mercoledì 1 luglio 2015

Nel cuore di tenebra di Dubai: Spec Ops The Line


In questi (caldi) giorni, stavo valutando se compilare o meno l'usuale listone di giochi presentati all'E3 losangelino. Non credo lo farò, alla fine, per il semplice motivo che mi è sembrata la fiera più fiacca e stanca da tantissimo tempo da questa parte: Fallout 4 è una copia carbone di Fallout 3, osannato dall'esatta folla che si lamenta poi dell'(inesistente) downgrade grafico di The Witcher 3; Dishonored 2, Tomb Raider 2, Deus Ex 2... Giochi interessanti, per carità, ma è quel “2” che mi dispiace, quando dalla maggior fiera mondiale ci si aspetta giochi nuovi, nuove Ip, nuovi azzardi...
Non mi sono dispiaciuti Horizon Zero Dawn e Unravel, scoppiettanti entrambi, a loro modo, di ambientazioni fresche e idee nuove. Certo, il primo ha dovuto lottare per avere una protagonista femminile, mentre il secondo viene dalla ghiacciata Svezia, a conferma che idee e creatività sono ormai ostacolate e ben lontane dall'ombelico videoludico delle grandi case di produzione.
E c'è poi la faccenda delle presentazioni stesse, che nel 2015 inoltrato mostrano ancora linguaggi, costumi e modi di fare degni di dieci, vent'anni anni fa. Presentatori in t-shirt, che incespicano sulle parole, che usano linguaggi d'adolescente, che sembrano più che sviluppatori o designer, imbonitori di mezza tacca. Piccoli passi in avanti per la presenza femminile in alcune delle convention – EA e Ubisoft – timidi tentativi che ho debitamente apprezzato. Ma il tono generale ancora non riesce a raggiungere la serietà di un festival del cinema; con buona pace di chi continua a sostenere la pari eguaglianza dei due (diversissimi) medium. La situazione cambierà solo quando cambieranno giornalisti e videogiocatori. E no, non commento nemmeno le “marionette” della presentazione Nintendo: i trip da psicoacidi sono cose che si dovrebbero mantenere tra le mura domestiche, non dovrebbero diventare strumenti aziendali.
Si è spesso detto che i giochi diventeranno maturi quando i giocatori, crescendo, richiederanno giochi sempre più maturi: ma il nerd medio, con il suo sperticato elogio dell'infanzia, del retrogaming, della violenza “ludica” svuotata d'ogni minima riflessione contraddice continuamente ques'assunto. E' difficile sperare che il videogioco scelga strade più complesse, quando i suoi fruitori stessi odiano la complessità...

E parlando invece di giochi maturi che gli appassionati sembrano aver dimenticato, ho (ri)giocato di recente Spec Ops The Line, sparatutto in terza persona uscito nel 2012.



Dubai è persa. Una tempesta di sabbia da guinness dei primati ha trasformato la città in una tinozza mortale di sabbia e morte, una trappola per topi-umani alla disperata ricerca d'acqua. Quant'era un tempo una città ricca e fiorente, fiore all'occhiello e fulcro economico degli Emirati Arabi, è ora in rovina. Politici e dirigenti sono fuggiti pochi giorni prima della tempesta, ma l'intera popolazione, ignara del disastro incombente, è ora sotto attacco dal deserto. John Konrad, colonnello del 33' battaglione dell'esercito Usa, sceglie di dirottare il ritorno in patria dall'Afghanistan dei suoi uomini per soccorrere la città agonizzante. Il 33' organizza la popolazione, instaura un governo militare e raziona le risorse fino ai soccorsi... Nonostante da Washington gli ordini ripetano di abbandonare Dubai e i suoi abitanti! Diversi mesi dopo, e con la città trasformata in un deserto di vetro e rovine, una squadra Delta viene spedita a investigare segretamente che fine abbia fatto John Konrad, i “dannati” del 33' e sopratutto quale inferno sia diventato Dubai.
Il gioco mette nei panni di Martin Walker, leader della squadra: un uomo psicolabile, tormentato da rimorsi per azioni passate in guerra, e dai suoi solidi, ma altrettanto instabili compagni: il cecchino Lugo e lo specialista delle armi pesanti Adams.

