In questo periodo sto cercando di scrivere duemila parole al giorno per completare alcuni racconti lunghi, e mettendo a posto l'hard disk sono incappato in questo racconto trash/pulp scritto un annetto fa.
L'avevo mandato a un concorso in cui se ricordo bene occorreva ambientare l'intera vicenda nella stanza di un albergo, senza sfociare le 5000 parole o giù di lì. Il titolo del racconto doveva anche essere il nome della stanza. Un'idea originale, peccato sia stata abbandonata a sé stessa...
Nel mio caso, ho barato facendo sì che il numero della stanza corrispondesse all'anno in cui la vicenda è ambientata. Mi verrebbe da definirlo un racconto pulp (nazisti, donne naziste, Brasile, magia, donne naziste...) ma questo giudizio lo lascio a voi commentatori :-D
1939
Artista Earl Norem. |
Kora colse con un'occhiata la forma della stanza, un ovale foderato con lunghe, bianche strisce di legno di acero invecchiato. Il colore chiarissimo ricordava una pelle invecchiata, lasciava aperti ampi squarci di intonaco rosso.
Il garzone, ragazzo esile
dal torace scosso da spasmi di tisi, rovesciò sul letto l'ampia
valigia di pelle. Accennò un inchino, protrasse infine la mano per
una mancia.
Kora gli chiuse la porta
in faccia, girò la chiave senza guardarlo.
Si stiracchiò le braccia
intirizzite dalla pioggia lì fuori, poi afferrò la valigia e la
sistemò sul letto. Con due giri di chiave, fece scattare la
serratura. Velluto e colletto di tre camicie, cappellino, gonna
lunga, gonna corta. Spazzolino, una capsula di cianuro. Passaporto
timbrato dall'Asse. Una Luger oliata, che svolse dal panno rosso. Una
cassetta in piombo, venti centimetri per venti, sigillata. Infilò la
chiave che teneva appesa al collo. All'interno, un'ampolla di
cristallo tanto minuscola da stare nel palmo di una mano. Girò
l'interruttore, accese l'abat jour. Sottili filamenti di coriandoli
dorati avvolgevano un nucleo pulsante di nero ossidiana. Bollicine
salivano dal basso dell'ampolla assediando il tappo fuso nella
ceralacca.
“Perché no? Perché a
lui? Un goccio, nient'altro.”
Imballò nuovamente
l'ampolla, seppellì la valigetta metallica sotto il materasso.
Controllò che la pistola fosse carica, prima d'infilarla nel secondo
cassetto del comodino. Strapazzò la brochure dell'Hotel poggiata sul
letto.
“Accidenti. Gestori
tedeschi. Dall'Austria. Dei miei compatrioti, insomma. Emigrati in
questo buco del culo chiamato Brasile.”
Masticò qualche biscotto
secco preso dalla borsa.
“Per una volta, potrei
rischiare un pasto pubblico. Quei due segugi stelle e strisce si
saranno stancati, con questa pioggia...”
Lenzuola pulite, cuscino
morbido. Sulla radio, solo cicalecci confusi.
Si addormentò alla terza
sigaretta.
Freddo gelo in testa. Aprì
gli occhi. Il buco nero di una rivoltella puntato alla fronte.
Impugnato dal braccio nervoso di un trench imperlato di pioggia. Un
odore acre di sudore, tabacco e cuoio bagnato aleggiava nell'aria.
- Che vuoi? –
Domandò la donna, tentando di voltare la testa verso l'abat jour
spento. Verso il comodino e il secondo cassetto.
“Una distrazione,
nient'altro. E li secco in due secondi.”
- Che vogliamo
piuttosto, signorina! -
Un secondo trench uscì
dall'ombra, giocherellando con la fiamma di un accendino. L'uomo
poggiò il cappello in feltro sul comodino, prima di sedersi
sull'unica sedia dell'appartamento. Pescò un mozzicone di sigaretta
dalla tasca, cominciò a masticarlo spento, prima di risputarne i
resti sulla faccia di Kora.
