A
far da collante tra le civiltà planetarie e il vasto oceano della
galassia troviamo una società di Corporazioni evoluta dalle attuali
multinazionali. Compagnie commerciali grandi quanto intere nazioni e
con flotte di centinaia di navi a proprio comando solcano lo spazio
profondo per portare la civiltà capitalista finanche ai più
retrogradi abitanti umani del più lontano asteroide della Via
Lattea.
Queste
Multinazionali Galattiche stringono accordi, siglano trattati,
guerreggiano l'un l'altra per il possesso di una firma, di un
marchio, di un logo pregiato.
Organizzate
secondo una contorta parodia dell'ancient regime di Luigi XIV
simboleggiano l'evoluzione terminale di quell'identiche
multicorporazioni che oggigiorno appaiono già immortali: dall'Apple
alla Microsoft, alla Nestlè, alla Shell, alla Farben ecc ecc
I
prodotti commerciali, le pubblicità e i carillon infernali che dal
secondo dopoguerra in poi ammorbano i cittadini-consumatori del globo
sono per queste società del duemilacinquecento inestimabili opere
d'arte. La spazzatura pop che tutt'ora s'inizia a considerare “arte”
(si veda “l'amore” per il trash anni Ottanta) viene da questo
neo-barocca società considerata l'apice della cultura umana.
Nobili
di Logo colonizzano così pianeta dopo pianeta, ricavando ogni
possibile profitto dalla vendita dei proprio “marchi” con
l'ipocrita scusante di civilizzare le società isolate dei terricoli.
Le
flotte corporative bombardano i pianeti colonizzati con prefabbricati
e capsule di supermercati e negozi, boutique e banche, concessionarie
e sale giochi, con tanto di robot o commessi in vitro pronti alla
vendita nel momento dello sbarco.
Per
citare il cattivo del romanzo, Sarastro, le Compagnie commerciali
affrancano i coloni dei pianeti “rintronandoli di stronzate”.
Al
motto “Umanità e Commercio”, tuttavia, corrispondono di rado
clienti accomodanti.
Civiltà
isolate per secoli non accolgono bene bombardamenti di Coca Cola e
MacBurger, rifiutando (incomprensibilmente per le Compagnie
commerciali) di volersi far “rintronare”.
In
tal senso, gli antropologi sono un'ultima spiaggia prima di un
sanguinoso intervento dei Fanti di Marina. L'antropologo studia la
cultura locale, ne scopre debolezze e virtù. Assicura i diritti di
vendita trovando le giuste leve per un marketing virale.
La
protagonista del romanzo, l'incantevole Eleanor Cole, è proprio una
di queste antropologhe.
Un
po' come gli antropologi odierni, è ambigua verso gli scopi della
Compagnia, verso quell'Umanità&Commercio che ritiene pur
tuttavia positivo per gli indigeni. In modo altrettanto ambiguo
difende le tradizioni degli indigeni, per quanto sanguinarie e violente possano risultare.
Ammit
è uno sputo di pianeta ricco di minerali, la cui incompleta
terraformazione ha prodotto un ambiente arido e abbruttito da un
forte inquinamento. Nonostante le sue miniere potrebbero far sembrare
Moria lo scavo di un bambino, non è un pianeta recettivo alle
Multinazionali.
I
suoi minerali approvvigionano interi sistemi solari, ma i suoi
abitanti non comprano. Sono una strana razza, anche per gli standard
dei terricoli. Una civiltà mistica, dedita all'autolesionismo,
immersa in un mare di spazzatura e metallo riciclato. Ma sopratutto,
una civiltà che non compra.
Quando
il Presidente della Compagnia delle Galassie Orientali Federico
Landolfi viene linciato dai selvaggi ammiti, l'antropologa Eleanor
Cole viene incaricata di scendere sul pianeta per investigare il
doppio mistero, sia di shopping che di sangue...
L'ambientazione
di Eleanor Cole delle Galassie Orientali rimane, a mio giudizio, uno
dei suoi veri punti di forza. L'idea che i Marchesi di Logo
bombardino i pianeti con beni di lusso e negozi, e che venerino come
superlative opere d'arte il trash
pop degli ultimi cinquant'anni è straordinaria.
L'ambientazione
ha tutti i giocattoli che i noiosi reazionari della fantascienza
pretendono: la terraformazione, i razzi, le astronavi, le capsule da
sbarco, le pistol(ott)e laser, i Dustrider, le stazioni orbitali, i
robot, la genetica, i cloni ecc ecc
Eppure
tutti questi elementi rimangono adeguati a una civiltà
fondamentalmente barocca e immobile, che usa la tecnologia per
esemplificare i proprio ruoli: il Principe di Apple, ad esempio, ha
la testa chirurgicamente modellata a mela attraverso un allargamento
del cranio; l'equipaggio della Nestlè usa ometti di marzapane nati
in provetta e giudica il valore dei suoi dipendenti da quanti chili
sono riusciti a ingrassare.
