lunedì 23 marzo 2015

Il Trono della Luna Crescente, di Saladin Ahmed


Dhamsawaat è una grande città nel mezzo del deserto: una metropoli araba sul modello di Samarcanda, o delle innumerevoli città che costellavano il medioriente nel basso medioevo. Nasce attorno a una fonte d'acqua, si sviluppa in un confuso agglomerato di casupole e minareti dalle alte guglie sulle fondamenta di civiltà più antiche, di probabile matrice ellenistica/egiziana (gli dei morti). E' retta da un potere centrale, il Califfo, con una sua corte di maghi, indovini e sacerdoti. Il Califfo governa Dhamsawaat con pugno di ferro, grazie al potere conferitogli dal trono della luna crescente.
Adoulla Makhslood è un uomo anziano, membro dell'ordine dei Cacciatori di Ghul. E' un esperto nelle arti mistiche, a suo agio a combattere contro demoni e mostri partoriti dall'adorazione dei vecchi dei pagani. Lo aiuta Raseed, un giovane derviscio esperto nel combattimento a mani nude e con la scimitarra. D'agilità spaventosa, è tuttavia poco più di un ragazzo cresciuto come un monaco guerriero. Raseed aiuta Adoulla nei combattimenti, mentre Adoulla aiuta Raseed nelle occasioni sociali, cercando di sciogliere un po' la rigida mentalità del ragazzo.
Proprio mentre Adoulla gusta una tazza di tè al cardamomo riflettendo d'essere troppo vecchio per questo genere d'imprese, scopre una terribile minaccia all'ordine di Dhamsawaat. Una coppia che viveva nelle paludi è stata brutalmente assassinata, l'unico sopravvissuto il figlio, che racconta balbettando di demoni soprannaturali, altrimenti chiamati ghul. Sul luogo dello scontro, Adoulla e Raseed vengono salvati da un'imboscata di ghul solo per intervento di Zamia, una selvaggia dalle tribù del deserto. La ragazza è l'unica sopravvissuta della tribù, massacrata dagli identici nemici soprannaturali che devono affrontare Adoulla e Raseed. Zamia inoltre è una mutaforma, in grado di trasformarsi in una leonessa ringhiante, le cui zanne sono tra le rare armi in grado di ferire un ghul. E' ormai chiaro che c'è la mano di un mago votato all'Angelo Traditore, in tutto questo...



Il primo romanzo di Saladin Ahmed è un'opera altalenante.
Vi sono momenti in cui trascinato dalla lettura ti appassioni alle vicende del dottore e altre in cui getti da parte il libro, frustrato da valanghe d'infodump, dialoghi goffi e stilizzati e stereotipi a iosa.
L'incipit è paradigmatico di quest'atteggiamento ambivalente:
La spina dorsale e il collo del soldato erano ricurvi e deformati, ma era ancora vivo. Era rinchiuso in quella scatola laccata di rosso da nove giorni. Aveva visto la luce del giorno andare e venire attraverso la fessura del coperchio. Nove giorni.
Li teneva stretti come un pugno di dinar. Li contava e li ricontava. Nove giorni. Nove giorni. Nove giorni. Se fosse riuscito a ricordarlo fino alla morte, avrebbe tenuta intatta la propria anima per l'abbraccio protettivo di Dio.
Aveva rinunciato a ricordare il proprio nome.
Sentì dei passi leggeri che si avvicinavano, e iniziò a piangere. Ogni giorno, per nove giorni, l'uomo emaciato, con il lurido caffettano bianco e la barba nera, era arrivato. Ogni giorno tagliava o bruciava il soldato. Ma la cosa peggiore era quando lo costringeva a sentire il dolore degli altri.

E' incisivo. Ben scritto. Drammatico.
Ti scaraventa nel mezzo dell'azione senza perdere tempo coi preamboli.
Come direbbe un inglese: bravo!
E tuttavia dal primo capitolo scattano già i problemi.
Leggendo quei versi, il dottor Adoulla Makhslood, l'ultimo vero cacciatore di ghul della grande città di Dhamsawaat, sospirò. Sembrava che nel suo caso le cose fossero esattamente al contrario. Gli capitava spesso di sentirsi stanco della vita, ma non era per niente stufo di Dhamsawaat...

