martedì 23 giugno 2015

Tele-Visione (racconto)


In questo periodo sono ancora indaffarato con esami vari, ma mi piangeva il cuore non poter aggiornare il blog. Vi regalo perciò un racconto scritto or ora in maggio, inizialmente per il racconto La Serra Trema. non riuscivo a scendere sotto le 1000 parole prescritte, dunque finisce qui, sul blog. 
Come sempre, commenti&pareri sono graditi! 
P.S. No, non ho nulla contro gli interisti, è semplicemente la prima squadra di calcio che mi è venuta in mente... ^^

Tele-Visione  



Luca fissava le immagini scorrere sul televisore senza vederle realmente.
Per lui, erano finte: nient'altro che pitture rupestri sulle pareti di una grotta. Il giornalista tentava di denunciare la violenza in corso, ma non riusciva a trarre alcun pathos dal servizio.
La città in fiamme sembrava un set cinematografico a basso costo; le urla dei soldati comparse svogliate; i tuoni del bombardamento fuochi d'artificio. Guarda, guarda! Quelle due tracce di colore sono un bisonte, un vero bisonte... E quello è un cervo, non uno sbavo della pittura... Come! Non vedi quei due cacciatori avvicinarsi, le lance puntate... 

- E mostrami la partita, stronzo! -

Brontolò Luca, il pugno grassoccio sul braccio della poltrona.
Afferrò una bottiglia di coca cola delle dimensioni di un estintore, ne tracannò una lunga sorsata. Aprì il suo terzo sacchetto delle patatine e ci immerse il grugno, il sale croccante sotto i molari. Diede un'occhiata in giro in cerca del telecomando. Per un attimo, gli si gonfiò la pancia d'orgoglio ammirando come sempre la panoplia di trofei: la bandiera interista, il copriletto interista, le magliette interiste, il pallone autografato e sopratutto il plagio tarocco della coppa del campionato.
Trovò il telecomando sotto il comodino e subito saltellò tra i diversi canali.
Dovunque andasse, trasmettevano lo stramaledetto telegiornale.
Bestemmiò con tutto il fiato possibile fino a quando un rigurgito di tosse per poco non lo strangolò. Con un sospiro, ritornò sul canale della partita.
Alzò il volume per ascoltare quel barbogio dell'inviato di guerra.
Era un uomo in giacca e cravatta, le scarpe lucide nella polvere dei combattimenti. I capelli fulvi, d'un colore rossiccio, avevano due cornetti di ciocche ribelli. Parlava con tono suadente.

- La situazione al momento è terribile, assolutamente terribile -

Sorrise, nel dirlo.

- Il fronte di liberazione sta bombardando la città da giorni con artiglieria russa acquistata da mercanti kazaki. Abbiamo stimato morti e feriti nella popolazione ben al di sopra dell'ottanta per cento. Nel frattempo – Il tossire di un ak 47 costruito in casa gli destò un sogghigno – Le forze repubblicane hanno lanciato un contrattacco con gli autoblindo. Un intervento di pace della Nato ha distrutto oltre cinquanta di questi veicoli - 

Il giornalista ridacchiava, ora. Apertamente.

- Assieme alla bellezza di un migliaio di civili. Per tutta rappresaglia il fronte di liberazione ha giustiziato tutti i suoi prigionieri. Si stimano tra le duecento e le cinquecento vittime uccise a sangue freddo, per la maggior parte bambini -

Il giornalista si sganasciò dal ridere.

- Oh, non posso smettere, amici! Non posso! Vi rendete conto? La vita media da queste parti gira sui vent'anni al massimo. Quale magnifico paese! - 

Un soldato dall'elmetto della Nato chiamò il giornalista con un inglese imbastardito. Annuì e ringhiò al cameraman di inquadrare il civile accanto il soldato.
Tremava a tal punto da ricordare una marionetta strapazzata.
Era un ometto sui sessant'anni, il mento sporco di schiuma da barba. Tra calcinacci e bossoli fumanti indossava due pantofole da casa. Igor si sfregò gli occhi, incredulo: controllò che la coca non avesse additivi o sua sorella non l'avesse scambiata con l'alcool. Quell'ometto indossava un pigiama! Era chiaramente un pigiama a righe, il patchwork di colori con una bella immagine di topolino schiaffata sul petto. L'intervistato si aggiustò gli occhialetti sul naso, cercando nel frattempo di lisciarsi i capelli.  