Il primo impatto, innegabile dirlo, è con Dubai. La città nel suo aspetto normale è il parco giochi capitalista per eccellenza: quartieri residenziali, stadii, acquari giganti, grattacieli mozzafiato, centri di boutique e di benessere: strutture che mai sarebbero dovute nascere dove sono nate e che devono un'effimera esistenza solo al miracolo petrolifero.
Questo gioco di specchi, questa Las Vegas mediorientale ha incontrato infine il suo predatore per eccellenza: il deserto. A lungo, aveva aspettato, sogghignante: per azzannare poi in una zampata di vento e sabbia la giugulare idrica di Dubai. La guardiamo, sbalorditi, mentre camminiamo in un canalone con gli appena incontrati compagni. L'arma è inutile tra le mani, il cursore del mouse sollevato a frugare un cielo vuoto, azzurro: morso dai denti incrostati di vetro dei grattacieli in periferia. Siamo ancora lì, a guardare la città, premendo il tasto w della nostra tastiera, che ecco scivoliamo: istante d'assoluta sorpresa. Una leggera duna ci trasporta dolcemente ancor più addentro al canalone. I primi cadaveri – essiccati, bruciati, mummie cui presto ci abitueremo – affiorano ai bordi della strada. E' in questo istante, che ho provato a giochicchiare con le impostazioni della luce e i diversi filtri grafici. Volevo alleggerire l'impatto sul mio pc e diminuire certe sgranature fastidiose. L'occhio (è proprio il caso di dirlo) viene attirato dall'impostazione che enfatizza i contrasti: la manterrò per tutto il gioco. La sabbia diventa un giallo abbagliante, il grigio screpolature di nero ossidiana, e poi arancioni violenti, bianchi abbaglianti, vetri splendenti... La natura già violenta di questa Dubai si estremizza in una palette di guerra.


Procedendo con l'avventura, Dubai resterà sempre uno sfondo imponente alle diverse azioni del protagonista, come a ricordare il giocatore cos'era e cos'è invece diventata. In particolare, si gioca molto sull'ironia dei diversi livelli di gioco; con qualche eccezione non abbiamo mai ambientazioni “basse”, ma sempre luoghi di lusso, chiaramente destinati al turismo occidentale. L'arrivo della calamità mette in evidenza quanto siano ridicole: piscine, acquari d'esposizione, sale d'azzardo, roulette, e tanto, tanto kitsch.