Sostituire
parti del proprio corpo con rimpiazzi artificiali non è certo
un'idea nuova nel cyberpunk, e nel decano William Gibson di
Neuromante questi rimpiazzi sono già “artistici” oltre che
pratici.
E
pur tuttavia, il cyberpunk raramente s'interessa dell'esplorazione
spaziale e il suo aspetto estetico raramente si retrocede ai secoli
passati, se non nel Giappone delle Zaibatsu e dei Ninja potenziati.
Nel
caso di Eleanor Cole, invece, il rimpiazzo artificiale ha uno scopo
primariamente ideologico: il Marchese di Logo dev'essere il suo
marchio, deve letteralmente personificarlo.
Per
la Compagnia, Marchio e Uomo diventano un tutt'uno.
Quest'aspetto
ideologico risulta paradossalmente sensato all'interno dell'ancient
regime
di questo duemilacinquecento. Non esistono qui delle classi, dove il
passaggio dall'aristocrazia alla borghesia, come l'inverso, risulti
possibile. Come nella società dorata di Luigi XIV, esistono ceti.
Questi ceti risultano totalmente impermeabili, legati nel 700' a un
diritto di nascita, al 2500 a una modifica chirurgica. In questo
modo, il Principe della Apple non è che “appartenga” a un ceto,
quanto piuttosto E' il ceto stesso (il titolo della Apple, nel nostro
caso).
Il
suo corpo è il suo marchio, e viceversa.
L'autore
applica così alla fantascienza un trattamento “Luigi XIV” che
riesce a svecchiare tecnologie talmente abusate nella fantascienza
classica d'avere lo stesso sapore a prescindere dallo specifico
romanzo: mi riferisco principalmente a robot e astronavi, che per
molti lettori italiani sono una rozza assicurazione che “sì è
fantascienza, quindi mi piace”.
Si
consideri come esempio paradigmatico il personaggio di Farinelli.
Automa,
protettore e aiutante tuttofare di Eleanor Cole.
Di
base, Farinelli mi è parso il droide protocollare C-3PO di Star
Wars.
Imbranato,
d'animo (programmazione?) pacifista, di straordinaria parlantina.
Fanno
sorridere alcuni scambi sia con Eleanor Cole che con Delfina; al
contempo è un eccellente passepartout per molti intoppi narrativi
altrimenti insormontabili.
Di
passaggio, è possibile anche notare come sia l'unico maschio (è
maschio, un automa?) a svolgere un ruolo positivo per tutto il
romanzo, senza venir corrotto dalla magia nera, morire o fuggire
terrorizzato.
Applicato
il “trattamento barocco”, il goffo e anonimo robot diventa un
automa dal volto di metallo d'un bel adolescente, che risponde con
accordi di Sol anziché Bzzz volgari e che preferisce Handel a
infantili canzoncine e il cui amico non è un cassonetto della
spazzatura parlante...
In
altre parole, vediamo nel caso di Farinelli cosa succederebbe se
certi temi e certe idee venissero rielaborate secondo il nostro punto
di vista, o almeno secondo un punto di vista storico e non americano.
L'attenzione
sulla civiltà barocca non andrebbe inoltre confusa con un generico
barocco.
Mentre
leggevo, sono rimasto sorpreso di come alcuni termini, alcune
espressioni mi ricordassero il corso di Storia dell'Espansione
Europea. Non a caso: la cultura nelle Indie olandesi e inglesi è la
cultura di Eleanor Cole. Come gli avamposti nello spazio profondo
della Cina, delle Filippine, dell'India Moghul, così la Stazione
Orbitale intorno ad Ammit è il Fondaco.
Così
l'esploratrice Delfina definisce “Ottentotti” gli indigeni
locali.
A
voler esagerare, l'idea di vendere chincaglierie in fondo inutili,
dai trattamenti di bellezza ai vestiti firmati, non è molto diversa
dallo scambiare collanine e cappelli per l'oro degli ingenui
indigeni...
Un Senza-Tempo al lavoro? |
Eleanor
Cole delle Galassie Orientali possiede in comune con i Senza-Tempo
uno certo squilibrio tra i protagonisti. Se Eleanor Cole è una
protagonista bene tratteggiata, i suoi comprimari si caratterizzano
per il ruolo che svolgono e alcune espressioni verbali, ma non
restano impressi.
Per
quanto mi riguarda, ho in simpatia Delfina e Farinelli, ma entrambi
sono funzionali alla storia e all'ambientazione, senza avere
particolari guizzi di personalità.
Al
contrario, il negromante Sarastro, pur essendo un'antagonista nero,
nerissimo (è proprio il caso di dirlo, usando la magia nera!)
possiede grande carisma. Nel momento in cui compare sulla pagina la
possiede, la domina, la governa, che sia con bestemmie seicentesche
contro il Creato o che sia con lunghissimi discorsi nichilisti. La
strafottenza che rigira contro qualunque interlocutore gli vincono la
simpatia del lettore, mentre una testardaggine avida nel sopravvivere
a ogni costo lo rendono un cattivo classico, di difficile
eliminazione fisica.
