pokemon. 
L'aspetto che trovo più inquietante dell'intera faccenda è quanto da piccolo, alle elementari, ricordo distintamente la maestra che raccontava di un bambino che si gettò dal terrazzo perché "credeva di essere un pokemon". E ovviamente le credevamo ciecamente! D'altronde ero già nel periodo di fissa per il fantasy con Elfi&Nani, quindi comprenderete che senza nulla togliere ai Pokemon, la notizia mi confermava nella fede Tolkeniana!
- Peggio per lui - ricordo dicevamo coi compagni, - Noi non siamo mica così stupidi!-.

Verso l'inizio degli anni Novanta Atlas Ufo Robot verrà ritrasmesso in televisione, nel respiro ormai libero dall'attenzione dell'opinione pubblica, rivolta verso nuove e (per loro) più spaventose minacce. La serie in questo riesce nel raro passaggio generazionale, costruendo de facto una continuità a livello d'immaginario. Un fenomeno tutt'altro che consueto, e come conclude Montosi da non sottovalutare nelle sue implicazioni più serie, dall'ecologia – Ufo Robot è nettamente anti-nucleare - al più vasto campo della morale.

Fonti:
Le citazioni videoludiche, da Berzerk al primo morto "per i videogiochi" sono tratte dall'opera
L'innovazione tecnoludica. L'era dei videogiochi simbolici, di Matteo Bittanti.
Dietro permesso di Mr Bit stesso, è stata scannerizzata e resa disponibile gratuitamente. In formato cartaceo la trovate spesso nelle rigatterie e sulla E-Baia.

Sui Pokemon ho fatto riferimento ad Anatomia di Pokemon. Cultura di massa ed estetica dell'effimero fra pedagogia e globalizzazione, di Marco Pellitteri.

Per la povera Lois Lane in Superman ho fatto riferimento a Scrivere fumetti e graphic novel, di Peter David, dove l'autore evidenzia bene la sua funzione di vittima del fumetto anni Cinquanta/ Sessanta.  

3 commenti:

Alessandro Forlani ha detto...

"ma secondo te è più forte Goldrake o Mazinga?"

(tipica domanda di CHI HA VERAMENTE VISSUTO GLI ANNI '80)

p.s. ottimo ottimo ottimo articolo come sempre!

Coscienza ha detto...


Grazie!
Sono davvero sorpreso di quanto stia piacendo l'articolo. Temevo che l'eccessiva lunghezza vi avrebbe tenuto lontani ^^

Coscienza ha detto...


Segnalazione davvero molto, molto interessante! Proverò a recuperarlo, l'idea della doppia realtà (televisiva/reale) cui accenni nell'articolo suona promettente.