In
questi (caldi) giorni, stavo valutando se compilare o meno l'usuale
listone di giochi presentati all'E3 losangelino. Non credo lo farò,
alla fine, per il semplice motivo che mi è sembrata la fiera più
fiacca e stanca da tantissimo tempo da questa parte: Fallout 4 è una
copia carbone di Fallout 3, osannato dall'esatta folla che si lamenta
poi dell'(inesistente) downgrade grafico di The Witcher 3; Dishonored
2, Tomb Raider 2, Deus Ex 2... Giochi interessanti, per carità, ma è
quel “2” che mi dispiace, quando dalla maggior fiera mondiale ci
si aspetta giochi nuovi, nuove Ip, nuovi azzardi...
Non
mi sono dispiaciuti Horizon Zero Dawn e Unravel, scoppiettanti
entrambi, a loro modo, di ambientazioni fresche e idee nuove. Certo,
il primo ha dovuto lottare per avere una protagonista femminile,
mentre il secondo viene dalla ghiacciata Svezia, a conferma che idee
e creatività sono ormai ostacolate e ben lontane dall'ombelico
videoludico delle grandi case di produzione.
E
c'è poi la faccenda delle presentazioni stesse, che nel 2015
inoltrato mostrano ancora linguaggi, costumi e modi di fare degni di
dieci, vent'anni anni fa. Presentatori in t-shirt, che incespicano
sulle parole, che usano linguaggi d'adolescente, che sembrano più
che sviluppatori o designer, imbonitori di mezza tacca. Piccoli passi
in avanti per la presenza femminile in alcune delle convention – EA
e Ubisoft – timidi tentativi che ho debitamente apprezzato. Ma il
tono generale ancora non riesce a raggiungere la serietà di un
festival del cinema; con buona pace di chi continua a sostenere la
pari eguaglianza dei due (diversissimi) medium. La situazione
cambierà solo quando cambieranno giornalisti e videogiocatori. E no,
non commento nemmeno le “marionette” della presentazione
Nintendo: i trip da psicoacidi sono cose che si dovrebbero mantenere
tra le mura domestiche, non dovrebbero diventare strumenti aziendali.
Si
è spesso detto che i giochi diventeranno maturi quando i giocatori,
crescendo, richiederanno giochi sempre più maturi: ma il nerd medio,
con il suo sperticato elogio dell'infanzia, del retrogaming, della
violenza “ludica” svuotata d'ogni minima riflessione contraddice
continuamente ques'assunto. E' difficile sperare che il videogioco
scelga strade più complesse, quando i suoi fruitori stessi odiano la
complessità...
E
parlando invece di giochi maturi che gli appassionati sembrano aver
dimenticato, ho (ri)giocato di recente Spec Ops The Line, sparatutto in terza persona uscito nel 2012.
Dubai
è persa. Una tempesta di sabbia da guinness dei primati ha
trasformato la città in una tinozza mortale di sabbia e morte, una
trappola per topi-umani alla disperata ricerca d'acqua. Quant'era un
tempo una città ricca e fiorente, fiore all'occhiello e fulcro
economico degli Emirati Arabi, è ora in rovina. Politici e dirigenti
sono fuggiti pochi giorni prima della tempesta, ma l'intera
popolazione, ignara del disastro incombente, è ora sotto attacco dal
deserto. John Konrad, colonnello del 33' battaglione dell'esercito
Usa, sceglie di dirottare il ritorno in patria dall'Afghanistan dei
suoi uomini per soccorrere la città agonizzante. Il 33' organizza la
popolazione, instaura un governo militare e raziona le risorse fino
ai soccorsi... Nonostante da Washington gli ordini ripetano di
abbandonare Dubai e i suoi abitanti! Diversi mesi dopo, e con la
città trasformata in un deserto di vetro e rovine, una squadra Delta
viene spedita a investigare segretamente che fine abbia fatto John
Konrad, i “dannati” del 33' e sopratutto quale inferno sia
diventato Dubai.