Adoulla, che nonostante frequenti cambi di pov rimane il personaggio principale, è brutalmente introdotto con poche linee di narrato. La stessa Dhamsawaat è nominata fin dall'inizio, seguita a ruota da una prospettiva aerea da narratore onnisciente. Non c'è alcun tentativo d'inserire un dialogo introduttivo o di mostrare Adoulla mentre combatte, prega o lancia magie.
Non sono errori gravi – come non lo sono gli avverbi dispersi un po' ovunque – ma danno fastidio.
Saladin Ahmed è alla sua prima opera, gliene diamo atto: non è pronto. Prima che George rr martin lo raccomandasse alla Nebula e all'Hugo era un completo sconosciuto e come ammetteva scherzosamente “facevo collezione di lettere di rifiuto degli editori”. Di conseguenza leggendo s'intravedono chiaramente le cuciture narrative del tessuto romanzesco, laddove i paragrafi sono stati riscritti nel corso della stesura, o laddove a mio giudizio la trama ha preso una direzione inaspettata.
Nel corso dell'avventura, superato uno scontro particolarmente arduo nella casa del dottore, Zamia resta ferita. I capitoli che seguono sono piuttosto noiosi e se doveste leggerli vi consiglio di stringere i denti e proseguire. Il meglio deve ancora arrivare. I difetti non sono dovuti all'assenza dell'azione, ma alla discutibile scelta di Ahmed di variare il punto di vista dal dottore a Raseed, per scivolare poi su Zamia.
Adoulla è un personaggio bene tratteggiato, un eroe stanco verso cui è naturale provare simpatia. Raseed al contrario è un adolescente sballottato dagli ormoni, cresciuto nel clima intollerante e bigotto dell'ordine dei dervisci. La lotta tra il suo dovere in quanto casto monaco guerriero e i suoi normali sentimenti da essere umano innamorato sono descritti con piglio infantile, senza reale impegno. La situazione se possibile peggiora ancor di più con Zamia, una nomade il cui desiderio di vendetta è acuito dal disprezzo verso la civiltà decadente e lussuosa di Dhamsawaat. Zamia è irruenta, facile all'ira come allo sbalordimento. Ahmed la rende un personaggio irritante, ripetitivo nella condanna di terribili lussi quali l'acqua corrente e il vino (!).
Nel momento in cui il punto di vista ritorna su Adoulla, l'avventura continua, arricchendosi peraltro d'interessanti riflessioni a carattere socio-politico: a opporsi al Califfo è il principe Falco, un novello robin hood. Il principe è un uomo dalle buone intenzioni, ma che si comporta in modo inflessibile nella condanna della ricchezza personale. Se il Califfo è inumano verso i deboli e i mendicanti della città, il principe Falco è inumano nella persecuzione dei ricchi e dei mercanti.

Lo splendido finale recupera quanto perso nella parte centrale grazie all'espediente fantasy per eccellenza: una missione tra corridoi damascati e colonne intarsiate nel palazzo del Califfo. A tutti gli effetti, un dungeon pieno di stanze e mostri.