La lenta discesa nella follia del nostro protagonista è realizzata con piccoli tocchi, dal carattere (quasi) subliminale. Nella scena iniziale, siamo all'inseguimento di un elicottero tra i grattacieli di Dubai; dopo diversi secondi di mitragliate, il nostro chopper si schianta nella sabbia. Al risveglio, siamo nella squadra Delta, alle periferie di Dubai. Non viene data spiegazione a questa prima scena iniziale: se sia un flashback, un anticipo della trama inoltrata, un ricordo di guerra o altro.
Tuttavia, a 3/4 della storia, si ripete un'identica scena: con tanto di atterraggio di fortuna e momentanea amnesia. Il senso di deja vu che proviamo non diventa solo nostro, ma del protagonista stesso, che s'interroga perché abbia ricordo di quell'evento, perché sia dunque tanto familiare. Comprendiamo così, che quel preambolo in elicottero all'inizio non era un assaggio del designer, ma effettivamente una scena che si è già ripetuta: che noi, come il confuso Walker, non riusciamo a collocare mentalmente.
La progressiva discesa nella follia va di pari passo con un progressivo aumento della violenza di Walker. Se nel primo capitolo è possibile strappare le armi da fuoco ai nemici agonizzanti finendoli con un colpo alla testa, nel terzo e nel quarto capitolo Walker spacca loro il cranio con lo stivale; mentre nell'ultimo capitolo viene a tutti gli effetti colto da una frenesia omicida: le esecuzioni dei feriti possono allora durare diversi secondi, mentre infierisce sui cadaveri martoriati. Il tutto risulta ancora più disturbante quando si considera che negli ultimi capitoli spesso la vista di Walker/Giocatore si offusca, e al posto delle facce del nemico vediamo quelle di Adams, Lugo, o di altri amici di Walker. Un dettaglio da non sottovalutare, è che “finire” i nemici è un'opzione del tutto gratuita. Rifornimenti di munizioni a livello normale abbondano, così come un'abbondanza di cadaveri cui scegliere le armi. E' una scelta del giocatore – ma noi sappiamo bene quale orribile creatura sia il giocatore medio...
Altrettanto subliminali, e ancor più casuali, sono i messaggi che il gioco lascia nelle schermate di caricamento: dove alternate ai consigli di gameplay e alle avvertenze, compariranno messaggi rivolti al giocatore stesso, dove lo si accusa delle atrocità appena compiute.


Sparare ai civili comporta il tribunale marziale.. ma che importa It's only a game! Negli ultimi capitoli, man mano che la missione di salvataggio di Walker diventa sempre meno credibile, i messaggi giungono perfino a chiederti per quale motivo stai continuando a uccidere e uccidere solo perché lo vuole il tuo personaggio, e cioè Walker. Concorderete che trovare un gioco dove ironicamente si chiede al giocatore il perché della sua ubbidienza incondizionata, il perchè sia disposto a compiere come un'automa di tutto, pur di far andare avanti la storia... E' piuttosto raro.

L'ambientazione straniante e la follia del protagonista bene si accompagnano a una trama ricca di snodi “forti”, dove le scene violente non hanno lo scopo di stuzzicare gli istinti più bassi del giocatore, ma al contrario di farlo riflettere e inquietare sulle azioni appena compiute. Manca totalmente quell'autocompiacimento e quel gusto pulp (per pulp alla Tarantino, ovviamente) in cui sangue&massacro mirano a titillare il giocatore, a dargli l'ebbrezza di compiere un atto “cattivo”. Senza citare Manhunt, tipico di quest'atteggiamento ad esempio è la famigerata “strage di civili” in Call of Duty: Modern Warfare 2, dove i civili muoiono senza personalità, come tante bambole al poligono. Questo è il genere di sogno bagnato di strateghi e istruttori militari; de-umanizzare il nemico fino a renderlo un guscio senza personalità. Ma nella realtà i veterani di guerra più volte accusano tormenti e sensi di colpa per i nemici uccisi – e siamo ancora ai livelli di militare vs militare, lontani dalla sociopatia che è il biglietto d'ingresso per chi viola il tabù di uccidere civili. Spec Ops The Line gioca molto su quest'aspetto, forte anche dei suoi riferimenti a Cuore di Tenebra di Conrad, e alla guerra in Vietnam. E' uno dei pochi giochi, e mi verrebbe da dire, anche uno dei pochi “film” dove l'occupazione americana in terra straniera è apertamente odiata dalla popolazione locale, che ormai è fanaticamente devota a Konrad e al 33', che è diventato un capo tribale paragonabile al Kurtz di Apocalypse Now.


Per tutta la prima metà del gioco, il nobile obiettivo di Walker è di soccorrere Dubai, di salvarla: ma questo salvataggio dall'esterno, rivolto contro l'ennesimo “cattivo tiranno” (nel nostro caso Konrad) si risolve in un completo disastro. Walker fallisce all'inizio, fallisce nelle diverse prove della storia e fallisce alla fine: non c'è scelta del giocatore in ciò, che può al limite cercare una redenzione di Walker nell'intricatissimo finale.