Il
gioco mette nei panni di Martin Walker, leader della squadra: un uomo
psicolabile, tormentato da rimorsi per azioni passate in guerra, e
dai suoi solidi, ma altrettanto instabili compagni: il cecchino Lugo
e lo specialista delle armi pesanti Adams.
Il
primo impatto, innegabile dirlo, è con Dubai. La città nel suo
aspetto normale è il parco giochi capitalista per eccellenza:
quartieri residenziali, stadii, acquari giganti, grattacieli
mozzafiato, centri di boutique e di benessere: strutture che mai
sarebbero dovute nascere dove sono nate e che devono un'effimera
esistenza solo al miracolo petrolifero.
Questo
gioco di specchi, questa Las Vegas mediorientale ha incontrato infine
il suo predatore per eccellenza: il deserto. A lungo, aveva
aspettato, sogghignante: per azzannare poi in una zampata di vento e
sabbia la giugulare idrica di Dubai. La guardiamo, sbalorditi, mentre
camminiamo in un canalone con gli appena incontrati compagni. L'arma
è inutile tra le mani, il cursore del mouse sollevato a frugare un
cielo vuoto, azzurro: morso dai denti incrostati di vetro dei
grattacieli in periferia. Siamo ancora lì, a guardare la città,
premendo il tasto w della nostra tastiera, che ecco scivoliamo:
istante d'assoluta sorpresa. Una leggera duna ci trasporta dolcemente
ancor più addentro al canalone. I primi cadaveri – essiccati,
bruciati, mummie cui presto ci abitueremo – affiorano ai bordi
della strada. E' in questo istante, che ho provato a giochicchiare
con le impostazioni della luce e i diversi filtri grafici. Volevo
alleggerire l'impatto sul mio pc e diminuire certe sgranature
fastidiose. L'occhio (è proprio il caso di dirlo) viene attirato
dall'impostazione che enfatizza i contrasti: la manterrò per tutto
il gioco. La sabbia diventa un giallo abbagliante, il grigio
screpolature di nero ossidiana, e poi arancioni violenti, bianchi
abbaglianti, vetri splendenti... La natura già violenta di questa
Dubai si estremizza in una palette di guerra.
Procedendo
con l'avventura, Dubai resterà sempre uno sfondo imponente alle
diverse azioni del protagonista, come a ricordare il giocatore
cos'era e cos'è invece diventata. In particolare, si gioca molto
sull'ironia dei diversi livelli di gioco; con qualche eccezione non
abbiamo mai ambientazioni “basse”, ma sempre luoghi di lusso,
chiaramente destinati al turismo occidentale. L'arrivo della calamità
mette in evidenza quanto siano ridicole: piscine, acquari
d'esposizione, sale d'azzardo, roulette, e tanto, tanto kitsch.
La
lenta discesa nella follia del nostro protagonista è realizzata con
piccoli tocchi, dal carattere (quasi) subliminale. Nella scena
iniziale, siamo all'inseguimento di un elicottero tra i grattacieli
di Dubai; dopo diversi secondi di mitragliate, il nostro chopper si
schianta nella sabbia. Al risveglio, siamo nella squadra Delta, alle
periferie di Dubai. Non viene data spiegazione a questa prima scena
iniziale: se sia un flashback, un anticipo della trama inoltrata, un
ricordo di guerra o altro.
Tuttavia,
a 3/4 della storia, si ripete un'identica scena: con tanto di
atterraggio di fortuna e momentanea amnesia. Il senso di deja vu che
proviamo non diventa solo nostro, ma del protagonista stesso, che
s'interroga perché abbia ricordo di quell'evento, perché sia dunque
tanto familiare. Comprendiamo così, che quel preambolo in elicottero
all'inizio non era un assaggio del designer, ma effettivamente una
scena che si è già ripetuta: che noi, come il confuso Walker, non
riusciamo a collocare mentalmente.