- Agenti Pinkerton,
suppongo – Sospirò la donna. - Cagnolini di pallemoscie Franklin
Roosevelt -
- Supponi bene,
donna. Dicci dov'è la fiala -
- La fiala di
cianuro? Nella mia borsa. Con tutto il resto -
- Non quella fiala,
piccola fanatica. Intendo il tesoro che avete rivenuto, l'acqua
magica -
- Sei pazzo. Era una
spedizione geografica, con scopi naturalistici. Nient'altro -
- Il Fuhrer ti ha
mandato, stronzetta. - L'uomo estrasse una cartellina di fogli, li
passò in rassegna, puntando l'indice verso continue file di cifre,
di annotazioni, di timbri del Brasile.
- Avete assoldato una
guida locale, venti servitori, tende e munizioni sufficienti per
conquistare un impero azteco. Al ritorno, avete eliminato uno dopo
l'altro guida e servitori. Li abbiamo trovati in fosse comuni
scavate alla meglio, un proiettile a testa –
- Fatalità,
americano. Bruti senza cervello. Muscoli al soldo. – La donna
scrollò le spalle – Abbiamo sprecato un bel po' di munizioni,
questo sì, che è uno spreco -
- Ma non li avete
eliminati tutti, dì la verità. Non è così, forse? Ne abbiamo
trovato ancora uno, delirante ma vivo -
Kora digrignò i denti e
l'agente con la pistola puntata oscillò da un piede all'altro,
nervoso.
- Delirante, ti
ricordo. Delirante! - Soffiò la donna in un sussurro.
L'uomo si accese un
secondo mozzicone, che stavolta consumò sovrappensiero.
– Ma non al punto da
dimenticare quanto aveva passato – La faccia dell'agente s'illuminò
di meraviglia – La fontana della giovinezza, non è così? Avete
trovato la mitica fontana che tanto narrano le leggende dei
conquistadores! Disseccata, ma ancora con un tenue flusso di
goccioline. Che avete prontamente raccolto, fino a estinguere la
sorgente alla foce. –
- Il Fuhrer desidera
la vita eterna e noi assecondiamo il suo desiderio – acconsentì
la donna – A ogni modo – Guardò verso l'armadio, spalancato.
File di appendini erano state distrutte, calpestate. Avevano
sventrato la valigia dalla manopola al fondo, insozzando il
pavimento di biancheria e dentifricio. "Possibile che non
abbiano ancora frugato nel materasso?" - Non avete ancora
menzionato il sacerdote -
- Non... Stai
mentendo, puttanella! -
- Il sacerdote
azteco. Forse quell'indios subumano che avete interrogato è spirato
prima che potesse raccontarvelo -
L'agente Pinkerton sollevò
plateale un sopracciglio.
- Stai mentendo per
salvarti la vita, non è così? -
Kora rise secca, la
pistola ondeggiò sulla sua fronte bianca.
- Andiamo; pensate
davvero che gli aztechi avrebbero mai lasciato qualcosa di così
sacro, di così meraviglioso, incustodito? C'era un guardiano,
ovviamente. Un vecchio sacerdote demente, l'ultima biascicante
eredità di generazioni su generazioni corrotte nel sangue. Gli
sparai in testa e il suo sangue nerastro mi sporcò le mani, scese
gocciolando nella fontana. -
- Stai dicendo che in
quella fiala c'è acqua e sangue? Che... –
- Sto dicendo che
dovremmo prima testarla. Se come progettano i nostri scienziati
agisce sulle singole cellule, è possibile che sangue vecchio e
malato possa avere effetti... ecco... Indesiderati –
- Una montatura. Ci
vuoi semplicemente dissuadere dal nostro obiettivo. –
- Se lo dici tu,
bello. Il rischio è tutto vostro... –
L'uomo calpestò al suolo
un terzo mozzicone, poi annuì all'agente silenzioso.
- D'accordo, non
vuole dirci dov'è. Stupidamente prevedibile. John per favore,
convinci la signorina con mezzi più... Più diretti, ecco –
L'agente silenzioso
assentì, litigò goffamente con la cintura dei pantaloni continuando
a tenere sotto grilletto Kora.
- Io vi ammazzo. Non
so quando né come, ma siete carne morta -
- Bastano poche
parole, Kora. Questione di scelta. -
Bussarono alla porta. Un
mormorio soffocato, un tossicchiare convulso. Il garzone che
trascinava le lenzuola. Pietrificato per un istante, l'agente
chiacchierone si azzittì. Il bruto invece voltò la testa, puntò la
pistola verso la porta. “Una sola parola, e se ne andrebbe
immediatamente...” Kora strinse i denti, raccolse le forze per
scattare come una molla sotto torsione. Non pronunciò parola.