Dando all'hardcore gamer quel che è dell'hardcore gamer, Spec Ops The Line non è un gioco perfetto. Il motore grafico, che avrebbe dovuto animare una sabbia viva e realistica, si risolve in un'interattività ambientale molto limitata, dove la sabbia può essere “aiuto” e “nemico” solo in situazioni prefissate: sparare a un soffitto per sommergere il nemico, mimetizzarsi nelle tempeste di sabbia, usare le dune come copertura ecc ecc
Il gameplay stesso sfrutta male i diversi comprimari, a cui puoi impartire azioni e che si difendono bene, ma il cui ruolo resta spesso un impiccio. Il combat system è tuttavia fluido, il design di molte arene costruito con intelligenza.
Sul fronte grafico, il titolo per essere del 2012 resta leggero: fatica a tratti nelle battaglie in elicottero, ma per il resto non ci sono scatti ( e fidatevi, il mio portatile sta diventando davvero molto vetusto...) e sembra abbastanza scalabile.
Fosforo bianco.
Purtroppo, a causa della concorrenza spietata dei “Big” dello sparatutto, Spec Ops The Line all'epoca dell'uscita risultò un flop. A fronte del riciclo, dei sequel interminabili, e di quei 2 che criticavo nel preambolo dell'articolo, è decisamente una buona cosa.
Concludo con un paio di parole dell'art director Mathias Wiese:
Potete immaginare che tipo di materiale di riferimento si deve visionare per un gioco come Spec Ops. Non è divertente. Ti senti felice quando poi cambi genere.”

Quanta incomparabile distanza dai grugniti eccitati della folla dell'E3 all'ennesima final move di Doom 4... 

Fonti:
Visto che cito la mia esperienza di gioco, ho coerentemente messo fotogrammi presi con Fraps. Mi scuso per la qualità sul bassino andante. 

4 commenti:

Unknown ha detto...

Fallout 4 non ispira molto neanche me. O meglio, ho giocato il terzo e mi è piaciuto un sacco, ma questo quarto rischia di essere una copia un po' migliorata (si spera, almeno, sia migliorata), e francamente ci sono cose migliori da aspettare.
Per Deus Ex 2 non sto affatto morendo dalla voglia di giocarci, il precedente non mi era piaciuto manco un po', devo essere sincera. Tomb Raider, al contrario, non vedo l'ora di poterci giocare.
Horizon Zero Dawn mi attrae parecchio.

Amo gli sparatutto in terza persona, ma il 2012 è stato un anno in cui mi sono allontanata dal mondo dei videogiochi, e così ho perso completamente di vista questo Spec Ops The Line. Ma, se devo essere sincera, mi attrae molto, dal modo in cui l'hai descritto.
Mi piace anche questa cosa insolita di accusare il giocatore di tutte le atrocità che ha commesso.
Appare proprio un gioco maturo, insomma, al contrario di molti, e mi piacerebbe davvero provarlo! ;)

Coscienza ha detto...

Non so, è che dal nuovo Fallout mi aspettavo qualcos'altro. Non solo un "more of the same", specie guardando a cosa stanno facendo gli ultimi titoli open world. Dopo, non so: magari all'uscita sarò a giocarci e a sbavarci sopra come tutti gli altri (ammesso che il portatile regga, ma con quella grafica...)

Deus Ex 2 e Dishonored 2 invece li attendo con trepidazione, anche se un po' me li aspettavo.

Spec Ops adesso dovrebbe girare sulla maggior parte dei Pc, l'hardware invecchia con una rapidità terrificante... La campagna ha una longevità "decente", rispetto ad altri titoli, non siamo per intenderci sulle cinque ore rosicate.

Anonimo ha detto...

davvero un gran bell articolo

Coscienza ha detto...

@Gioz G
Grazie! (E benvenuto sul blog!)