L'orrore
di Sarastro non deriva dal suo cannibalismo magico, quanto dal suo
comportamento in generale: dovunque vada, ha verso la realtà
l'atteggiamento che hanno le sanguisughe verso la pelle di un
paziente. S'infila sotto il velo della realtà più superficiale e
materiale, e da lì succhia ogni energia vitale, senz'attenzione per
la salute dell'ospite.
Particolarmente
ghiotte le dettagliate descrizioni dei fantocci di Sarastro,
marionette che governano la natura inquinata di Ammit, in particolare
sia nel sottosuolo che nel capitolo dedicato all'Oasi:
Cadaveri animati su zampette meccaniche, con borracce di cellophane cucite al torace, curavano le piante e grattavano il suolo. Le creature erano cieche, con le palpebre cucite, ma agili e veloci nell'intrico di radici. E leccavano le cortecce con le lingue purpuree. Il ventre era avvitato alle zampe; un sigillo, una S di terracotta, era impresso nella carne che essudava formaldeide. Da una trombetta sull'addome di macchina le creature spruzzavano escrementi; le borracce erano piene di sangue. Si aggiravano per l'oasi incuranti di loro tre.
Eleanor Cole secondo Andrea Alemanno |
Per
i Marchesi di Logo, persone come Delfina e Eleanor Cole risultano una
triste necessità. Grande sforzo è stato dato nel romanzo per
evidenziare, specie nei primi capitoli, come la Cole sia presenza non
gradita, o per usare le parole di uno dei personaggi “un'isterica
frigida”. Questa
caratterizzazione funziona fino a un certo punto, perchè se da un
lato è vero che la Cole è un tipino deciso, dall'altro è anche
vero che spesso rivela aspetti più dolci, o persino frivoli.
Nei
momenti migliori del romanzo quest'aspetto, specie nei rapporti con
Farinelli genera tenerezza, o l'amara malinconia di chi rivive, pur
considerandoli ormai perduti per sempre, emozioni da adolescente. Nei
passaggi meno riusciti stride invece con la determinazione della
protagonista.
La
differenza tra le due protagoniste femminili e l'antagonista maschile
mi è sembrato – e sottolineerei quel “sembrato”, è solo una
sensazione – chiaro anche nei dialoghi. Sarastro, a meno non sia in
pericolo, delira con discorsi enormi e magniloquenti, dove libera il
suo odio/fame per l'universo tutto. La Cole è una donna razionale,
si limita a risposte taglienti e soluzioni logiche e pragmatiche –
nonostante nella prima parte del romanzo sia intralciata dal suo
pacifismo verso gli indigeni, gli Ammiti.
«La Terra!», s'illuminò Matsumoto, «Come vanno le cose sulla Vecchia Palla?...»
«… di sterco », glossò Eleanor. L'altro arrossì; «non a torto voi spaziali la chiamate a quel modo: è un pianeta da buttare, non mi offende, è la verità. Soddisfatti i convenevoli, Direttore: come vanno le cose qui?»
Si
veda inoltre il giudizio sbrigativo, ma simpatico di Delfina su
Ammit:
Lasciò stizzita l'ambulatorio:
«Vado a bere qualcosa. Questo mondo conosce il whisky, la vodka e la birra: non è così distante dall'universo civile.»
Come
darle torto?
Sull'argomento
dello stile, leggo da anni Alessandro Forlani e non posso dunque
risultare molto obiettivo. L'ostacolo di alcune parole ricercate non
mi è sembrato francamente insormontabile come per molti recensori;
se c'è una ricerca linguistica, questa è subordinata a ottenere
specifiche impressioni sul lettore, ad esempio nell'esacerbare il
suono, o la sensazione di una scena, un oggetto, o una descrizione.
Come detto, una volta letto un romanzo dell'autore, alcuni termini
“ricercati” ritornano negli altri, e si viene per così dire
“svezzati”. Chiunque abbia già letto altre opere dell'autore
riconoscerà subito il verbo “stolzare”ad esempio, o i
“pispigli”.
Il
romanzo inoltre acquista scioltezza superati i primi tre capitoli, e
un vero ostacolo mi sono sembrati più certe repentine successioni di
verbi attivi che tendono a “mozzare il fiato” al lettore meno
navigato. Altri passaggi di altre opere mi risultano comunque più
difficili. Il capitolo della mente extratemporale in Fronte Alieno,
ad esempio, è certo più arduo da leggere.
Difficilmente
chi odiava i Senza-Tempo troverà in questo seguito corretti gli
“errori” che lamentava nel romanzo di Urania. Al contrario, gli
aspetti caratteristici del primo romanzo si ritrovano qui
moltiplicati, e per alcuni versi potremmo dire perfezionati.
Tuttavia,
per chi è stanco di una fantascienza inutilmente nostalgica,
stupidamente ottimista e fastidiosamente pulita, troverà in questo
Eleanor Cole delle Galassie Orientali un benefico correttivo.
Fonti:
Eleanor Cole delle Galassie Orientali (Edizioni Imperium) - Pagina Amazon
Qualche intervista:
Intervista ad Alessandro Forlani - Il Pozzo e lo Straniero
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