martedì 4 agosto 2015

1939 (racconto)


In questo periodo sto cercando di scrivere duemila parole al giorno per completare alcuni racconti lunghi, e mettendo a posto l'hard disk sono incappato in questo racconto trash/pulp scritto un annetto fa.
L'avevo mandato a un concorso in cui se ricordo bene occorreva ambientare l'intera vicenda nella stanza di un albergo, senza sfociare le 5000 parole o giù di lì. Il titolo del racconto doveva anche essere il nome della stanza. Un'idea originale, peccato sia stata abbandonata a sé stessa...
Nel mio caso, ho barato facendo sì che il numero della stanza corrispondesse all'anno in cui la vicenda è ambientata. Mi verrebbe da definirlo un racconto pulp (nazisti, donne naziste, Brasile, magia, donne naziste...) ma questo giudizio lo lascio a voi commentatori :-D

1939


Artista Earl Norem.

Kora colse con un'occhiata la forma della stanza, un ovale foderato con lunghe, bianche strisce di legno di acero invecchiato. Il colore chiarissimo ricordava una pelle invecchiata, lasciava aperti ampi squarci di intonaco rosso.
Il garzone, ragazzo esile dal torace scosso da spasmi di tisi, rovesciò sul letto l'ampia valigia di pelle. Accennò un inchino, protrasse infine la mano per una mancia.
Kora gli chiuse la porta in faccia, girò la chiave senza guardarlo.
Si stiracchiò le braccia intirizzite dalla pioggia lì fuori, poi afferrò la valigia e la sistemò sul letto. Con due giri di chiave, fece scattare la serratura. Velluto e colletto di tre camicie, cappellino, gonna lunga, gonna corta. Spazzolino, una capsula di cianuro. Passaporto timbrato dall'Asse. Una Luger oliata, che svolse dal panno rosso. Una cassetta in piombo, venti centimetri per venti, sigillata. Infilò la chiave che teneva appesa al collo. All'interno, un'ampolla di cristallo tanto minuscola da stare nel palmo di una mano. Girò l'interruttore, accese l'abat jour. Sottili filamenti di coriandoli dorati avvolgevano un nucleo pulsante di nero ossidiana. Bollicine salivano dal basso dell'ampolla assediando il tappo fuso nella ceralacca.
“Perché no? Perché a lui? Un goccio, nient'altro.”
Imballò nuovamente l'ampolla, seppellì la valigetta metallica sotto il materasso. Controllò che la pistola fosse carica, prima d'infilarla nel secondo cassetto del comodino. Strapazzò la brochure dell'Hotel poggiata sul letto.
“Accidenti. Gestori tedeschi. Dall'Austria. Dei miei compatrioti, insomma. Emigrati in questo buco del culo chiamato Brasile.”
Masticò qualche biscotto secco preso dalla borsa.
“Per una volta, potrei rischiare un pasto pubblico. Quei due segugi stelle e strisce si saranno stancati, con questa pioggia...”
Lenzuola pulite, cuscino morbido. Sulla radio, solo cicalecci confusi.
Si addormentò alla terza sigaretta.

Freddo gelo in testa. Aprì gli occhi. Il buco nero di una rivoltella puntato alla fronte. Impugnato dal braccio nervoso di un trench imperlato di pioggia. Un odore acre di sudore, tabacco e cuoio bagnato aleggiava nell'aria.

- Che vuoi? – Domandò la donna, tentando di voltare la testa verso l'abat jour spento. Verso il comodino e il secondo cassetto.

“Una distrazione, nient'altro. E li secco in due secondi.”

- Che vogliamo piuttosto, signorina! -

Un secondo trench uscì dall'ombra, giocherellando con la fiamma di un accendino. L'uomo poggiò il cappello in feltro sul comodino, prima di sedersi sull'unica sedia dell'appartamento. Pescò un mozzicone di sigaretta dalla tasca, cominciò a masticarlo spento, prima di risputarne i resti sulla faccia di Kora.

