lunedì 25 aprile 2016

Regina del Sole, di Karl Schroeder


In una galassia lontana lontana, ma scientificamente accurata, l'universo di Virga rappresenta uno dei tanti esperimenti dell'uomo nella corsa alle stelle: una bolla gigantesca, un vivente ecosistema che spazia per migliaia di chilometri nello spazio profondo.
Al suo interno, la materia prima disponibile è stata convertita per creare piccoli habitat, che ruotano intorno a soli artificiali, che forniscono calore, vita e ossigeno alla cittadinanza.
A tutti gli effetti, un sandbox spaziale, dove la civiltà umana è balcanizzata in micronazioni eternamente in lotta.

Nel primo libro della trilogia di Karl Schroeder, la nazione di Slipstream è minacciata dalla Formazione di Falcon, un impero militarista in piena espansione. L'unica speranza consiste nell'impossibile missione di arrivare fino a Candesce, il sole artificiale più grande di tutta Virga e manipolarne le variabili per avvantaggiare la piccola flotta di Slipstream.
La missione riesce, ma la moglie del comandante, Venera Fanning, resta dispersa in azione nella fascia di relitti e antichi abitati che circondano il sole di Virga.


Se il primo libro di Schroeder – Il Sole dei Soli – era una missione corale che raccontava un'avventura piratesca attraverso tutta Virga, il secondo – Regina del Sole – restringe invece a un'unica protagonista, Venera Fanning e a un'unica ambientazione, Spyre.
Prima, il ritmo del romanzo era veloce, frenetico: una successione di “meraviglie” e combattimenti, estesi sia nello spazio che nel tempo.
Dopo, con Regina del Sole, il ritmo si dilata, diventa lento e strascicato: una successione di intrighi di corte, di presentazioni di personaggi/psicologie bizzarre, di dialoghi e vendette. Spazio e tempo si restringono a pochi lembi di terra, di edifici e di persone: aumentando a dismisura però il livello di dettaglio e approfondimento.
A voler esagerare, Il Sole dei soli è un telescopio, Regina del Sole un microscopio.

L'insediamento dove Venera è rinchiusa, Spyre, è tra i più antichi di tutta Virga. L'habitat si presenta stratificato sia negli edifici che nelle persone, immobili e ferme in rituali che ripetono da generazioni. Centinaia di casate nobiliari si combattono per il cortile di casa, il corridoio, l'edificio della porta accanto; Spyre non è nemmeno una città, quanto un precario insieme di famiglie tenute insieme solo dall'etichetta e dalla tradizione.
Un passaggio tra i tanti da bene l'idea a quale grado siano arrivati i nobili che l'abitano:
La Guerra della Dispensa si trascinava ormai da cinque anni. Sia Liris sia il ducato di Vatoris accampavano pretese su una stanza di un metro e mezzo per due nei pressi di uno dei tortuosi corridoi della fiera. Gli atti di proprietà risalivano a un centinaio d'anni prima, e la loro formulazione era ambigua. Nessuna delle due parti era disposta a fare marcia indietro.
– Guerra? – chiese Venera dando un'occhiata alle carte. – Forse volevi dire faida?
Gli altri giocatori scossero la testa. No, spiegò Odess, una faida era una faccenda di famiglia. In questo caso si trattava di un conflitto tra militari di professione, che sfociava in battaglie vere e proprie, anche se tali scontri coinvolgevano circa una decina di soldati per parte, ovvero il totale delle forse armate che le due piccole nazioni erano in grado di arruolare. Dopo anni di imboscate, incursioni, scontri a fuoco e tumulti di ogni genere, il conflitto si era trasformato in una guerra di logoramento. Erano state erette due barricate lungo il corridoio conteso; in mezzo si estendeva per una decina di metri una terra di nessuno di mobili rotti e piastrelle incrinate. L'ingresso del ripostiglio faceva capolinea a pochi metri di distanza, e ciascuna delle due fazioni avrebbe potuto conquistarlo in pochi secondi. Il problema era mantenerne il possesso.

Sia nell'interazione di Venera con i decrepiti abitanti, sia nel citare aneddoti come il precedente, Schroeder trasmette con efficacia il “sapore” di Spyre – un senso di antiquo bordato di grottesco, quel genere di assurdità che si crea protraendo una tradizione all'infinito, quando ogni singolo atto del rituale diventa slegato dal contesto.
Spyre, proprio per la sua natura artificiale e meccanica, ricorda un vecchio orologio: i suoi ingranaggi funzionano, le rotelle scorrono, ma solo a patto che rimanga chiuso ermeticamente, dentro una “campana di vetro” che ne preservi l'assurdità. Non appena entra un refolo di vento, un batuffolo di polvere, l'orologio/insediamento si inceppa e corrode. E ovviamente, l'elemento distruttivo e/o anarchico è dato dall'ambizione senza limiti di Venera, che travalica fin dalle prime pagine ogni (vuoto) cerimoniale.
Schroeder nell'introduzione all'edizione italiana dichiara che il suo modello per Spyre è l'universo di Gormenghast; dal mio canto, non avendo letto l'indigesto Peake, ci ho invece trovato un qualcosina di Terry Pratchett, specie negli aneddoti.

