Dhamsawaat è una grande città nel
mezzo del deserto: una metropoli araba sul modello di Samarcanda, o
delle innumerevoli città che costellavano il medioriente nel basso
medioevo. Nasce attorno a una fonte d'acqua, si sviluppa in un
confuso agglomerato di casupole e minareti dalle alte guglie sulle
fondamenta di civiltà più antiche, di probabile matrice
ellenistica/egiziana (gli dei morti). E' retta da un potere centrale,
il Califfo, con una sua corte di maghi, indovini e sacerdoti. Il
Califfo governa Dhamsawaat con pugno di ferro, grazie al potere
conferitogli dal trono della luna crescente.
Adoulla Makhslood è un uomo anziano,
membro dell'ordine dei Cacciatori di Ghul. E' un esperto nelle arti
mistiche, a suo agio a combattere contro demoni e mostri partoriti
dall'adorazione dei vecchi dei pagani. Lo aiuta Raseed, un giovane
derviscio esperto nel combattimento a mani nude e con la scimitarra.
D'agilità spaventosa, è tuttavia poco più di un ragazzo cresciuto
come un monaco guerriero. Raseed aiuta Adoulla nei combattimenti,
mentre Adoulla aiuta Raseed nelle occasioni sociali, cercando di
sciogliere un po' la rigida mentalità del ragazzo.
Proprio mentre Adoulla gusta una tazza
di tè al cardamomo riflettendo d'essere troppo vecchio per questo
genere d'imprese, scopre una terribile minaccia all'ordine di
Dhamsawaat. Una coppia che viveva nelle paludi è stata brutalmente
assassinata, l'unico sopravvissuto il figlio, che racconta
balbettando di demoni soprannaturali, altrimenti chiamati ghul. Sul
luogo dello scontro, Adoulla e Raseed vengono salvati da un'imboscata
di ghul solo per intervento di Zamia, una selvaggia dalle tribù del
deserto. La ragazza è l'unica sopravvissuta della tribù, massacrata
dagli identici nemici soprannaturali che devono affrontare Adoulla e
Raseed. Zamia inoltre è una mutaforma, in grado di trasformarsi in
una leonessa ringhiante, le cui zanne sono tra le rare armi in grado
di ferire un ghul. E' ormai chiaro che c'è la mano di un mago votato
all'Angelo Traditore, in tutto questo...
Vi sono momenti in cui trascinato dalla
lettura ti appassioni alle vicende del dottore e altre in cui getti
da parte il libro, frustrato da valanghe d'infodump, dialoghi goffi e
stilizzati e stereotipi a iosa.
L'incipit è paradigmatico di
quest'atteggiamento ambivalente:
La spina dorsale e il collo del soldato erano ricurvi e deformati, ma era ancora vivo. Era rinchiuso in quella scatola laccata di rosso da nove giorni. Aveva visto la luce del giorno andare e venire attraverso la fessura del coperchio. Nove giorni.
Li teneva stretti come un pugno di dinar. Li contava e li ricontava. Nove giorni. Nove giorni. Nove giorni. Se fosse riuscito a ricordarlo fino alla morte, avrebbe tenuta intatta la propria anima per l'abbraccio protettivo di Dio.
Aveva rinunciato a ricordare il proprio nome.
Sentì dei passi leggeri che si avvicinavano, e iniziò a piangere. Ogni giorno, per nove giorni, l'uomo emaciato, con il lurido caffettano bianco e la barba nera, era arrivato. Ogni giorno tagliava o bruciava il soldato. Ma la cosa peggiore era quando lo costringeva a sentire il dolore degli altri.
E' incisivo. Ben scritto. Drammatico.
Ti scaraventa nel mezzo dell'azione
senza perdere tempo coi preamboli.
Come direbbe un inglese: bravo!
E tuttavia dal primo capitolo scattano
già i problemi.
Leggendo quei versi, il dottor Adoulla Makhslood, l'ultimo vero cacciatore di ghul della grande città di Dhamsawaat, sospirò. Sembrava che nel suo caso le cose fossero esattamente al contrario. Gli capitava spesso di sentirsi stanco della vita, ma non era per niente stufo di Dhamsawaat...
Adoulla, che nonostante frequenti cambi
di pov rimane il personaggio principale, è brutalmente introdotto
con poche linee di narrato. La stessa Dhamsawaat è nominata fin
dall'inizio, seguita a ruota da una prospettiva aerea da narratore
onnisciente. Non c'è alcun tentativo d'inserire un dialogo
introduttivo o di mostrare Adoulla mentre combatte, prega o lancia
magie.
Non sono errori gravi – come non lo
sono gli avverbi dispersi un po' ovunque – ma danno fastidio.
