In questo periodo sono ancora indaffarato con esami vari, ma mi piangeva il cuore non poter aggiornare il blog. Vi regalo perciò un racconto scritto or ora in maggio, inizialmente per il racconto La Serra Trema. non riuscivo a scendere sotto le 1000 parole prescritte, dunque finisce qui, sul blog.
Come sempre, commenti&pareri sono graditi!
P.S. No, non ho nulla contro gli interisti, è semplicemente la prima squadra di calcio che mi è venuta in mente... ^^
Tele-Visione
Luca fissava le immagini
scorrere sul televisore senza vederle realmente.
Per lui, erano finte:
nient'altro che pitture rupestri sulle pareti di una grotta. Il
giornalista tentava di denunciare la violenza in corso, ma non
riusciva a trarre alcun pathos dal servizio.
La città in fiamme
sembrava un set cinematografico a basso costo; le urla dei soldati
comparse svogliate; i tuoni del bombardamento fuochi d'artificio.
Guarda, guarda! Quelle due tracce di colore sono un bisonte, un vero
bisonte... E quello è un cervo, non uno sbavo della pittura... Come!
Non vedi quei due cacciatori avvicinarsi, le lance puntate...
- E mostrami la
partita, stronzo! -
Brontolò Luca, il pugno
grassoccio sul braccio della poltrona.
Afferrò una bottiglia di
coca cola delle dimensioni di un estintore, ne tracannò una lunga
sorsata. Aprì il suo terzo sacchetto delle patatine e ci immerse il
grugno, il sale croccante sotto i molari. Diede un'occhiata in giro
in cerca del telecomando. Per un attimo, gli si gonfiò la pancia
d'orgoglio ammirando come sempre la panoplia di trofei: la bandiera
interista, il copriletto interista, le magliette interiste, il
pallone autografato e sopratutto il plagio tarocco della coppa del
campionato.
Trovò il telecomando
sotto il comodino e subito saltellò tra i diversi canali.
Dovunque andasse,
trasmettevano lo stramaledetto telegiornale.
Bestemmiò con tutto il
fiato possibile fino a quando un rigurgito di tosse per poco non lo
strangolò. Con un sospiro, ritornò sul canale della partita.
Alzò il volume per
ascoltare quel barbogio dell'inviato di guerra.
Era un uomo in giacca e
cravatta, le scarpe lucide nella polvere dei combattimenti. I capelli
fulvi, d'un colore rossiccio, avevano due cornetti di ciocche
ribelli. Parlava con tono suadente.
- La situazione al
momento è terribile, assolutamente terribile -
Sorrise, nel dirlo.
- Il fronte di
liberazione sta bombardando la città da giorni con artiglieria russa
acquistata da mercanti kazaki. Abbiamo stimato morti e feriti nella
popolazione ben al di sopra dell'ottanta per cento. Nel frattempo –
Il tossire di un ak 47 costruito in casa gli destò un sogghigno –
Le forze repubblicane hanno lanciato un contrattacco con gli
autoblindo. Un intervento di pace della Nato ha distrutto oltre
cinquanta di questi veicoli -
Il giornalista
ridacchiava, ora. Apertamente.
- Assieme alla bellezza
di un migliaio di civili. Per tutta rappresaglia il fronte di
liberazione ha giustiziato tutti i suoi prigionieri. Si stimano tra
le duecento e le cinquecento vittime uccise a sangue freddo, per la
maggior parte bambini -
Il giornalista si
sganasciò dal ridere.
- Oh, non posso
smettere, amici! Non posso! Vi rendete conto? La vita media da queste
parti gira sui vent'anni al massimo. Quale magnifico paese! -
Un soldato dall'elmetto
della Nato chiamò il giornalista con un inglese imbastardito. Annuì
e ringhiò al cameraman di inquadrare il civile accanto il soldato.
Tremava a tal punto da
ricordare una marionetta strapazzata.
Era un ometto sui
sessant'anni, il mento sporco di schiuma da barba. Tra calcinacci e
bossoli fumanti indossava due pantofole da casa. Igor si sfregò gli
occhi, incredulo: controllò che la coca non avesse additivi o sua
sorella non l'avesse scambiata con l'alcool. Quell'ometto indossava
un pigiama! Era chiaramente un pigiama a righe, il patchwork di
colori con una bella immagine di topolino schiaffata sul petto.
L'intervistato si aggiustò gli occhialetti sul naso, cercando nel
frattempo di lisciarsi i capelli.
