A trattare la scelta tra libro cartaceo
e ebook, spesso si trascura che il discorso non si svolge mai in un
piano di parità. E' difficile, se non impossibile che ogni lettore
abbia un'ampia disponibilità finanziaria per comprare libri in
massiccio cartonato, metterli sulla scansia, ammirarli in tutta
tranquillità soddisfatto d'aver garantito la sopravvivenza della
"libreria" di quartiere o altre del tutto romantiche e
inventate realtà locali. Spesso la scelta dell'ebook è semplice
necessità: non ho i mezzi materiali per la vanità di possedere un
libro. Potrei andare in biblioteca per prendere quanto mi serve, ma
da assiduo (una volta) frequentatore, vi assicuro che il prestito del
libro è una faccenda sgradevole, un non-possesso di gran lunga
peggiore al gettare qualche euro per l'ebook. Senza ovviamente contare che ebook e
libri cartacei possono benissimo sussistere, come viene
lapalissianamente dimostrato da diversi anni...
Questa contorta introduzione per
spiegare che spesso alcune scelte anche in un ambito triviale quale la
scelta del libro sono certo più motivate dalla disponibilità
personale di denaro e mezzi, che da immaginarie e del tutto
fantasiose scelte morali. Ad esempio, nel mio caso, non avrei mai
considerato la rigatteria un posto dove andare, se non fosse che di
anni in anno la disponibilità monetaria si riduce drasticamente
sempre di più, e come Lovecraft s'adoperava per comprare una giacca
"da gentleman" nei negozi delle pulci mercanteggiando
ironicamente con quei brutti negri e meticci che dichiarava d'odiare
nei propri racconti, così io giro nelle rigattiere frugando tra
schifezze dimenticate da Dio alla ricerca di qualche romanzo
interessante per cui buttare cinquanta penny cent o nel caso più
generoso, addirittura un euro. Spesso ritorno con il braccio
insozzato fino al gomito di mestruo e sperma delle trame d'isterici
harmony senza sostanza, ma in altri casi un decesso, o un improvviso
abbandono d'interessi portano a valanghe di roba interessante.
Il tizio muore, i “simpatici”
parenti decidono che è ora di liberarsi di tutto quell'immondezzaio
chiamato “libreria” (sic!) vendendo tutto il lotto al rigattiere,
che si lecca i baffi. Immaginatelo come un gatto davanti a un piatto
di lische: non andrete troppo lontani dalla realtà.
Ad esempio, ultimamente ho recuperato
un paio di numeri di Robot di fine anni 70. Giganteggiava il nome di
George rr Martin in copertina, e col pensiero “vado sul sicuro”
li ho presi entrambi.
- Anno III Gennaio 77' L.800: in Questo numero: un romanzo breve di George RR Martin
- Anno III Giugno 78' L. 1000: in questo numero: racconti di George RR Martin
Robot è una rivista di fantascienza
ancora viva nel panorama (decadente) della sf italiana: l'ho vista un
paio di volte in diverse librerie, ne ho letto qualche numero recente, insomma è una realtà ancora
attuale. Che al di fuori del prezzo il formato sia rimasto in colore
e dimensioni identico a quant'era trentanni fa la dice lunga sul
conservatorismo italiano, ma sorvoliamo...
Il romanzo breve era Una canzone per
Lya, lunga novella vincitrice del Premio Hugo 1976.
Il romanzo
sviluppa un tema assai vivo nella fantascienza sia vintage che
attuale; la telepatia, la possibilità di leggere emozioni e pensieri
degli individui. Lyanna è una telepate che riesce a leggere i
pensieri di chi le sta di fronte; Robb riesce a leggere invece il
miscuglio di emozioni che agita il suo interlocutore. Insieme,
formano una coppia formidabile, sia come fidanzati che in quanto
colleghi di lavoro. Alle prese col mistero della società aliena
degli Shkeen, vengono gradualmente introdotti in un giallo/ horror
metafisico piuttosto complesso, ricco di risvolti etici e morali
difficili da descrivere senza scadere nello spoiler. C'è il tema
(banale a leggerlo così) della felicità eterna, c'è il tema di Dio
(un dio alieno e ben incarnato sulla terra, stavolta), c'è il tema
della metempsicosi, c'è il tema del suicidio e dell'amore. Non sono
tematiche che vengono sparate in faccia al lettore; le sto
estrapolando io, adesso, in sede di commento. L'enfasi, ed è in
questo il valore dell'opera, sta nelle descrizioni vive, nei
sentimenti dei personaggi, nella continua, esasperata ricerca di
dettagli concreti. E' vero che, partendo dalla prima persona,
sfuggono diversi infodump, ma la resa dell'emozione è sempre
subordinata alla descrizione del mondo circostante.
“Robb è
infelice” non lo troverete mai in Martin (ma nel fantatrash
italiano sì).