La
progressiva discesa nella follia va di pari passo con un progressivo
aumento della violenza di Walker. Se nel primo capitolo è possibile
strappare le armi da fuoco ai nemici agonizzanti finendoli con un
colpo alla testa, nel terzo e nel quarto capitolo Walker spacca loro
il cranio con lo stivale; mentre nell'ultimo capitolo viene a tutti
gli effetti colto da una frenesia omicida: le esecuzioni dei feriti
possono allora durare diversi secondi, mentre infierisce sui cadaveri
martoriati. Il tutto risulta ancora più disturbante quando si
considera che negli ultimi capitoli spesso la vista di
Walker/Giocatore si offusca, e al posto delle facce del nemico
vediamo quelle di Adams, Lugo, o di altri amici di Walker. Un
dettaglio da non sottovalutare, è che “finire” i nemici è
un'opzione del tutto gratuita. Rifornimenti di munizioni a livello
normale abbondano, così come un'abbondanza di cadaveri cui scegliere
le armi. E' una scelta del giocatore – ma noi sappiamo bene quale
orribile creatura sia il giocatore medio...
Altrettanto
subliminali, e ancor più casuali, sono i messaggi che il gioco
lascia nelle schermate di caricamento: dove alternate ai consigli di
gameplay e alle avvertenze, compariranno messaggi rivolti al
giocatore stesso, dove lo si accusa delle atrocità appena compiute.
Sparare
ai civili comporta il tribunale marziale.. ma che importa It's only a
game!
Negli ultimi capitoli, man mano che la missione di salvataggio di
Walker diventa sempre meno credibile, i messaggi giungono perfino a
chiederti per quale motivo stai continuando a uccidere e uccidere
solo perché lo vuole il tuo personaggio, e cioè Walker.
Concorderete che trovare un gioco dove ironicamente si chiede al
giocatore il perché della sua ubbidienza incondizionata, il perchè
sia disposto a compiere come un'automa di tutto, pur di far andare
avanti la storia... E' piuttosto raro.
L'ambientazione
straniante e la follia del protagonista bene si accompagnano a una
trama ricca di snodi “forti”, dove le scene violente non hanno lo
scopo di stuzzicare gli istinti più bassi del giocatore, ma al
contrario di farlo riflettere e inquietare sulle azioni appena
compiute. Manca totalmente quell'autocompiacimento e quel gusto pulp
(per pulp alla Tarantino, ovviamente) in cui sangue&massacro
mirano a titillare il giocatore, a dargli l'ebbrezza di compiere un
atto “cattivo”. Senza citare Manhunt, tipico di quest'atteggiamento ad
esempio è la famigerata “strage di civili” in Call of Duty: Modern Warfare 2,
dove i civili muoiono senza personalità, come tante bambole al
poligono. Questo è il genere di sogno bagnato di strateghi e
istruttori militari; de-umanizzare il nemico fino a renderlo un
guscio senza personalità. Ma nella realtà i veterani di guerra più
volte accusano tormenti e sensi di colpa per i nemici uccisi – e
siamo ancora ai livelli di militare vs militare, lontani dalla
sociopatia che è il biglietto d'ingresso per chi viola il tabù di
uccidere civili. Spec Ops The Line gioca molto su quest'aspetto,
forte anche dei suoi riferimenti a Cuore di Tenebra di Conrad, e alla
guerra in Vietnam. E' uno dei pochi giochi, e mi verrebbe da dire,
anche uno dei pochi “film” dove l'occupazione americana in terra
straniera è apertamente odiata dalla popolazione locale, che ormai è
fanaticamente devota a Konrad e al 33', che è diventato un capo
tribale paragonabile al Kurtz di Apocalypse Now.
Per
tutta la prima metà del gioco, il nobile obiettivo di Walker è di
soccorrere Dubai, di salvarla: ma questo salvataggio dall'esterno,
rivolto contro l'ennesimo “cattivo tiranno” (nel nostro caso
Konrad) si risolve in un completo disastro. Walker fallisce
all'inizio, fallisce nelle diverse prove della storia e fallisce alla
fine: non c'è scelta del giocatore in ciò, che può al limite
cercare una redenzione di Walker nell'intricatissimo finale.