Il personaggio stesso di Venera attraversa una dovuta trasformazione, che vede Schroeder dettagliarne all'inizio la psicologia e i moventi, per poi farla maturare sia nell'azione che nei sentimenti: verso il finale del libro, Venera assume responsabilità e doveri che paradossalmente la riavvicinano all'idealismo del marito Chaisson.
Suscita una certa delusione però che Shroeder abbia scelto un percorso molto tradizionale, dove la “cattiveria” di Venera si stempera nel riconoscere e nel rivelare un po' di empatia verso chi la circonda, assieme ai tradizionali momenti di “crisi” (di pianto, o di mal di testa, in questo caso) che accompagnano sempre questi personaggi femminili “forti”. Venera ne Il Sole dei soli era un personaggio stronzo, egoista, contorto, affamato di potere. Ne la Regina del sole la ricerca del potere sulle cose e sugli altri rimane, ma Venera diventa (quasi) una protagonista positiva, eliminando quelle caratteristiche che la rendevano un'anti-eroina.
Va comunque riconosciuto come Schroeder riesca ad agganciare e risolvere i flashback e i fili narrativi lasciati aperti da Venera ne Il Sole dei soli: tra i tutti, la provenienza della pallottola che l'aveva sfigurata è risolta con autentico colpo di genio.

La Regina del sole presenta una struttura narrativa molto più arzigogolata rispetto alla classica avventura in punta di fioretto che caratterizzava invece Il Sole dei soli.
Specie all'inizio, diventa chiaro come Schroeder scrivesse senza scaletta, perchè la storia sembra puntare in una direzione ben precisa, per poi sceglierne un'altra, risolvendo ogni colpo di scena e dilemma in un finale che è essenzialmente un'unica, grande battaglia. I collegamenti alla storia precedente e a quella che verrà – Pirate Sun – sono tutti infilati lì, come se Schroeder si fosse accorto di dover concludere. Scenette slegate dal punto di vista di Venera e spesso solo col gusto della descrizione rinforzano quest'impressione di un seguito scritto di getto.
Essenzialmente, ancor più che nel Sole dei soli, La Regina si basa tutto su ambientazione e protagonista, lasciando che siano loro a reggere il peso di una storia sfilacciata.

Una stesura di getto è anche confermata dallo stile; nonostante l'alto livello, manca quel lavoro di rifinitura – un pizzico di background e via con un po' d'azione, un altro pizzico di background e una spolverata prudente di dialoghi psicologici – che c'era nel primo libro.
Schroeder usa qualche avverbio di troppo, un paio di verbi di dialogo, qua e là spuntano soluzioni poco eleganti. E non cito l'uso eccessivo delle parentesi.
Bisogna anche ammettere che proprio per questo motivo il romanzo risulterà più fluido, meno “preparato” per altri lettori: effettivamente, l'ho letto nella metà del tempo che mi ci è voluta per Il Sole dei soli, neanche il tempo di tre giorni in treno all'Università.
Di tanto in tanto spuntano ancora quei passaggi che da soli vendono il libro: dove la protagonista agisce e nel contempo con la sua azione apprendiamo qualcosa di nuovo. Lo so, lo so, nel resto del mondo è normale business, qui in Italia è invece una legge fermarsi per almeno cinquanta pagine di descrizione statica di ambienti e personaggi.
A quanto sembrava i sarti di Spyre non avevano una grande immaginazione. La stanza conteneva una gran quantità di camicette, abiti e gonne, calzoni e giacche, tutti realizzati in un metallo a snodi dalla lavorazione intricata. Solo la biancheria intima (direttamente a contatto con la pelle) era fatta di materiali più flessibili: sopratutto cuoio, anche se, con suo grande sollievo, Venera trovò qualche indumento di stoffa. Provò un giubbotto di scaglie metalliche ricoperte di verderame, vi aggiunse una gonna di piastre di ferro sovrapposte e si pesò. A malapena quarantacinque chili. Tornò indietro e trovò due schinieri e due bracciali, un collare di platino e una giacca a coda d'acciaio. Meglio, ma era ancora troppo leggera. Moss aspettò con pazienza mentre lei si corazzava come una nave da guerra. Finalmente, quando la bilancia raggiunse la cifra di quarantacinque chili di peso – duecentoventicinque di massa – annuì soddisfatto. – M... ma avete bisogno di un c...c... cappello, – aggiunse.
– Cosa? – Venera lo guardò ferocemente. Aveva una specie di caviglia da marinaio legata alla testa, che oscillava quando si muoveva.
– Tutto questo non è già abbastanza umiliante?
– D... d... dobbiamo esercitare una p... p... pressione sulla s... spina dorsale. Per la s... salute a lungo termine.
– E va bene. –
Frugò in un ammasso di alternative ridicole, che spaziavano da vasi per fiori dotati di sottogola a una vasca di vetro per i pesci, vuota ma incrostata di brina. Alla fine scelse l'oggetto meno oltraggioso, un elmetto cromato con i paraorecchie e due ali di corvo fissate dietro le tempie.

Il seguito di una trilogia, il “volume II”, è sempre il tradizionale anello debole, ma Schroeder lo supera compiendo una diversione: anziché misurarsi con Il Sole dei soli, preferisce cambiare a tal punto l'ambientazione da non doversi preoccupare. I punti indispensabili rimangono, dai personaggi ulteriormente “sbozzati”, al setting approfondito, agli agganci alla storia principale di Slipstream, lentamente portati avanti.

Suscita una certa meraviglia che mentre molte casi editrici “grandi” rifiutino di tradurre le trilogie o non le completino mai, Zona 42, pur con limitatissime risorse, stia invece compiendo il passo opposto: sempre nel 2015 era infatti uscito Effendi, il secondo volume della trilogia dell'arabesco di John Courtenay Grimwood. 
Due trilogie cui manca solo il gran finale, senza citare le nuove uscite di primavera ora negli scaffali. Non so quanto sia oneroso sul piano delle vendite e del rendiconto sobbarcarsi contemporaneamente addirittura due saghe così estese, ma certamente da lettore lo apprezzo molto.

Fonti:
Zona 42 (Pagina Facebook)  

Nessun commento: