A studiare il nemico, c'è sempre il
forte pericolo che si diventi quanto s'aveva duramente combattuto.
Si
studia, si studia e si giunge all'agghiacciante conclusione che il
nemico aveva ragione, tu avevi torto e dopotutto agiva a fin di bene.
La conversione al nemico, che sia una semplice posizione culturale o
una conversione religiosa; un fenomeno tanto banale quanto comune.
Tuttavia, c'è un processo perfino più
insidioso, che bene riflette l'atteggiamento di molti
parassiti, che entrati sotto pelle manovrano e succhiano energia a un
corpo che crede di avere libero arbitrio, pieno controllo di corpo e
pensieri. E' il caso dell'opposizione che finisce per lodare, o
meglio per dogmaticamente proporre proprio il modello che
vorrebbe combattere con tutte le sue forze. A volte finisce addirittura
per rafforzarlo. E' un processo singolare, ma che ha un senso, nella
società contemporanea.
L'oppositore opponendosi diventa sostenitore
e viceversa.
Ad esempio, quando qualche settimana
addietro ero in libreria a frugare nella sezione Fumetti, non ho
potuto non ascoltare una conferenza che vi si andava tenendo.
Ho imparato da tempo che alle conferenze, specie se in luoghi
pubblici come una libreria, un folto pubblico non è per forza buona
cosa. Se c'è tanta gente, stanno aspettando solo una cosa: il
rinfresco. E se non c'è rinfresco, la conferenza ha come
protagonista un personaggio che il pubblico spera pittoresco: c'era
tanta gente per Mauro Corona, per Sgarbi ecc ecc. In questo caso, la
relatrice era una donna, l'argomento era femminista e il pubblico era
scarso: tutti ottimi indizi che il discorso fosse interessante. E da
quel poco che ho ascoltato lo era parecchio. Nulla di nuovo per la
carità; filava sul pattern di stampo antropologico, che confrontava
certi modelli di politica e comportamento svedesi e finlandesi con
una certa arretratezza latente tipica del Peggio dei paesi
mediterranei coniugato col peggio della beceraggine anglosassone.
Avendo frequentato un corso di antropologia con una professoressa
piuttosto...umh...critica, conosco già gran parte degli argomenti e
vi concordo. Almeno, facendo eccezione del totale disprezzo che gli
antropologi provano per ogni conquista tecnologica, per non citare
tutte quei noiosi rimproveri “alla kattiva civiltà occidentale”
che ha “schiavizzato” le “pacifiche culture non eurocentriche”.
Ho qualche difficoltà a considerare popolazioni come gli Zulu o gli
schiavisti guerrafondai del Dahomey pacifici, ma sto
divagando.
Il vero problema era un altro e me ne
resi conto solo scarpinando a casa.
Tra un pensiero e l'altro,
analizzavo componenti e parti del discorso e volevo trarne per così
dire un modello pratico di comportamento. Ovvero; se era chiaro chi
disprezzava e chi odiava, verso tuttavia quale persona (ideale) si
rivolgeva l'elogio femminista?
La risposta mi sorprese; era la madre.
Una madre forte, fiera, indipendente, ma pur sempre una madre. La
dottoressa che alla levata di scudi
dell'obiezione di coscienza dei medici diventa l'unica specialista che pratica aborti, ma che in realtà vorrebbe anche far nascere qualche bambino di tanto in tanto. La madre che abbandonata dal marito tira avanti da sola e si rende conto di come autonomamente viva meglio di quand'era sotto il tetto familiare. And so on.
dell'obiezione di coscienza dei medici diventa l'unica specialista che pratica aborti, ma che in realtà vorrebbe anche far nascere qualche bambino di tanto in tanto. La madre che abbandonata dal marito tira avanti da sola e si rende conto di come autonomamente viva meglio di quand'era sotto il tetto familiare. And so on.
Il nodo debole dell'argomentazione è,
per l'appunto, questo. Se modello positivo del femminismo è una
“supermadre” cosciente, autonoma, ma per l'appunto super,
cosa la differenzia, mettiamo, con la Maria piena di Grazia del
Cristianesimo? In entrambi i casi, sia nel modello religioso che
laico c'è un modello di donna che si realizza nella maternità, un
modello estremo, indubbiamente di grande potenza. Qual'è il passo in
avanti, nell'individuare nella lode sperticata alle “tante madri
coraggiose” l'esempio femminista per eccellenza?
Non si può
utilizzare un lessico cristiano, e pertanto capitalista, per
combattere una situazione per l'appunto di dominio capitalista. Usare il fuoco per combattere il fuoco porta solo
all'autocombustione.
Non proprio una grande conquista.
Sarebbe stato piuttosto interessante
interlocutire la relatrice e chiederle se provenisse da un entroterra
cristiano, se la sua famiglia fosse cristiana; se fosse credente. Non
è il meccanismo forse dell'inconscio stesso, questo seppellire certe
credenze che si credevano estinte per poi riproporle credendole
proprie, genuinamente convinti di aver trovato qualcosa di nuovo? Una
verniciata superficiale e via, totalitarismi paternalisti
(ri)proposti come “nuovi”, come modelli innovativi,
ingannevolmente emancipatori.
E in un orrendo circolo vizioso ci si ritrova così con un discorso che vuole essere "emancipatore" ma in realtà corteggia esattamente quello stereotipo trito e ritrito della buona madre di famiglia che tutto sopporta pur di crescere i bambini e rendere felice la famiglia. Bizzarro, no?
Non ho messo alcun link nelle fonti, stavolta, perché son riflessioni che ho partorito (sic) per conto mio e che probabilmente possono facilmente venire smontate :-D
Involontario Fail. |
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