Saladin Ahmed è alla sua prima opera,
gliene diamo atto: non è pronto. Prima che George rr martin lo
raccomandasse alla Nebula e all'Hugo era un completo sconosciuto e
come ammetteva scherzosamente “facevo collezione di lettere di
rifiuto degli editori”. Di conseguenza leggendo s'intravedono
chiaramente le cuciture narrative del tessuto romanzesco, laddove i
paragrafi sono stati riscritti nel corso della stesura, o laddove a
mio giudizio la trama ha preso una direzione inaspettata.
Nel corso dell'avventura, superato uno
scontro particolarmente arduo nella casa del dottore, Zamia resta
ferita. I capitoli che seguono sono piuttosto noiosi e se doveste
leggerli vi consiglio di stringere i denti e proseguire. Il meglio
deve ancora arrivare. I difetti non sono dovuti all'assenza
dell'azione, ma alla discutibile scelta di Ahmed di variare il punto
di vista dal dottore a Raseed, per scivolare poi su Zamia.
Adoulla è un personaggio bene
tratteggiato, un eroe stanco verso cui è naturale provare simpatia.
Raseed al contrario è un adolescente sballottato dagli ormoni,
cresciuto nel clima intollerante e bigotto dell'ordine dei dervisci.
La lotta tra il suo dovere in quanto casto monaco guerriero e i suoi
normali sentimenti da essere umano innamorato sono descritti con
piglio infantile, senza reale impegno. La situazione se possibile
peggiora ancor di più con Zamia, una nomade il cui desiderio di
vendetta è acuito dal disprezzo verso la civiltà decadente e
lussuosa di Dhamsawaat. Zamia è irruenta, facile all'ira come allo
sbalordimento. Ahmed la rende un personaggio irritante, ripetitivo
nella condanna di terribili lussi quali l'acqua corrente e il vino
(!).
Nel momento in cui il punto di vista
ritorna su Adoulla, l'avventura continua, arricchendosi peraltro d'interessanti riflessioni a carattere socio-politico: a opporsi al Califfo è il principe Falco, un novello robin hood. Il principe è
un uomo dalle buone intenzioni, ma che si comporta in modo
inflessibile nella condanna della ricchezza personale. Se il Califfo
è inumano verso i deboli e i mendicanti della città, il principe
Falco è inumano nella persecuzione dei ricchi e dei mercanti.
Lo splendido finale recupera quanto
perso nella parte centrale grazie all'espediente fantasy per
eccellenza: una missione tra corridoi damascati e colonne intarsiate
nel palazzo del Califfo. A tutti gli effetti, un dungeon pieno
di stanze e mostri.
Il trono della luna
crescente colpisce innanzitutto per l'ambientazione.
Dhamsawaat è
chiaramente una città islamica, figlia di una società nata dal
deserto. Il monoteismo professato dai suoi abitanti è una lama a
doppio taglio: alimenta la civiltà di negozi e biblioteche, ma al
contempo permette l'azione di bande di fanatici e di eremiti. Adoulla
più volte esprime bene l'ambiguità del suo dio misericordioso,
segnalando con efficacia quanto l'applicazione della sacra legge
dipenda dalla situazione contingente e in ultima analisi
dall'individuo. Il soprannaturale proviene invece dalle catacombe nel
deserto, dalle rovine abbandonate dove giacciono gli dei sconfitti.
Il paganesimo dimora nel deserto e i ghul sono i suoi emissari. E'
probabile che Saladin Ahmed si riferisca a qualche pseudo divinità
egizia, in particolare per le voci relativi all'angelo traditore e ai
serpenti.
Dhamsawaat è una città
brulicante di vita, ma piena di contrasto interni: religiosi,
sociali, politici.
La rigida applicazione
della legge del Califfo provoca disuguaglianze laceranti e accresce
una popolazione di derelitti e mutilati dal boia. Il principe Falco
colpisce quando vuole, apparentemente irraggiungibile. Sebbene
condannato formalmente dai dervisci e dall'Ordine, in realtà molti
lo ammirano. Il Califfo invece è un tiranno sanguinario, le cui
gravose tasse stanno ora colpendo addirittura quelle fasce di
mercanti e piccoli artigiani che normalmente lo appoggerebbero. La
divisione in caste e classi sociali viene ulteriormente sottolineata
da una divisione in quartieri benestanti e poveri. Il Califfo vive
rinchiuso nella torre d'avorio del suo palazzo, indifferente ai
problemi mondani. E' un mondo a sé, pericolosamente sprezzante dei fermenti
rivoluzionari in strada.
Sebbene lontanissimo
dall'eccellenza descrittiva di Pashazade, Saladin Ahmed descrive un
mondo credibile, con una sua logica e rigore interno. Non è
sopraffino, ma è quanto serve al lettore per una buona storia di
Sword&Sorcery.
Purtroppo se di duelli e
spad(at)e il romanzo è pieno, la magia non è molto ben descritta.
Le magie di Adoulla fanno
affidamento su specifici feticci e pergamene da leggere e
pronunciare. Usarle comporta un costo fisico e spirituale notevole,
oltre che un costo in denaro piuttosto salato. A volte sconfinano nel
campo della chimica/alchimia, con bombe e acidi.