Al mattino calano le nebbie è invece
il racconto del 78'. E' un “raccontino”, focalizzato stavolta sul
mistero del pianeta degli Spettri, un emisfero avvolto dalla nebbia
perenne, al cui interno, così si dice, abitano Spettri in grado di
cacciare prede umane. Il focus non è sul mistero degli Spettri, o
sull'eventuale loro (sc/in)contro con l'essere umano: piuttosto è
sul fenomeno sociale di questa mitologia nata dai primi esploratori
del pianeta, più sulla credenza nel fantastico, nel soprannaturale
che nell'effettiva esperienza di esso.
Un passaggio di dialogo verso il
termine esemplifica bene tutto questo:
- Forse – rispose Sanders. – Ma è l'unica cosa di cui abbiamo bisogno? Non credo. Penso che abbia anche bisogno del mistero, della poesia e del romanticismo. Penso che abbia bisogno di qualche domanda senza risposta, per farlo meditare e stupire –
Dubowski si alzò, improvvisamente corrucciato. – Questa conversazione è inutile come la sua filosofia, Sanders. Nel mio universo non c'è posto per le domande senza risposta –
- Allora lei vive in un ben povero universo, dottore –
Come ho già sottolineato, questa
conversazione non mostra il soprannaturale di cui discutono; ne
parlano piuttosto, l'uno con tono nostalgico, l'altro con acceso
scientismo. Questo rimpianto misto a nostalgia per un fantastico
perduto è spesso presente (mia impressione, eh!) nella fantascienza
martiniana. L'uomo vive nello spazio, viaggia su razzi spaziali, è a
capo di un evoluto umanesimo: eppure è poco soddisfatto di quanto ha
fatto e scoperto. Sente d'aver perso qualcosa.
Possiamo dunque dire che la
fantascienza di Martin è la teoria, mentre il suo fantasy, Le
Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, costituiscono la prassi? Nel primo
caso si parla e si discute di un fantastico che rimane sempre ai
margini, ma che è fortissimamente desiderato. Nel senso, il
fantastico viene per l'appunto messo direttamente in scena, è il
nocciolo (l'etichetta!) stessa della storia.
O se preferite un
paragone più calzante se siete scrittori; la fantascienza di Martin
Racconta il fantastico; il fantasy di Martin lo Mostra direttamente.
Un altro aspetto interessante è dato
dalla breve biografia esposta in Robot del Gennaio 77'. Martin viene
incaricato di presentarsi ai lettori di Robot e scrive una breve, ma
concisa relazione delle sue attività. Non voglio perder tempo a
contare quante parole sono, ma occupa a stento mezza paginetta, pure
includendo una grossa foto di un Martin insospettabilmente giovane,
magro (ma fieramente barbuto).
Una modestia rimarcabile, se
consideriamo che (cito)
Ho poco più di ventotto anni (…) ho pubblicato una trentina circa di opere brevi, e sono giunto in finale a più premi di quanto non meriti. Dal 1973 ad oggi sono riuscito a perdere tre Hugo e tre Nebula, ma ho anche vinto un Hugo: per A Song of Lya, miglior romanzo breve del 1974.
Dicevo, la biografia è piccola, e ciò
risalta perché nello stesso numero di Robot c'è una biografia di un
autore italiano, un certo Gustavo Gasparini. Davvero io mi sforzo
sempre di raffreddare la mia esterofilia, ma in questo caso il
confronto è impietoso. George rr Martin aveva già una posizione
bene stabilita, nella situazione di allora, eppure mantiene la
biografia su livelli goliardici, leggera e istruttiva. Gasparini,
invece presenta una monumentale memor vitae che occupa
un'intera pagina fitta e fitta di annotazioni autobiografiche
totalmente inconsistenti. Non sono interessato a un confronto di
romanzi e tematiche; può benissimo essere che Gasparini sia un
ottimo scrittore e una persona squisita (quale probabilmente è). Non
voglio dare addosso a questo povero autore, ma solo trattarlo a
esempio di come, da lettore esigente, non si dovrebbe
presentare una biografia.
Dopo decine su decine di battutine più
o meno penose, si giunge al temuto manifesto “d'intenti”:
Be' lo yoga e l'occultismo orientale hanno ispirato notevolmente la mia produzione fantascientifica, se non altro come Weltanschauung, come visione del mondo imperniata su valori di ordine sopratutto trascendente, spirituale. La mia aspirerebbe a costituire una specie di metafantascienza, che attraverso lo sviluppo delle più svariate tematiche (dalle psicologiche alle sociopolitiche, psicanalitiche, parapsicologiche, antiutopistiche, ucroniche, senza trascurare neppure quelle fornite dalla vecchia e gloriosa space opera) intende presentare come in una parabola o allegoria, comprendente indefiniti livelli di interpretazione, l'eterna vicenda del destino umano nella sua avventura esistenziale. (Sul serio? >__<)
Foucault è perplesso e lo sono anch'io, sinceramente. |
La vedete? Vi sembra incazzata?
Sì, sembra alzare i pugni... Ehi,
aspetta! Oh un gestaccio! Sì, è proprio incazzata nera.