Dando
all'hardcore gamer quel che è dell'hardcore gamer, Spec Ops The Line
non è un gioco perfetto. Il motore grafico, che avrebbe dovuto
animare una sabbia viva e realistica, si risolve in un'interattività
ambientale molto limitata, dove la sabbia può essere “aiuto” e
“nemico” solo in situazioni prefissate: sparare a un soffitto per
sommergere il nemico, mimetizzarsi nelle tempeste di sabbia, usare le
dune come copertura ecc ecc
Il
gameplay stesso sfrutta male i diversi comprimari, a cui puoi
impartire azioni e che si difendono bene, ma il cui ruolo resta
spesso un impiccio. Il combat system è tuttavia fluido, il design di
molte arene costruito con intelligenza.
Sul
fronte grafico, il titolo per essere del 2012 resta leggero: fatica a
tratti nelle battaglie in elicottero, ma per il resto non ci sono
scatti ( e fidatevi, il mio portatile sta diventando davvero
molto vetusto...) e sembra abbastanza scalabile.
Fosforo bianco. |
Purtroppo,
a causa della concorrenza spietata dei “Big”
dello sparatutto, Spec Ops The Line all'epoca dell'uscita risultò un
flop. A fronte del riciclo, dei sequel interminabili, e di quei 2 che
criticavo nel preambolo dell'articolo, è decisamente una buona cosa.
Concludo
con un paio di parole dell'art director Mathias Wiese:
“Potete immaginare che tipo di materiale di riferimento si deve visionare per un gioco come Spec Ops. Non è divertente. Ti senti felice quando poi cambi genere.”
Quanta
incomparabile distanza dai grugniti eccitati della folla dell'E3
all'ennesima final
move
di Doom 4...
Fonti:
Visto che cito la mia esperienza di gioco, ho coerentemente messo fotogrammi presi con Fraps. Mi scuso per la qualità sul bassino andante.
4 commenti:
Fallout 4 non ispira molto neanche me. O meglio, ho giocato il terzo e mi è piaciuto un sacco, ma questo quarto rischia di essere una copia un po' migliorata (si spera, almeno, sia migliorata), e francamente ci sono cose migliori da aspettare.
Per Deus Ex 2 non sto affatto morendo dalla voglia di giocarci, il precedente non mi era piaciuto manco un po', devo essere sincera. Tomb Raider, al contrario, non vedo l'ora di poterci giocare.
Horizon Zero Dawn mi attrae parecchio.
Amo gli sparatutto in terza persona, ma il 2012 è stato un anno in cui mi sono allontanata dal mondo dei videogiochi, e così ho perso completamente di vista questo Spec Ops The Line. Ma, se devo essere sincera, mi attrae molto, dal modo in cui l'hai descritto.
Mi piace anche questa cosa insolita di accusare il giocatore di tutte le atrocità che ha commesso.
Appare proprio un gioco maturo, insomma, al contrario di molti, e mi piacerebbe davvero provarlo! ;)
Non so, è che dal nuovo Fallout mi aspettavo qualcos'altro. Non solo un "more of the same", specie guardando a cosa stanno facendo gli ultimi titoli open world. Dopo, non so: magari all'uscita sarò a giocarci e a sbavarci sopra come tutti gli altri (ammesso che il portatile regga, ma con quella grafica...)
Deus Ex 2 e Dishonored 2 invece li attendo con trepidazione, anche se un po' me li aspettavo.
Spec Ops adesso dovrebbe girare sulla maggior parte dei Pc, l'hardware invecchia con una rapidità terrificante... La campagna ha una longevità "decente", rispetto ad altri titoli, non siamo per intenderci sulle cinque ore rosicate.
davvero un gran bell articolo
@Gioz G
Grazie! (E benvenuto sul blog!)
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