venerdì 19 settembre 2014

Una fortunata vincita: YOU, di Austin Grossman


Il Minuetto Express dopo la lunga avventura nella Terra Australe è finalmente tornato, e dopo il sondaggio di Agosto azzarderei l'ipotesi che a vincere siano stati decisamente i Giveaway!

Personalmente sono un po' indeciso su come valutare i Giveaway; mi ricordano un po' troppo il panem et circenses d'imperiale memoria; ma nel caso del Minuetto sono indubbiamente bene organizzati, e con nobili finalità: quindi vengano pure, se aiutano il blog. Detesto i sondaggioni con mille e più partecipanti, le vincite di hardware e borsette firmate, i lanci di merchandising finanziate dalle grandi multinazionali, come gli orridi Hunger Games nell'ultimo Lucca Comics. Ma non ho nulla in contrario a piccole iniziative come questa, tanto più se, si spera, alzino anziché affossare la moribonda (al solito) situazione del Fantastico in Italia.

L'ultimo Giveaway del Minuetto, con in palio l'ultima fatica della Multiplayer Edizioni, YOU di Austin Grossman, proponeva un interrogativo interessante, che non a caso esordiva anche nelle prime pagine del libro:

“Allora, qual è il gioco definitivo secondo te?”
(…)“Hai presente, il gioco che faresti se avessi carta bianca”, spiegò il designer con i capelli lunghi.
“ Dimentica il budget”, aggiunse il tipo basso. “Hai tu il comando. Puoi fare qualunque cosa! Il miglior videogame di sempre!”

L'inganno di questa domanda sta nella semplice constatazione che molti, dei migliori videogiochi di sempre, partivano da idee che nessuno avrebbe mai immaginato; intuizioni difficilmente immaginabili, perfino nei sogni più sfrenati dei videogiocatori più accaniti. Nessuno, prima di Minecraft, avrebbe preso sul serio un gioco di “mattoncini virtuali” che non faceva perno né sulla grafica, né sulla storia, ma al contrario affidava una libertà quasi selvaggia, anarchica al giocatore. Eppure, non si può dire Notch abbia fallito.
Io ho cercato, pur nell'alveo del mio genere prediletto, l'Rpg, d'inserire qualche vecchio nome di vecchi designer che avrebbero ancora molto da dire: Lord British, che non a caso grazie a Kickstarter ha conquistato nuove opportunità; Peter Molynuex, ormai perso in progetti sempre più fumosi (vaporwarosi, si direbbe!) ma che rispetto per un'umanità molto lontana dalla freddezza dominante nei giochi attuali; infine Ken Levine, il cui ultimo Bioshock è stato spietatamente massacrato nonostante sia tra i pochi designer a prediligere la storia sul puro gameplay. 
Ammettere di non saper creare il gioco perfetto, ma di conoscere coloro, che in buone condizioni finanziarie e creative lo renderebbero possibile, è un ottimo inizio! Certo, una soluzione del genere risulta sgradita, perchè cozza contro l'individualismo del Giocatore So-Tutto-Io, fermamente convinto che il gioco perfetto sia stato già creato, e allegramente coincidi con un qualunque gioco della sua ruggente infanzia. Facendo un paragone col cinema, quanti e quali progressi si compissero se anziché mettersi in testa di girare il “proprio film” produttori e finanziatori si limitassero a dare carta bianca ai tanti buoni registi ingiustamente a spasso: penso ad esempio a quel vecchietto di Carpenter, o al seppellito John Landis.

La Dea bendata dei Nerd aveva deciso che troppo a lungo Amore&Denaro mi avevano ignorato, perchè a sorpresa, nel Giveaway è stato il mio nome a saltare fuori. E' così con immensa delizia che giungo a parlarvi di YOU, di Austin Grossman.

Sì, lo so, i giveaway dovrebbero sempre vincerli le donne,
sarebbe una più piacevole vista :D
C'era un periodo tra il 2008 e il 2012, in cui il Nerd inteso come via di mezzo tra il videogiocatore accanito e il consumatore Pop è salito alla ribalta se non come una star, come una figura interessante, “alla moda” si direbbe. E' nel 2010 che è uscito Player One, dove il protagonista Wade procede nella storia per esclusivo merito della sua “nerdosità”. 
In uno squisito delirio nostalgico (onanistico?) di citazioni, Wade vince unicamente per una stupefacente conoscenza enciclopedica: grazie alla realtà virtuale lo scontro fisico è assente, mentre la politica viene tranquillamente messa in disparte. Nell'individualismo sfrenato, non c'è spazio per alcuna collettività nel mondo reale: le “case mobili”, la baraccopoli in cui vive Wade con la famiglia sarebbero un ricettacolo perfetto per una sollevazione, un moto di protesta. Persone disperate, affamate e sopratutto frustrate: private letteralmente di ogni cosa. Al giorno d'oggi ambienti del genere sono il pentolone per eccellenza in cui fermentano integralismi (religiosi e non), progetti di giusta rivalsa, rivoluzioni e proteste.
Nel mondo di Ernest Cline invece ogni abitante è letteralmente perso in un altro mondo, un'altra vita. Si desidera la rivincita, ma a livello assolutamente personale. 
Se c'è una lotta, è già sublimata in Oasis, persa in partenza.
Con una contraddizione che molti sociologi ottocenteschi avrebbero trovato straniante, la povertà del paesaggio distopico esacerba una sfrenata concorrenza, a ogni più basso livello. La massa è assente, spezzettata. Se in X (little Brother) di Cory Doctorow, ancora compariva una confusa nozione di “nazione”, accanto a un'ingenua fiducia nella “Costituzione” in Player One tutto ciò scompare.
Il problema di questa figura, come lamentava Bruce Sterling nell'intervento sull'SXSW del 2013, è che sostanzialmente tende a un certo infantilismo: il richiamo ai “bei vecchi tempi” si fonde all'immobilismo, che non riesce a procedere oltre la rabbiosa soddisfazione di vedere le proprie abilità riconosciute. In altre parole, il nerd, o l'otaku, o l'hipster, o il geek (il termine forse più azzeccato), non si evolve. E' fermo, inamovibile. E se posto in nuove situazioni reagisce male, sostanzialmente allineandosi con l'ala conservatrice. Purtroppo le minacce di morte alla Sarkeesian e in generale l'insofferenza violenta contro ogni “studio” del videogioco si ricollegano bene a quest'impressione di estrema chiusura.

