mercoledì 10 febbraio 2016

The Coffeist Manifesto (o i proletari del caffè)


Nel 2014 dalle mie parti, a ottobre, c'era stato il TriestEspresso Expo
Lavorando come volontario di Italia Nostra presso la Centrale Idrodinamica – che dava dirimpetto al magazzino adibito per la Fiera – vedevo passare diversi personaggi alquanto particolari. Scienziati, magnati e avventurieri del caffè, sia grandi che piccoli: il migliore era un turco dai baffi arricciati e impomatati, uscito direttamente da un romanzo a 50 cent di Salgari.
Pur essendo la Fiera rivolta agli investitori e alle start up, l'Expo vedeva anche una sua nutrita fetta di curiosi, così come di assaggiatori di professione del caffè. A questo proposito: il degustatore che assaggia il caffè per poi sputarlo per evitarne gli effetti, dopo una decina di tazze soffre comunque la caffeina, perchè le papille della lingua assorbono il liquido. E' lo stesso principio per cui “rischiano” gli assaggiatori di vino, o perché i fumatori di pipa, pur assaporando solo col palato e non inalando coi polmoni, riescono a sentire comunque il gusto del tabacco.
C'era un unico elemento distintivo in tutto ciò: ogni membro della Fiera, dal billionaire dei chicchi del Guatemala al triestino con troppi soldi da spendere, erano convinti di appartenere a un élite, a un gruppo privilegiato di grandi intenditori. Dopo aver provato, senza successo, a chiacchierare con le carine responsabili del servizio informazioni, ne ero rimasto sbigottito: non c'era singolo visitatore che non si sentisse in dovere di calpestarti sotto le proprie suole verniciate.
In realtà, a livello locale, Trieste non è da tempo la capitale del caffè. Fino agli anni novanta il porto godeva di una speciale esenzione dalle tasse sul caffè, il che permetteva ovviamente un florido commercio. Tuttavia, dal duemila la concorrenza globale ha morso a fondo la fetta di commercio triestino e dubito, successo o meno delle diverse fiere, che la situazione migliori.
Sicuramente non è realistico aspettarsi una crescita del turismo locale, considerando i termini al limite dell'esoterico con cui chiamiamo i nostri caffè (cossa la vol? Cappo in b, grassie).



Ecco, il saggio che vi consiglio oggi è un buon antidoto a tanta spocchia, a tanta (falsa) supponenza.
Si chiama The Coffeist Manifesto e l'autore, Steven D. Ward vive e insegna in Sud Corea.
Esperto, ma coffee made man, ha scritto nel 2012 questa guida formidabile a come migliorare il proprio caffè. Non è per intenditori, come non è un catalogo di marchette a quella ditta di caffè, o a quella macchina espresso; piuttosto è una guida all'uso, un fai-da-te dove invece che spiegarti come costruire la mensola dell'ikea, ti guida a come scegliere, bruciare e cucinare il tuo caffè, tagliando ogni intermediario. L'aspetto più interessante, rispetto ad altre guide sulla rete, è che non si limita a come cucinare, ma si spinge a consigliare dove acquistare online i chicchi verdi direttamente dal coltivatore, come bruciarli e infine come triturarli per trarne quella finissima polvere che siamo abituati ad associare al caffè d'acquistare in supermercato.
Ed è davvero semplice, in tutto.
Semplice nella scrittura, nello stile dei blogger migliori.
Semplice nelle spiegazioni che sì... sono semplici.
Semplice nelle operazioni per produrre da sé il proprio caffè, limitandosi all'acquisto della materia grezza – i semi – e illustrando ogni passo successivo. Dopo un paio di pagine si rimane stupefatti da quant'è, ancora una volta, semplice l'intero processo.
Quell'aura di snobismo, quell'implicito sottinteso che il caffè sia producibile solo con estese industrie, alta tecnologia e gigantesco merchandising è preso spietatamente in giro.
In questo, The Coffeist Manifesto, più che proletario è punk.
Punk com'è il vero Punk, ovvero produrre e costruire per proprio conto quanto invece la gente normale compra, quella formidabile spinta al fai-da-te di cui beneficiano finalmente i produttori primari, i coltivatori, invece che i business men al vertice della catena.
Rimango dell'opinione che sia meglio un buon te, al caffè, ma considerando che sul primo c'è abbondanza di documentazione in Rete (gli articoli del Duca su tutti) iniziare a dare qualche consiglio bibliografico sul caffè non è una cattiva iniziativa...


