martedì 5 giugno 2012

Falla soffrire: maltrattare i propri personaggi


L'E3 losangelina sta ormai diventando, dal luogo di un tempo, sede di mirabolanti annunci e nuove interessanti novità, fiera del cafonaggio videoludico, dove fra cosplay, donnine poco vestite e (in)volontarie figuracce di sviluppatori e presentatori risulta l'ilarità a farla da padrone.

merdavigliosa^^
Anyway risultavo interessato solo a due titoli: Dishonored, rilancio dello steampunk albionico, trionfo barocco della Arkham studios; Tomb Raider, miracoloso reboot di un'Ip che si andava perdendo in un continuo riciclo di temi abusati a oltranza. Dishonored... non ha ancora svelato le sue carte.
Lara invece... Lara non delude mai. Non si può infatti non apprezzare il lavoro svolto dietro la maschera della pettoruta eroina. Dal personaggio bidimensionale delle sue ultime incarnazioni si è infine recuperata una dimensione "umana": la nuova Lara ventenne è una mocciosa, cacciata in una situazione ai limiti dell'impossibile, immersa a forza in un enviroment letale, crudele, affilato come le zanne di un lupo.
Il nuovo trailer enfatizza tuttò ciò in una sequenza di cut scene l'una più violenta e "viscerale" dell'altra, cacciando la protagonista in un'escalation di sangue e corpi spezzati. In ordine abbiamo:
  • Graffi, contusioni, tentato rogo
  • Caduta da considerevole altezza, con tanto di scheggia dritta negli organi interni
  • Fame, sete, sporcizia, solitudine
  • Caccia
  • Tradimento, tagliola nella gamba (!), rapimento


Gli sceneggiatori hanno fatto un buon lavoro? Sì, dannazione, sì! Aggiungere conflitto su conflitto è fondamentale in una storia che voglia essere avvincente; più soffre il personaggio, più gli siamo vicini, proviamo quella meravigliosa empatia che ci porta all'immedesimazione nel protagonista.
In quei pochi minuti di trailer Lara viene letteralmente sommersa di conflitti, di dolore, di ostacoli:
la simpatia scatta immediata.

E tuttavia non basta. Nell'ambito di romanzi e racconti, aggiungere conflitti su conflitti è relativamente facile, farli sentire... Well, questo è un altro discorso.
Una delle ragioni per cui Lara sembra da quanto visto promettere bene, è l'ottima sensazione di dolore che si accompagna a ogni fotogramma. Il dolore lo si sente, lo si percepisce, filtra dal video. Non conta dunque solo il conflitto, conta farlo sentire, il più possibile, descrivendolo con maggior accuratezza possibile.
Potete aggiungere quanti conflitti desiderate, ma se il lettore rimane esterno alla materia narrata, se si limita a leggere con un ghigno sul volto le sventure che abbattete sul protagonista, è tutto inutile.

Se ne incontrano a bizzeffe di esempi simili, nel mondo dei forum di scrittura.
Ricordo un concorso di racconti horror a cui partecipai quando avevo dai quindici ai sedici anni: io come molti altri mettemmo in campo torture e squartamenti a gogo al punto che i professori rimasero genuinamente disgustati, ma in nessun caso, proprio nessuno si percepiva la benchè minima empatia.
In breve sembrava di leggere un quadro astratto, in cui sangue e budella erano solo tinture con cui divertirsi. Recentemente il protagonista di un mio vecchio racconto si rompe il braccio, ma sono io il primo ad ammetterlo, in quel punto è difficile provare la benchè minima preoccupazione. Non c'è empatia. O partecipazione. Descrivo:
"Provò un dolore lancinante al gomito, storto all'incontrario. Un filo di sangue colava dall'osso frantumato. Non aveva mai provato un dolore tale".

Cosa comunica, "dolore lancinante"?
O l'infelice espressione "Non aveva mai provato un dolore tale".
Un cazzo.
Non comunica proprio un cazzo.

A questo punto sarebbe divertente inserire uno dei consigli di Chuck Palahniuck, che a proposito del dolore scrive "Ricorda: laddove la persona normale piange, lo scrittore prende nota".
Che inserito nel nostro contesto lascerebbe sottintendere che risulta certo più facile descrivere quanto già si conosce, che si assapora giorno dopo giorno. I miei dolori ai denti, for example. O il petulante mal di testa dell'amica. Consiglio tanto figo quanto inutile, considerando che in racconti e romanzi, non viene riprodotta la banale, grigia quotidianità, ma realtà diverse e ben più interessanti.

Insomma, descrivere il dolore, far concretamente "sentire" il conflitto, rimane un grosso, indigesto ostacolo. E voi scrittori- lettori? Come vi regolate con dolore e conflitti? Quand'è stata l'ultima volta che avete provato qualcosa nei confronti di un personaggio letterario, che non sia totale indifferenza?

Fonti:
Un ottimo articolo sull'importanza di far soffrire i personaggi, del buon Fantasy Eydor


4 commenti:

Arcamalion ha detto...

Io ho la pessima abitudine, appena creato un personaggio,comprimario o meno, a pensare come ucciderlo, se questo sarebbe ottimale nella storia e simili.

Inutile dire che il tasso di mortalità per me spesso è alto XD

Coscienza ha detto...

Eh vedo che condividiamo un certo sadismo di fondo ^.^

Anonimo ha detto...

Be' alla fine la sostanza sempre quella: il modo migliore è mostrare il dolore. E "mostrare" fa rima con "raccontare" nell'infinita filastrocca che è "mostrare non raccontare!" che ormai è il mio dogma.

Coscienza ha detto...

Già,anche se non ne sarei così sicuro. Nel senso che va sì bene mostrare, ma occorre anche far entrare il mostrare dentro il pov del personaggio. troppe volte leggo di mostrato in teoria ottimo, ma descritto in modo così clinico e per così dire freddo, da lasciare indifferenti ^^
Grazie del commento e benvenuto sul mio umile blog^^