- Agenti Pinkerton, suppongo – Sospirò la donna. - Cagnolini di pallemoscie Franklin Roosevelt -

- Supponi bene, donna. Dicci dov'è la fiala -

- La fiala di cianuro? Nella mia borsa. Con tutto il resto -

- Non quella fiala, piccola fanatica. Intendo il tesoro che avete rivenuto, l'acqua magica -

- Sei pazzo. Era una spedizione geografica, con scopi naturalistici. Nient'altro -

- Il Fuhrer ti ha mandato, stronzetta. - L'uomo estrasse una cartellina di fogli, li passò in rassegna, puntando l'indice verso continue file di cifre, di annotazioni, di timbri del Brasile.

- Avete assoldato una guida locale, venti servitori, tende e munizioni sufficienti per conquistare un impero azteco. Al ritorno, avete eliminato uno dopo l'altro guida e servitori. Li abbiamo trovati in fosse comuni scavate alla meglio, un proiettile a testa –

- Fatalità, americano. Bruti senza cervello. Muscoli al soldo. – La donna scrollò le spalle – Abbiamo sprecato un bel po' di munizioni, questo sì, che è uno spreco -

- Ma non li avete eliminati tutti, dì la verità. Non è così, forse? Ne abbiamo trovato ancora uno, delirante ma vivo -

Kora digrignò i denti e l'agente con la pistola puntata oscillò da un piede all'altro, nervoso.

- Delirante, ti ricordo. Delirante! - Soffiò la donna in un sussurro.

L'uomo si accese un secondo mozzicone, che stavolta consumò sovrappensiero.
– Ma non al punto da dimenticare quanto aveva passato – La faccia dell'agente s'illuminò di meraviglia – La fontana della giovinezza, non è così? Avete trovato la mitica fontana che tanto narrano le leggende dei conquistadores! Disseccata, ma ancora con un tenue flusso di goccioline. Che avete prontamente raccolto, fino a estinguere la sorgente alla foce. –

- Il Fuhrer desidera la vita eterna e noi assecondiamo il suo desiderio – acconsentì la donna – A ogni modo – Guardò verso l'armadio, spalancato. File di appendini erano state distrutte, calpestate. Avevano sventrato la valigia dalla manopola al fondo, insozzando il pavimento di biancheria e dentifricio. "Possibile che non abbiano ancora frugato nel materasso?" - Non avete ancora menzionato il sacerdote -

- Non... Stai mentendo, puttanella! -

- Il sacerdote azteco. Forse quell'indios subumano che avete interrogato è spirato prima che potesse raccontarvelo -

L'agente Pinkerton sollevò plateale un sopracciglio.

- Stai mentendo per salvarti la vita, non è così? -

Kora rise secca, la pistola ondeggiò sulla sua fronte bianca.

- Andiamo; pensate davvero che gli aztechi avrebbero mai lasciato qualcosa di così sacro, di così meraviglioso, incustodito? C'era un guardiano, ovviamente. Un vecchio sacerdote demente, l'ultima biascicante eredità di generazioni su generazioni corrotte nel sangue. Gli sparai in testa e il suo sangue nerastro mi sporcò le mani, scese gocciolando nella fontana. -

- Stai dicendo che in quella fiala c'è acqua e sangue? Che... –

- Sto dicendo che dovremmo prima testarla. Se come progettano i nostri scienziati agisce sulle singole cellule, è possibile che sangue vecchio e malato possa avere effetti... ecco... Indesiderati –

- Una montatura. Ci vuoi semplicemente dissuadere dal nostro obiettivo. –

- Se lo dici tu, bello. Il rischio è tutto vostro... –

L'uomo calpestò al suolo un terzo mozzicone, poi annuì all'agente silenzioso.

- D'accordo, non vuole dirci dov'è. Stupidamente prevedibile. John per favore, convinci la signorina con mezzi più... Più diretti, ecco –

L'agente silenzioso assentì, litigò goffamente con la cintura dei pantaloni continuando a tenere sotto grilletto Kora.