Vi lascio con la traduzione d'un paio di passaggi, per dare l'idea del tono del saggio:

Caffeinomani di tutto il mondo, unitevi!
La borghesia del caffè ci ha ingannato. Ci hanno convinto che fare del buon caffè da soli sia una capacità al di fuori delle nostre possibilità. Si sono inseriti nelle nostre esistenza per conto loro, senza essere stati invitati e con la pretesa di venir pagati solo per il privilegio di esserci.
E per cosa? Non solo il loro prodotto finale è rancido, amaro e sovraprezzato, ma nemmeno ci rendiamo conto di essere stati ingannati.

(...)

Sono stati capaci di fare tutto ciò perché, per la maggior parte di noi, il caffè è un ripensamento.
Lo consumiamo senza pensarci a un primo appuntamento, o mentre studiamo per un esame, o sopra la colazione al nostro postaccio preferito. Non riflettiamo neppure da dove venga, dal lavoro spaccaossa dei contadini al giro attorno al mondo affinché arrivi alle nostre tavole.
Chiamo tutto ciò essere uno zombie del caffè.

(...)

Per anni ero anch'io uno zombie del caffè. Amavo il caffè, ma lo consideravo prima e sopratutto, una droga. Ero testardamente fiero che lo bevessi nero, fuori da una sorta di machismo ignorante. “apprezzavo” il caffè bevendolo nero e amaro per mostrare quant'ero uomo, mentre in realtà sapevo che avevo un gusto orribile. Non lo capivo a quel tempo, ma stavo bevendo chicchi ammuffiti bruciati fino a diventare una crosta nera. Ero beatamente ignorante sul mondo del caffè, ma questo non mi impediva di essere uno completo snob. Avevo deciso che il “buon” caffè fosse nero e amaro. Pensavo di conoscere tutto ciò che c'era da sapere sul caffè, ma in realtà non ne sapevo quasi nulla. In effetti, ci sono un sacco di incoraggiamenti nella nostra società moderna a rimanere piacevolmente, fieramente, ignoranti.
Avrei potuto essere davvero scambiato per uno zombie, nel modo con cui inciampavo a caso intontito prima di ricevere la mia dose della mattina.
Per fortuna, a differenza dei veri zombie, è possibile guarire.

(…)

Voglio provare a connettere tutti i punti per voi e darvi una mappa di indicazioni per apprezzare il caffè. Sono stufo e nauseato di baristi presuntuosi, elitari forum su Internet, e avidi possessori di “accademie del caffè” che ci dicono di seguire le loro costose lezioni per saperne di più.
Mi dispiace, ma queste sono tutte stronzate.
Per quelli tra noi che probabilmente non dovranno mai gestire un bar o un negozio di caffè, l'idea che dobbiamo pagare centinaia dei nostri preziosi e sudati dollari perchè qualcuno ci spieghi la corretta tecnica per versare un liquido dentro una tazza è assurdo. Nonostante forse non lo facciano apposta, c'è una grossa bugia che circola nella nostra cultura sul saper fare un grande caffè: fare un caffè fantastico richiede abilità difficili e speciali/ una macchina particolarmente costosa/ poteri magici. Semplicemente, non è vero.

(...)

Unitevi, compagni caffeinomani, nella nostra prossima grande rivoluzione culturale.

Ci riprenderemo indietro il nostro potere, proteggeremo i nostri portafogli, e arricchiremo le nostre vite educandoci in un modo che non mira a elevarci a qualche forma di elitè, ma che aiuta anche gli altri ad apprezzare il rituale, la vista e i suoni del caffè e per conseguenza le altre piccole cose nella vita. Compagni, al giorno d'oggi, questo è un atto rivoluzionario.

8 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Sai sono intollerante alla caffeina. Ho letto tutto con molta auto-ironia eheh

Il Duca di Baionette ha detto...

Articolo molto interessante. Da un mesetto circa, dopo l'articolo sui tè economici, mi è tornata la voglia di occuparmi di caffè. Ormai ne consumavo poco e bere caffè buono a casa mentre assieme se ne vuole consumare poco non è facile (per semplici problemi di conservazione): per non rovinare anche solo i chicchi in grani, una piccola confezione da 250 grammi di una torrefazione online buona va consumata tutta entro 1-2 mesi (meglio 1 mese)... il che significa con Moka da 3 tazzine (20 grammi polvere), 12 Moka... con il pressofiltro che io preferisco, si tratta di 15 belle tazze lunghe.

