venerdì 11 aprile 2014

Una mamma perfetta


A studiare il nemico, c'è sempre il forte pericolo che si diventi quanto s'aveva duramente combattuto.
Si studia, si studia e si giunge all'agghiacciante conclusione che il nemico aveva ragione, tu avevi torto e dopotutto agiva a fin di bene. La conversione al nemico, che sia una semplice posizione culturale o una conversione religiosa; un fenomeno tanto banale quanto comune.

Tuttavia, c'è un processo perfino più insidioso, che bene riflette l'atteggiamento di molti parassiti, che entrati sotto pelle manovrano e succhiano energia a un corpo che crede di avere libero arbitrio, pieno controllo di corpo e pensieri. E' il caso dell'opposizione che finisce per lodare, o meglio per dogmaticamente proporre proprio il modello che vorrebbe combattere con tutte le sue forze. A volte finisce addirittura per rafforzarlo. E' un processo singolare, ma che ha un senso, nella società contemporanea. 
L'oppositore opponendosi diventa sostenitore e viceversa.

Ad esempio, quando qualche settimana addietro ero in libreria a frugare nella sezione Fumetti, non ho potuto non ascoltare una conferenza che vi si andava tenendo. Ho imparato da tempo che alle conferenze, specie se in luoghi pubblici come una libreria, un folto pubblico non è per forza buona cosa. Se c'è tanta gente, stanno aspettando solo una cosa: il rinfresco. E se non c'è rinfresco, la conferenza ha come protagonista un personaggio che il pubblico spera pittoresco: c'era tanta gente per Mauro Corona, per Sgarbi ecc ecc. In questo caso, la relatrice era una donna, l'argomento era femminista e il pubblico era scarso: tutti ottimi indizi che il discorso fosse interessante. E da quel poco che ho ascoltato lo era parecchio. Nulla di nuovo per la carità; filava sul pattern di stampo antropologico, che confrontava certi modelli di politica e comportamento svedesi e finlandesi con una certa arretratezza latente tipica del Peggio dei paesi mediterranei coniugato col peggio della beceraggine anglosassone. Avendo frequentato un corso di antropologia con una professoressa piuttosto...umh...critica, conosco già gran parte degli argomenti e vi concordo. Almeno, facendo eccezione del totale disprezzo che gli antropologi provano per ogni conquista tecnologica, per non citare tutte quei noiosi rimproveri “alla kattiva civiltà occidentale” che ha “schiavizzato” le “pacifiche culture non eurocentriche”. Ho qualche difficoltà a considerare popolazioni come gli Zulu o gli schiavisti guerrafondai del Dahomey pacifici, ma sto divagando.

Il vero problema era un altro e me ne resi conto solo scarpinando a casa. 
Tra un pensiero e l'altro, analizzavo componenti e parti del discorso e volevo trarne per così dire un modello pratico di comportamento. Ovvero; se era chiaro chi disprezzava e chi odiava, verso tuttavia quale persona (ideale) si rivolgeva l'elogio femminista

La risposta mi sorprese; era la madre. 
Una madre forte, fiera, indipendente, ma pur sempre una madre. La dottoressa che alla levata di scudi
dell'obiezione di coscienza dei medici diventa l'unica specialista che pratica aborti, ma che in realtà vorrebbe anche far nascere qualche bambino di tanto in tanto. La madre che abbandonata dal marito tira avanti da sola e si rende conto di come autonomamente viva meglio di quand'era sotto il tetto familiare. And so on.
Il nodo debole dell'argomentazione è, per l'appunto, questo. Se modello positivo del femminismo è una “supermadre” cosciente, autonoma, ma per l'appunto super, cosa la differenzia, mettiamo, con la Maria piena di Grazia del Cristianesimo? In entrambi i casi, sia nel modello religioso che laico c'è un modello di donna che si realizza nella maternità, un modello estremo, indubbiamente di grande potenza. Qual'è il passo in avanti, nell'individuare nella lode sperticata alle “tante madri coraggiose” l'esempio femminista per eccellenza?
Non si può utilizzare un lessico cristiano, e pertanto capitalista, per combattere una situazione per l'appunto di dominio capitalista. Usare il fuoco per combattere il fuoco porta solo all'autocombustione.
Non proprio una grande conquista.
Sarebbe stato piuttosto interessante interlocutire la relatrice e chiederle se provenisse da un entroterra cristiano, se la sua famiglia fosse cristiana; se fosse credente. Non è il meccanismo forse dell'inconscio stesso, questo seppellire certe credenze che si credevano estinte per poi riproporle credendole proprie, genuinamente convinti di aver trovato qualcosa di nuovo? Una verniciata superficiale e via, totalitarismi paternalisti (ri)proposti come “nuovi”, come modelli innovativi, ingannevolmente emancipatori. 
E in un orrendo circolo vizioso ci si ritrova così con un discorso che vuole essere "emancipatore" ma in realtà corteggia esattamente quello stereotipo trito e ritrito della buona madre di famiglia che tutto sopporta pur di crescere i bambini e rendere felice la famiglia. Bizzarro, no?

Non ho messo alcun link nelle fonti, stavolta, perché son riflessioni che ho partorito (sic) per conto mio e che probabilmente possono facilmente venire smontate :-D

Involontario Fail.

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