- Allora, allora. Pensavamo di avere messo in salvo tutti gli italiani nell'ambasciata e invece cosa abbiamo qui? Una vittima degli eventi! Qual'è il suo nome? - 

- Bertrando Spaventa - 

- Un cognome azzeccato! Da quanto vive in questa magnifica città? -

- Ma io non vivo qui! -

- Beh, certo, non può viverci più con la guerra -

- No, lei non capisce. Io non so cosa sia questo posto. Io vivo a Torino. Non so dove sono - 

Il giornalista sollevò le sopracciglia. Mormorò alla camera, girato di schiena, in tono confidenziale: dev'essere un po' confuso, sapete il trauma...

- Va bene, va bene, L'accontento. Lei vive a Torino. Cosa faceva stamattina? -

- Mi radevo, come sempre. E guardavo il telegiornale. Avevano questo buffo servizio su una zona di guerra... – Un sospetto attraversò il volto dell'uomo – Ehi, ma era proprio come questa zona... Era questa! Era... - 

Il giornalista cercò invano di lisciarsi uno dei cornetti di ciocche, ma infine annuì al soldato.

- Come avete visto, cari telespettatori, la guerra esige un terribile tributo alla mente umana. Pur di negare un fatto, essa ricerca le più raffinate fantasie... - 

Luca annuì col doppio mento che tremolava, confuso. Volle alzarsi per prendere altra coca cola, ma scoprì che non riusciva a staccare l'attenzione dallo schermo della tv. Si appellò a ogni suo grammo di forza per distogliere lo sguardo, ma sentiva gli occhi incollati, vincolati per le pupille da un filo invisibile che lo incatenava al tubo catodico. Con lentezza, la filigrana dello schermo si contorse, si modellò. Scese gocciolando dal recinto di plastica dell'hardware: un flusso di dati nella forma di un fluido luminescente. Luca intravide riflesso i colori e il suono del telegiornale. Poi quel vomito di bit e megabit gli morse la caviglia, gli risalì il ginocchio. L'inguine divenne freddo, in quella melma intelligente. Prima che potesse solo afferrare quanto succedeva Luca vide il fluido soffocargli la gola, il mento. Avvolgerlo in un bozzolo d'immagini sconnesse e spezzate.
Scomparve nel suono di un silenzio sbigottito. Inghiottito dal televisore.
E riapparve nella sua maglietta sporca, un piede infilato nell'infradito e l'altro no. In pantaloncini corti, nel mezzo di una strada devastata dall'artiglieria. La carcassa sventrata di un autoblindo bruciava, mentre mezzo metro distante diversi cadaveri imputridivano sotto il sole africano. Luca si girò, ansimando. Com'era possibile? Com'era... Calpestò col piede nudo un chiodo arrugginito. Inciampò, urlò e rotolò nella polvere. Singhiozzando, si sedette in ginocchio. La strada apparteneva a una città africana. I cartelli stradali erano vergati in arabo, le case basse e dal tetto piatto. Ogni finestra aveva le serrande sprangate. Uno scalpiccio di piedi attirò la sua attenzione. Balbettò:

- Ma questo è un incubo, un fottuto incubo! -

Una decina di guerriglieri gli correvano incontro. La pelle nera rivestita di caffettani colorati, turbanti rossi avvolti sulla testa. Sparavano alla cieca con mitragliette cinesi, mentre l'ultimo in coda trasportava un rpg. Il loro capo era un nero gigantesco, la cui canottiera strappata mostrava muscoli scolpiti. Diversi denti in argento gli brillavano nella bocca. Maneggiava un machete sozzo di plasma e pezzi di carne umana. Si fermò e con lui l'intera banda. Lo puntò col dito.
Luca, nello shock, riconobbe il colore rosso della banda, i tatuaggi tribali. Era il fronte di liberazione! Il fronte del telegiornale... Stette per dire qualcosa quando il nero alzò il machete.
Vide il cielo rotolare su e giù, poi sbatté le palpebre. L'ultima cosa che vide fu il suo corpo decapitato tra le risate dei guerriglieri.

2 commenti:

Alessandro Forlani ha detto...

Secondo me a 1000 parole ci si arriva benissimo. Se sei ancora in tempo, se vuoi, ti do' una mano. Il racconto non è male!

Coscienza ha detto...

Nahh, il concorso ormai è scaduto.
Ma se ritenete valido il racconto proverò a riciclarlo per altre competizioni...