Io ho avuto periodi lunghi in cui non bevevo nemmeno un caffè in un mese... puoi immaginare che casino fosse, mitigato giusto dalla possibilità di ripiegare su, rimanendo a tema triestino, Illy che posso procurarmi al supermercato e piace anche al resto della famiglia. Però così significa che non potevo bere i monoorigine di mio specifico interesse (e col cavolo che mia madre perderebbe tempo a macinare il caffè per sé: se apro i grani, dovrò farli fuori io... o macinarli io per gli altri quando mi offro di preparare il caffè).

Ora sto tentando un equilibro tra tè (che consumo come sempre a litri) e caffè, per non escludere quest'ultimo dai miei consumi. Il vino invece è precipitato nei miei consumi (ma sono saliti i pastis ed è tornato l'assenzio, ma solo come prodotti da meditazione, qualche volta di notte, prima di dormire), sconfitto brutalmente dal tè.

Riprendendo questo interesse per il caffè in mano mi sono scontrato con un problema a cui non avevo mai pensato in pieno: l'ignoranza verso il caffè di un popolo che pure vive di caffè. Ignoranza sul prodotto e sulla preparazione, anche in ambiti professionali! Caffè famosi, produttori famosi... ok, quest'ultimi non è ignoranza, è malafede (i famosi sentori "cioccolatati", che invece spesso sono saporacci di terra causati da quei 40-60% di Robusta mal selezionati e mal tostati che infestano le miscele di prezzo medio e basso).

Mi sono preso una pausa per riprendere in mano i vecchi testi letti sul caffè, per leggerne uno nuovo più orientato all'ambito espresso (che conoscevo poco e che è invece molto affascinante... non mi dispiacerebbe un giorno fare il macchinista dell'espresso, se capitasse l'occasione), per degustare monoorigine che ancora non avevo provato e per andare alla scoperta dei problemi che affliggono la cultura del caffè in Italia a differenza di altri paesi (in parte nati col mito della "crema" negli anni '50-'60, e trascinati fino a oggi).

Sicuramente quando parlerò di caffè segnalerò questo articolo e il libro consigliato. :-)

Coscienza ha detto...

@Marco Grande Arbitro
Meglio così, vuol dire che risparmi sulle spese di casa :)

@Il Duca di Baionette
Benvenuto sul blog, Duca! Grazie per le interessanti osservazioni.
The Coffeist Manifesto come ebook è facile da trovare, era uscito nel 2012.
Non è perfetto, ma tenta sul serio di aiutare il lettore, senza nascondersi dietro paragrafi di tecnicismi vuoti.

La freschezza dei chicchi, almeno per Ward, è il fattore più importante.
Al punto che preferisce chiaramente un caffè fatto con materiale fresco, ma con una Moka malmessa, per dire, a un caffè stantio ma prodotto da chissà quale macchina rivoluzionaria (nel libro ci sono diversi aneddoti divertenti sull'amica "di ritorno dall'Italia" convinta di sapere tutto sul caffè, o sul parente che compra "tecnologia giapponese per fare il caffè" salvo poi metterci dentro robaccia presa dal supermercato).

L'ignoranza italiana verso il caffè è legata a un atteggiamento di superiorità culturale verso l'estero. Si criticano le usanze dei barbari, ma non ci si accorge che nel frattempo si sono evoluti alquanto.
Ward a questo proposito fa un'osservazione piuttosto pungente su come nella sua zona (quando scriveva viveva ancora negli States) la qualità del caffè sia migliorata solo per merito di un "cattivo" quale Starbucks, che risvegliando interesse verso la bevanda ha creato le condizioni per un mercato più di nicchia da intenditori.






Il Duca di Baionette ha detto...

Starbucks a suo modo è stato molto importante ed è grazie a lui che il concetto di Espresso ha ottenuto fama fuori dall'Italia. O almeno così ho letto/sentito (lo dicevano anche nel servizio di "Report" sul caffè di un annetto e qualcosa fa, molto bello, di cui parlerò nel mio post).
Come diceva un mio amico nel settore bar, la professionalità dei normali addetti di Starbucks fa impallidire buona parte dei baristi italiani. ^_^

Ho comprato l'ebook di Ward. Quei pochi estratti mi hanno dimostrato che meritava i 5 euro e mezzo chiesti. Lo leggerò appena possibile, magari prima di affrontare la seconda metà che mi rimane da finire di "Uncommon Grounds" di Pendergrast.

Il Duca di Baionette ha detto...

Ho finito di leggere il Coffeist Manifesto!
Molto carino, ma con diverse inesattezze. Va benissimo l'avviso di diffidare dai Robusta, ma non ha sottolineato, mi pare, che è un avviso di massima e tende troppo a dividere in Arabica ok e Robusta cacca (che dice buona solo per le tazzone piene di caffeina alle stazioni di servizio o per il caffè liofilizzato).