Quella scimmia in quel momento sta
nella mia testa, ed è la scimmia che mi prende quando memore di
diversi corsi di filosofia universitaria leggo palesi tentativi
d'impressionare il lettore basati sul Niente. Teoria assemblata
nemmeno con filosofia spicciola, ma semplice montaggio di lego-parole
per dare l'impressione che sì, sono uno che se n'intende, davvero...
E guardate quanti bei paroloni ho messo assieme, vedete? Scrivo
fantascienza sì, ma di quella intelligente! Non fantascienza, ma
qualcos'altro. Il genere? Solo una vernice esteriore. Perché non sia
mai che si scriva qualcosa basandosi piuttosto chessò, su quella
cosa chiamata “storia” piuttosto che imbastire il tutto su
messaggini che come spiegato precedentemente, non c'è alcun bisogno
di forzare nel testo.
Tirando una boccata di ossigeno,
torniamo alla parte finale della breve, breve! biografia di Martin.
Forse ai lettori di ROBOT può interessare sapere che in parte io discendo da italiani: il mio bisnonno era un immigrante, e si chiamava Massacola prima di americanizzare il cognome in Martin. Ma ormai temo di essere più che americanizzato, visto che in parte sono anche irlandese, tedesco, francese, inglese e Dio sa che altro.
Basta come autobiografia?
Stay american, Martin. Stay
american.
9 commenti:
Me li citano spesso, quei vecchi numeri di Robot, quando parlo dalla prospettiva di chi scopre oggi la precedente produzione di Martin. Non ho letto le opere citate da te, ma altri racconti (l'ottimo "Sandkings") e un paio di romanzi. Al di là dei gusti personali, riconosco parte del tuo discorso, quello sull'umanesimo futuro, in tutte le opere di fantascienza da lui scritte - in particolare nel suo primo romanzo, un po' acerbo ma con scenografie già molto suggestive, "In fondo il buio" ("The dying of the light").
Per il resto, lo zio Martin ha davvero una biografia interessante, soprattutto quella bibliografica!
re della sabbia? (Sandkings) Era cattivissimo quel racconto!
I numeri di Robot che ho preso non sono male, anche se devo ammettere che al di fuori di Martin rubriche e racconti d'altri autori mostrano un po' il segno dell'età; sono spesso argomenti a cui scuoti le spalle perplesso. In fondo il buio è accennato nella vecchia biografia! lì lo chiama invece "After the festival" che era il titolo originale originale. lo chiama il "mio primo, grosso romanzo" LoL
Per certi versi spero, che se riuscirà a concludere le Cronache, torni a scrivere fantascienza, o cmq qualcosa di diverso L'avverto molto "prigioniero" della sua saga; un po' come cinematograficamente parlando, Peter Jackson è ormai prigioniero di Tolkien, quando in origine dirigeva invece film splatter :-D
Martin non a caso quando riesce si ritaglia una via di fuga editando antologie, Wild Cards e scrivendo storie di Westeros al di fuori della saga principale.
Mmm... la nota biografica di uno che sembra darsi molta importanza.
Eh, sì.
Credo d'aver sputacchiato la mia tazza di te, quand'ho letto "Weltanschauung" e "metafantascienza". Neppure i santi patroni della Sf arrivano a tanto, quando s'autodescrivono. Eppure, nel loro caso, sarebbero più che giustificati :-P
Metafantascienza non lo diceva nemmeno Malzberg, che pure scriveva metafantascienza... Credo di averlo inconsapevolmente filtrato! Ma possibile che la critica letteraria sia finita nelle dichiarazioni degli autori stessi? L'altro giorno leggevo di un ignoto (per scelta, ma il libro è uscito l'anno scorso per Mondadori) romanziere italiano, che si è sentito in dovere di giustificare la scelta di scrivere un libro (trilogia?) fantasy accennando, appunto, a un discorso metaletterario sotteso. Sembra che la metaletteratura vada alla grande!
Detto in toni volgari, dire meta/fantascienza/fantasy fa più fiko che dire "scrivo fantastico".
C'è da sottolineare che almeno nel caso citato Gasparini mi sembra di capire ha i suoi studi alle spalle, oltre a essere più che giustificato dal fatto che la biografia viene dritta dalla fine anni 70, dove (credo) in Italia il fantasy fosse ancora meno diffuso prima del Boom della trilogia filmica del signore degli anelli. Forse in un futuro (galassia?) lontana lontana avremo autori che si giustificano perché la storia non è abbastanza convincente e non perché non c'è "un profondo sottotesto/intento morale/messaggio edificante" >___<
Il discorso metaletterario di elfi, nani e ballerine: come non vederlo! :D
Mi raccomando, eh mettici tanto realismo sociale e tanti -meta, altrimenti non scrivi vera Letteratura!
Poi la psicologia dei personaggi, la storia, i buchi logici... Quelli invece sono dettagli insignificanti (lol)
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