La chiave girò nella
serratura, il garzone entrò. Pistola nel cuscino, lo sparo risuonò
come un educato colpo di tosse. Il garzone si fermò, fissando
attonito l'inchiostro rosso che lentamente allagava lo sparato bianco
della camicia. Kora rotolò come un gatto giù dal letto, afferrò
dal comodino la Luger. Rimbombò uno sparo, uno sbuffo di fumo.
L'omone della Pinkerton singhiozzò di dolore, la mano spappolata.
Cartilagine insanguinata bagnava la moquette. La pistola dell'uomo
rimbalzò a terra, scattò il grilletto nell'impatto. Il proiettile
si conficcò nella spalla di Kora, che spostò la mira di qualche
tacca e gli sparò una seconda volta, in testa.
- Fine della corsa,
piccola – Ansimò l'agente della Pinkerton sopravvissuto. Si
fronteggiarono con le pistole puntate l'uno alla testa dell'altro.
Kora sentiva il proiettile nella spalla mordere la carne, mentre un
lento flusso di sangue arrossava il grigio del vestito. Tremò,
prima di cedere in ginocchio. Con un tonfo, le sfuggì la Luger
dalle mani sempre più deboli.
- Ma guardati –
Sogghignò l'agente. – Stai morendo dissanguata. Magari –
Inclinò il capo – Se mi dicessi dov'è la fiala, potrei
aiutarti... –
- Il materasso... –
La scatola era intatta, la
fiala cullata nella paglia. Il Pinkerton la prese, guardandola da
vicino, affascinato dal gioco di nero e oro del liquido nel vetro.
– Il vostro piccolo
Fuhrer morirà come tutti gli esseri mortali, mia cara – proclamò
trionfante.
Kora gli tirò un calcio
da sotto il letto. L'uomo saltellò indietro, scivolò sulla moquette
insanguinata. La fiala gli sfuggì di mano, s'infranse sul pavimento.
Kora guardò perplessa l'uomo strisciare sul pavimento, lappare con
la frenesia di un gatto succhia latte le poche gocce che filtravano
dalla moquette. Deglutì con un gran sorriso e Kora sbottò,
infastidita.
– Non eri un agente
della Pinkerton, vero? –
L'uomo ridacchiò di
gusto.
- Un americano, sì.
Ammalato di cancro, per l'esattezza. Ma tutto il resto è vero; vi
seguivo da un po'. – Si massaggiò la pancia – Sono un piccolo
petroliere del sud del Texas. Secondo il mio medico non mi restava
che un anno di vita. Ho fatto tutto quello che potevo, una volta
giunto a sapere della vostra spedizione, Kora. Ma ora – Allargò
le mani – Vivrò per sempre! –
A metà del gesto, ansimò
prima di vomitare bile nerastra. Sotto l'occhio febbricitante di
Kora, l'uomo tremava, si sformava come plastilina modellata da uno
schizofrenico. Le guance s'incurvarono, scesero cascanti fino alle
spalle prima di coprirsi di peli ispidi. Le narici del naso esplosero
in un grugno di scrofa. In ginocchio, le mani s'innervarono nel
muggito di sofferenza dell'uomo in un duro, resistente strato di
pelle a scaglie. Dall'osso occipitale eruttò attraverso
un'esplosione di visceri una lunga coda di lucertola. Gli occhi
dilatati in un'espressione di orrore totale si allungarono, assunsero
il colore stinto e miope delle pupille di un indios, di un sacerdote
vecchio e ritardato.
“Quella fontana era
inquinata!” comprese Kora “Coccodrilli, cinghiali, antilopi,
indigeni: in quanti ci avranno bevuto, vomitato e pascolato?” Kora guardò quella
confusa cellula di zoccoli e artigli, di scaglie verdi di coccodrilli
infanti e pelle olivastra degli indigeni del luogo e per la prima
volta sentì quella debolezza mortale che il Fuhrer definiva pietà.
2 commenti:
Molto nazitrash e molto carino! Finale efficace.
Giusto a livello personale, trovo che con meno dialoghi e più azione (o più azione nei dialoghi) sarebbe stato anche meglio.
@Alessandro Forlani
Grazie!
Posso provare a sfoltire qualche dialogo, magari cercando di alleggerire alcuni cliché nella "parlata" dell'americano...
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