Secondo Sterling, l’incoscienza e l'ingenuità dei geek crea problemi di difficile soluzione per le future generazioni. “Non solo siamo incapaci di risolvere i casini attuali - dice Sterling - ma la rivoluzione digitale sta creando nuove problematiche”. Il nostro sollecita un urgente reality check: “Datevi una svegliata, gente: state vivendo in un’illusione. Siete troppo vecchi, cari ventenni, per non considerare i danni collaterali delle vostre invenzioni”.

Non sono d'accordo con Bruce Sterling su molte cose (incominciando dal fatto che si prende un po' troppo sul serio) ma riconosco una certa fissità nel nerd tradizionale. Magari col tempo riuscirà a sbloccarsi e a raggiungere questo nuovo checkpoint. Lo spero vivamente, dato che la difesa a oltranza di una cultura spesso coincide coll'annientamento della stessa. Niente cheats, però!

YOU di Austin Grossman può collocarsi in questa scia?
Sì e no. Per le prime cento pagine che ho finora letto, l'approccio sebbene nostalgico appare venato di una certa dolcezza.

Nato nel 1969, Russell è un giovane designer di giochi che ha letteralmente vissuto la storia videoludica del Novecento, dagli albori preistorici al rinascimento virtuale degli anni Ottanta per giungere al barocchismo contemporaneo. In un colloquio per venire assunto dalla casa di videogiochi Black Arts Games scopre che due suoi vecchi amici sono diventati designer di grande fama, intenti a un colossale progetto di videogioco che sfondi il vecchio sogno delle barriere tra reale e virtuale, creando il videogioco perfetto. Il suo nuovo lavoro di designer di videogiochi porterà a un viaggio all'indietro nel tempo, tra ricordi di retrogaming e una morte misteriosa...

Senza dubbio scatta all'occhio come anche in questo caso, il protagonista sia un Nerd, con la N maiuscola. 
Tuttavia, un distinguo è necessario: Russell a differenza di Wade è un post-nerd, che dopo delle Superiori effettivamente trascorse tra videogiochi e D&d, ha tentato di diventare adulto, integrarsi nella società, diventare insomma il felice borghese colla famigliola. Nell'esordio del romanzo, appare subito chiaro che Russell in questo senso ha fallito. L'ambiente universitario non si è rivelato reattivo, gli è sempre mancata la conoscenza dei trucchi e dell'ambiente che sembrano possedere gli adulti, o la gente in gamba. Gli manca, per così dire, accanto al senso pratico l'intelligenza sociale. Dopo un anno passato a inseguire una laurea in legge, per disperazione tenta un colloquio alla Black Arts Games, che apre il romanzo. E' questo il ritorno alle origini; dopo una vita grigia e insoddisfacente, tornare all'universo fantasy che pensava perduto per sempre costituisce un'epifania
Russell matura, cresce: e paradossalmente ogni suo successo avviene in virtù non di un progresso, ma di un regresso. Considerando il gran numero di flashback, Russell letteralmente ritorna all'infanzia, ritorna al dodicenne alle prese col suo primo gioco. In questo senso Russell è Nerd, perchè è grazie alla sua “nerdosità infantile” che prosegue nella sua carriera di designer.
In modo assai curioso, la storia ricorda Grandi Speranze di Dickens, dove Pip commette il peccato (originale?) di volersi emancipare, di abbandonare il mondo dell'infanzia per quello degli adulti. Le cose si aggiusteranno, miglioreranno solo quando Pip ritornerà al paese natale (infantile) e all'ambiente che gli era una volta familiare. Ugualmente Russell ha fallito perchè ha provato con la laurea in legge, e si è col tempo staccato passando di città in città dal suo vero giardino della Genesi: il fantasy, i videogiochi, insomma la cultura pop.
Il lavoro inoltre di sviluppatore di videogiochi forma un altra differenza da Player One, perchè introduce un ambiente adulto, eppure allo stesso tempo infantile: creare un videogioco è lavoro serio, ma proprio per giungere a tanto realismo e scrupolosità i membri dell'azienda si comportano come ragazzi. Si può dire che Wade, di Player One, è un nerd che solo gioca i videogiochi, è pertanto consumatore, mentre Russell direttamente li crea e svolge pertanto più una funzione creatrice, un fabbricatore di mondi – mondi tuttavia sempre avulsi dalla realtà e infantili.
Anche inquadrando pertanto il contesto, (quasi) storico in YOU, distopico in Player One, si comprendono le svolte differenti delle storie: Ernest Cline sceglie un approccio action, Austin Grossman uno stile più lento e meditato.

Finora è proprio questo il pregio di YOU: una rimembranza di tempi passati, di un'età d'oro dove genialità, gioco e disinteresse erano fusi inestricabilmente, e dove il marketing ancora non aveva affondato i denti.

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