- Allora, allora.
Pensavamo di avere messo in salvo tutti gli italiani nell'ambasciata
e invece cosa abbiamo qui? Una vittima degli eventi! Qual'è il suo
nome? -
- Bertrando Spaventa -
- Un cognome
azzeccato! Da quanto vive in questa magnifica città? -
- Ma io non vivo qui! -
- Beh, certo, non può
viverci più con la guerra -
- No, lei non
capisce. Io non so cosa sia questo posto. Io vivo a Torino. Non so
dove sono -
Il giornalista sollevò le
sopracciglia. Mormorò alla camera, girato di schiena, in tono
confidenziale: dev'essere un po' confuso, sapete il trauma...
- Va bene, va bene,
L'accontento. Lei vive a Torino. Cosa faceva stamattina? -
- Mi radevo, come
sempre. E guardavo il telegiornale. Avevano questo buffo servizio su
una zona di guerra... – Un sospetto attraversò il volto dell'uomo
– Ehi, ma era proprio come questa zona... Era questa! Era... -
Il giornalista cercò
invano di lisciarsi uno dei cornetti di ciocche, ma infine annuì al
soldato.
- Come avete visto,
cari telespettatori, la guerra esige un terribile tributo alla mente
umana. Pur di negare un fatto, essa ricerca le più raffinate
fantasie... -
Luca annuì col doppio
mento che tremolava, confuso. Volle alzarsi per prendere altra coca
cola, ma scoprì che non riusciva a staccare l'attenzione dallo
schermo della tv. Si appellò a ogni suo grammo di forza per
distogliere lo sguardo, ma sentiva gli occhi incollati, vincolati per
le pupille da un filo invisibile che lo incatenava al tubo catodico.
Con lentezza, la filigrana dello schermo si contorse, si modellò.
Scese gocciolando dal recinto di plastica dell'hardware: un flusso di
dati nella forma di un fluido luminescente. Luca intravide riflesso i
colori e il suono del telegiornale. Poi quel vomito di bit e megabit
gli morse la caviglia, gli risalì il ginocchio. L'inguine divenne
freddo, in quella melma intelligente. Prima che potesse solo
afferrare quanto succedeva Luca vide il fluido soffocargli la gola,
il mento. Avvolgerlo in un bozzolo d'immagini sconnesse e spezzate.
Scomparve nel suono di un
silenzio sbigottito. Inghiottito dal televisore.
E riapparve nella sua
maglietta sporca, un piede infilato nell'infradito e l'altro no. In
pantaloncini corti, nel mezzo di una strada devastata
dall'artiglieria. La carcassa sventrata di un autoblindo bruciava,
mentre mezzo metro distante diversi cadaveri imputridivano sotto il
sole africano. Luca si girò, ansimando. Com'era possibile?
Com'era... Calpestò col piede nudo un chiodo arrugginito. Inciampò,
urlò e rotolò nella polvere. Singhiozzando, si sedette in
ginocchio. La strada apparteneva a una città africana. I cartelli
stradali erano vergati in arabo, le case basse e dal tetto piatto.
Ogni finestra aveva le serrande sprangate. Uno scalpiccio di piedi
attirò la sua attenzione. Balbettò:
- Ma questo è un
incubo, un fottuto incubo! -
Una decina di guerriglieri
gli correvano incontro. La pelle nera rivestita di caffettani
colorati, turbanti rossi avvolti sulla testa. Sparavano alla cieca
con mitragliette cinesi, mentre l'ultimo in coda trasportava un rpg.
Il loro capo era un nero gigantesco, la cui canottiera strappata
mostrava muscoli scolpiti. Diversi denti in argento gli brillavano
nella bocca. Maneggiava un machete sozzo di plasma e pezzi di carne
umana. Si fermò e con lui l'intera banda. Lo puntò col dito.
Luca, nello shock,
riconobbe il colore rosso della banda, i tatuaggi tribali. Era il
fronte di liberazione! Il fronte del telegiornale... Stette per dire
qualcosa quando il nero alzò il machete.
Vide il cielo rotolare su
e giù, poi sbatté le palpebre. L'ultima cosa che vide fu il suo
corpo decapitato tra le risate dei guerriglieri.
2 commenti:
Secondo me a 1000 parole ci si arriva benissimo. Se sei ancora in tempo, se vuoi, ti do' una mano. Il racconto non è male!
Nahh, il concorso ormai è scaduto.
Ma se ritenete valido il racconto proverò a riciclarlo per altre competizioni...
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