In realtà la questione è un pochino più complessa e seppure la Robusta sia aromaticamente svantaggiata, tendenzialmente amara e di freschezza (acidità) scarsa, forse anche a causa dell'essere geneticamente molto diversa dall'Arabica (pensiamo solo all'avere solo 22 cromosomi invece di 44), non è sempre-sempre schifosa.

Esistono caffè di pregio che nelle miscele ne impiegano alcune produzioni molto particolari, rari casi di Robusta "più che bevibili". Robusta così validi che si possono bere anche da soli, monoorigine. Penso per esempio al caffè della piantagione Ragoide, nel Karnataka, in India (venduto da "Le Piantagioni del Caffè" anche in miscela con l'arabica da Finca San Luis) oppure gli indiani monsonati. :-)

Conosco davvero pochissimo i Robusta di pregio, ma sto cercando di informarmi andando oltre la teoria... degustandoli. Ovviamente nell'ambito in cui danno il meglio con la loro innata sciropposità: nell'espresso, procurandomi apposta la mia prima macchina "decente" per uso domestico. ^_^

Argonauta Xeno ha detto...

Molto interessante! Purtroppo, ho recentemente ridotto drasticamente il mio consumo di caffè, magari non a zero ma a 0,2 o giù di lì, per cui non ne trarrò un grande giovamento... :)

Coscienza ha detto...


@Duca di Baionette
Nell'articolo che scriverai sul caffè considera anche di inserire qualche consiglio bibliografico sulla storia e la produzione del caffè nei secoli – avevo studiato i diversi cicli dal '500, spezie dal sud oriente asiatico dai portoghesi, poi ciclo della canna da zucchero dal Brasile/Antille nel '600, te e caffè dal '700-'800 ecc ecc ma non sono ancora riuscito ad approfondire il caffè...

Ward semplifica molto nelle sue argomentazioni. Questo lo porta a ripetersi un po' troppo (atteggiamento che ho visto proprio anche di molta saggistica americana, indifferente quale sia il campo) e lo porta a questa distinzione Robusta/Arabica. Per i Robusta va inteso riguardo le caffetterie, per scremare (ahah) i bar che propongono caffè Robusta come se fossero una specialità.
Del saggio ero più interessato all'intero procedimento dell'acquisto “all'origine” e della tostatura in casa che alle più sottili differenze nella degustazione, cui devo ancora allenare il palato.

Se hai terminato il saggio avrai visto che proprio il capitolo sull'Espresso era il più circospetto, per i costi dei macchinari e la difficoltà dell'intera operazione (anche se alla fine i costi non mi sembravano così assurdi, tra macchina dell'espresso e grinder di qualità).
Tienici aggiornato sui primi tentativi ^^

@Salomon Xeno
Ne avevo ridotto anch'io il consumo qualche mese fa, ma tra i rigori universitari è una delle poche consolazioni...

Il Duca di Baionette ha detto...

Mi sto scontrando con i problemi di corposità di certi arabica un po' delicati. Colpa della mia Saeco Poemia che non può gestire temperatura e pressione della pompa (compensando in parte i problemi della seconda con un filtro pressurizzato, ma si perde il completo controllo sulla pressatura della polvere...), forse.

Comunque, con il Huehuetenango del Guatemala macinato fresco, solo leggermente pressato, ho ottenuto diversi espressi con una crema leggermente chiara (è un arabica, tendenzialmente ottengono meno scuro) e quindi anche meno tigrata dell'ideale. Però era una crema densa, persistente, che resisteva alla rotazione. Profumi e sapore ottimo. Il Huehuetenango per essere un arabica ha un gran corpo.

Col Sidamo d'Etiopia... male. Ho avuto caffè con crema troppo debole, ma uscita corretta (23-27 ml in 25 secondi), buon sapore e aroma, ma corpo leggero. Ho variato varie cose (grana del macinato più fine o più grossa, filtro caldo oppure tiepido oppure temperatura ambiente, pressatura delicata o più forte), ma ho ottenuto o che diveniva sottoestratto (crema evanescente che si bucava dopo meno di un minuto) o che veniva sovraestratto (con il bottone bianco su crema scura, e sapore cattivo).
Un arabica col corpo così poco pronunciato, su un macchinaro entry level come la Poemia, non va bene. Attendo l'arrivo domani della miscela di soli Robusta lavati, in stile napoletano: sciropposa e scura.

Col Sidamo andrò avanti a gustarlo macinato grossolano e infuso col pressofiltro, ché poi è anche come mi piace di più il caffè. :-)