- Io vi ammazzo. Non so quando né come, ma siete carne morta -

- Bastano poche parole, Kora. Questione di scelta. -

Bussarono alla porta. Un mormorio soffocato, un tossicchiare convulso. Il garzone che trascinava le lenzuola. Pietrificato per un istante, l'agente chiacchierone si azzittì. Il bruto invece voltò la testa, puntò la pistola verso la porta. “Una sola parola, e se ne andrebbe immediatamente...” Kora strinse i denti, raccolse le forze per scattare come una molla sotto torsione. Non pronunciò parola.
La chiave girò nella serratura, il garzone entrò. Pistola nel cuscino, lo sparo risuonò come un educato colpo di tosse. Il garzone si fermò, fissando attonito l'inchiostro rosso che lentamente allagava lo sparato bianco della camicia. Kora rotolò come un gatto giù dal letto, afferrò dal comodino la Luger. Rimbombò uno sparo, uno sbuffo di fumo. L'omone della Pinkerton singhiozzò di dolore, la mano spappolata. Cartilagine insanguinata bagnava la moquette. La pistola dell'uomo rimbalzò a terra, scattò il grilletto nell'impatto. Il proiettile si conficcò nella spalla di Kora, che spostò la mira di qualche tacca e gli sparò una seconda volta, in testa.

- Fine della corsa, piccola – Ansimò l'agente della Pinkerton sopravvissuto. Si fronteggiarono con le pistole puntate l'uno alla testa dell'altro. Kora sentiva il proiettile nella spalla mordere la carne, mentre un lento flusso di sangue arrossava il grigio del vestito. Tremò, prima di cedere in ginocchio. Con un tonfo, le sfuggì la Luger dalle mani sempre più deboli.

- Ma guardati – Sogghignò l'agente. – Stai morendo dissanguata. Magari – Inclinò il capo – Se mi dicessi dov'è la fiala, potrei aiutarti... –

- Il materasso... –

La scatola era intatta, la fiala cullata nella paglia. Il Pinkerton la prese, guardandola da vicino, affascinato dal gioco di nero e oro del liquido nel vetro.

– Il vostro piccolo Fuhrer morirà come tutti gli esseri mortali, mia cara – proclamò trionfante.

Kora gli tirò un calcio da sotto il letto. L'uomo saltellò indietro, scivolò sulla moquette insanguinata. La fiala gli sfuggì di mano, s'infranse sul pavimento. Kora guardò perplessa l'uomo strisciare sul pavimento, lappare con la frenesia di un gatto succhia latte le poche gocce che filtravano dalla moquette. Deglutì con un gran sorriso e Kora sbottò, infastidita.

– Non eri un agente della Pinkerton, vero? –

L'uomo ridacchiò di gusto.

- Un americano, sì. Ammalato di cancro, per l'esattezza. Ma tutto il resto è vero; vi seguivo da un po'. – Si massaggiò la pancia – Sono un piccolo petroliere del sud del Texas. Secondo il mio medico non mi restava che un anno di vita. Ho fatto tutto quello che potevo, una volta giunto a sapere della vostra spedizione, Kora. Ma ora – Allargò le mani – Vivrò per sempre! –

A metà del gesto, ansimò prima di vomitare bile nerastra. Sotto l'occhio febbricitante di Kora, l'uomo tremava, si sformava come plastilina modellata da uno schizofrenico. Le guance s'incurvarono, scesero cascanti fino alle spalle prima di coprirsi di peli ispidi. Le narici del naso esplosero in un grugno di scrofa. In ginocchio, le mani s'innervarono nel muggito di sofferenza dell'uomo in un duro, resistente strato di pelle a scaglie. Dall'osso occipitale eruttò attraverso un'esplosione di visceri una lunga coda di lucertola. Gli occhi dilatati in un'espressione di orrore totale si allungarono, assunsero il colore stinto e miope delle pupille di un indios, di un sacerdote vecchio e ritardato.
“Quella fontana era inquinata!” comprese Kora “Coccodrilli, cinghiali, antilopi, indigeni: in quanti ci avranno bevuto, vomitato e pascolato?” Kora guardò quella confusa cellula di zoccoli e artigli, di scaglie verdi di coccodrilli infanti e pelle olivastra degli indigeni del luogo e per la prima volta sentì quella debolezza mortale che il Fuhrer definiva pietà.

2 commenti:

Alessandro Forlani ha detto...

Molto nazitrash e molto carino! Finale efficace.

Giusto a livello personale, trovo che con meno dialoghi e più azione (o più azione nei dialoghi) sarebbe stato anche meglio.

Coscienza ha detto...

@Alessandro Forlani

Grazie!
Posso provare a sfoltire qualche dialogo, magari cercando di alleggerire alcuni cliché nella "parlata" dell'americano...