Tuttavia, non c'è nulla
di originale o ben pensato: sono magie funzionali alla trama e poco
più.
Abbiamo “un incantesimo
di magniloquenza”, incantesimi per decrittare codici cifrati e
addirittura un ridicolo spray al peperoncino! Si può fare di meglio.
Nel fantasy anglosassone, il protagonista che sia Frodo, Eragon (1) o l'infame Harry Potter è un giovane maschio la cui perdita parentale risulta nell'avventura nel mondo “esterno” ricco di mostri&meraviglie. L'eroe cresce, matura e ritorna a casa spiritualmente più ricco di prima.
Frodo
ritorna alla Contea, Harry diventa un vero mago ecc ecc
A volte il
ruolo del genitore può venir ricoperto da un anziano mentore:
Gandalf, Brom, Silente.
Guardando la copertina del
Trono della Luna Crescente era proprio quanto temevo: Adoulla come
Gandalf, Raseed come Frodo... Il ruolo tuttavia di Raseed resta pur
sempre di supporto. I cambi di pov in suo favore risultano tanto più
frustranti quanto più il personaggio è secondario.
E' Adoulla il protagonista
dall'inizio alla fine.
In ogni scontro è Adoulla
a salvare la situazione, Adoulla a sconfiggere l'antagonista, Adoulla
a escogitare un piano sensato. Cacciatore, investigatore e mago
Adoulla è indubbiamente la ruota fondamentale nell'ingranaggio.
Ciò è straordinario,
perchè Adoulla non è un eroe convenzionale.
E' vecchio, troppo vecchio
persino per i canoni dell'eroe “acciaccato” di Hollywood.
E' grassoccio, dalle ossa
che gli dolgono e uno spiccato amore per il vino e il cibo.
Proprio perché vecchio,
Adoulla è saggio. Molto più saggio di tutti i suoi comprimari
“giovani” e proprio in virtù di tale saggezza è paradossalmente
forte. Sempre con un asso nella manica quando meno te lo aspetti.
Saladin Ahmed sputa in
faccia alla miriade di young adults adolescenziali, dove
adolescenti imberbi sconfiggono nemici antichissimi con armi di
foggia improbabile. Al contrario, ci regala un eroe acciaccato,
grasso e bibliofilo, la cui abilità deriva dallo studio e dalla
magia.
Assieme all'ambientazione
arabeggiante, è la migliore intuizione di Saladin Ahmed.
Fonti:
Attualmente, l'edizione
italiana del Trono della Luna Crescente è a cura della Fanucci.
La traduzione della
Giorgia Canuso sembra buona, senza bizzarrie lessicali.
Se preferite le librerie
fisiche, una copia dovrebbe essere ancora disponibile alla Lovat di
Trieste.
(1) Uso l'esempio
di Eragon, perché talmente stereotipato da risultare subito
intuitivo. Questo non vuol dire Eragon sia un buon romanzo, anzi...
6 commenti:
Gli darò una change per l'ambientazione. I luoghi alla "Mille e Una Notte" mi hanno sempre affascinato.
Una chance, non una change! :-D
Le Mille e una notte è un buon esempio cui compararlo, ma la storia ha cmq un piglio "realistico", anche rispetto alla normale fantasy.
Me lo segno per le prossime letture! Fantasy e fantascienza araba non sono molto facile da trovare...
Diciamo pure che la fantasy arabeggiante non esiste proprio, almeno nelle traduzioni in Italia...
E dopo essermi letto Sun of Suns, mi sono letto anche Throne of the Crescent Moon. D’altra parte che senso ha leggere queste interessanti recensioni se poi non provo di persona il romanzo?
Concordo con tutto quanto da te scritto. La prima parte e quella finale sono scoppiettanti, la parte centrale della storia è noiosa.
Mi ha deluso la mancata descrizione del cattivo Orshado. Resta una figura troppo vaga e penso che lo scrittore ci avrebbe dovuto lavorare un po’ di più.
Non sono sicuro che l’Islam approvi l’uso disinvolto della magia come ne fanno i protagonisti, ma essendo a fine di bene penso che nessuno abbia di cui lamentarsi.
Grazie per la segnalazione, comunque.
@LorenzoD
Grazie a te per tornare a commentare dopo anni di distanza dalla recensione, fossero tutti così...
Io col tempo ho un po' abbassato il giudizio sull'opera di Ahmed, è un buon fantasy, con alcuni punti di forza (non aver eliminato la religione, ad esempio), ma in linea generale ha uno svolgimento e dei personaggi davvero troppo ingenui.
Cmq l'autore soffre di depressione cronica ed è in perenne difficoltà finanziarie, quindi comprarlo e supportarlo è sempre una buona idea.
Sono anch'io un po' scettico sulla faccenda Islam-Magia, ma d'altronde se ricordo bene ci sono delle sanguinose invettive contro le divinità pagane, quindi l'elemento anti-idolatrico compare...
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