Il trono della luna crescente colpisce innanzitutto per l'ambientazione
Dhamsawaat è chiaramente una città islamica, figlia di una società nata dal deserto. Il monoteismo professato dai suoi abitanti è una lama a doppio taglio: alimenta la civiltà di negozi e biblioteche, ma al contempo permette l'azione di bande di fanatici e di eremiti. Adoulla più volte esprime bene l'ambiguità del suo dio misericordioso, segnalando con efficacia quanto l'applicazione della sacra legge dipenda dalla situazione contingente e in ultima analisi dall'individuo. Il soprannaturale proviene invece dalle catacombe nel deserto, dalle rovine abbandonate dove giacciono gli dei sconfitti. Il paganesimo dimora nel deserto e i ghul sono i suoi emissari. E' probabile che Saladin Ahmed si riferisca a qualche pseudo divinità egizia, in particolare per le voci relativi all'angelo traditore e ai serpenti.
Dhamsawaat è una città brulicante di vita, ma piena di contrasto interni: religiosi, sociali, politici.
La rigida applicazione della legge del Califfo provoca disuguaglianze laceranti e accresce una popolazione di derelitti e mutilati dal boia. Il principe Falco colpisce quando vuole, apparentemente irraggiungibile. Sebbene condannato formalmente dai dervisci e dall'Ordine, in realtà molti lo ammirano. Il Califfo invece è un tiranno sanguinario, le cui gravose tasse stanno ora colpendo addirittura quelle fasce di mercanti e piccoli artigiani che normalmente lo appoggerebbero. La divisione in caste e classi sociali viene ulteriormente sottolineata da una divisione in quartieri benestanti e poveri. Il Califfo vive rinchiuso nella torre d'avorio del suo palazzo, indifferente ai problemi mondani. E' un mondo a sé, pericolosamente sprezzante dei fermenti rivoluzionari in strada.
Sebbene lontanissimo dall'eccellenza descrittiva di Pashazade, Saladin Ahmed descrive un mondo credibile, con una sua logica e rigore interno. Non è sopraffino, ma è quanto serve al lettore per una buona storia di Sword&Sorcery.

Purtroppo se di duelli e spad(at)e il romanzo è pieno, la magia non è molto ben descritta.
Le magie di Adoulla fanno affidamento su specifici feticci e pergamene da leggere e pronunciare. Usarle comporta un costo fisico e spirituale notevole, oltre che un costo in denaro piuttosto salato. A volte sconfinano nel campo della chimica/alchimia, con bombe e acidi.
Tuttavia, non c'è nulla di originale o ben pensato: sono magie funzionali alla trama e poco più.
Abbiamo “un incantesimo di magniloquenza”, incantesimi per decrittare codici cifrati e addirittura un ridicolo spray al peperoncino! Si può fare di meglio.


Nel fantasy anglosassone, il protagonista che sia Frodo, Eragon (1) o l'infame Harry Potter è un giovane maschio la cui perdita parentale risulta nell'avventura nel mondo “esterno” ricco di mostri&meraviglie. L'eroe cresce, matura e ritorna a casa spiritualmente più ricco di prima. 
Frodo ritorna alla Contea, Harry diventa un vero mago ecc ecc 
A volte il ruolo del genitore può venir ricoperto da un anziano mentore: Gandalf, Brom, Silente.
Guardando la copertina del Trono della Luna Crescente era proprio quanto temevo: Adoulla come Gandalf, Raseed come Frodo... Il ruolo tuttavia di Raseed resta pur sempre di supporto. I cambi di pov in suo favore risultano tanto più frustranti quanto più il personaggio è secondario.
E' Adoulla il protagonista dall'inizio alla fine.
In ogni scontro è Adoulla a salvare la situazione, Adoulla a sconfiggere l'antagonista, Adoulla a escogitare un piano sensato. Cacciatore, investigatore e mago Adoulla è indubbiamente la ruota fondamentale nell'ingranaggio.
Ciò è straordinario, perchè Adoulla non è un eroe convenzionale.
E' vecchio, troppo vecchio persino per i canoni dell'eroe “acciaccato” di Hollywood.
E' grassoccio, dalle ossa che gli dolgono e uno spiccato amore per il vino e il cibo.
Proprio perché vecchio, Adoulla è saggio. Molto più saggio di tutti i suoi comprimari “giovani” e proprio in virtù di tale saggezza è paradossalmente forte. Sempre con un asso nella manica quando meno te lo aspetti.
Saladin Ahmed sputa in faccia alla miriade di young adults adolescenziali, dove adolescenti imberbi sconfiggono nemici antichissimi con armi di foggia improbabile. Al contrario, ci regala un eroe acciaccato, grasso e bibliofilo, la cui abilità deriva dallo studio e dalla magia.
Assieme all'ambientazione arabeggiante, è la migliore intuizione di Saladin Ahmed.

Fonti:
Attualmente, l'edizione italiana del Trono della Luna Crescente è a cura della Fanucci.
La traduzione della Giorgia Canuso sembra buona, senza bizzarrie lessicali.
E' disponibile sia in cartaceo che in ebook.
Se preferite le librerie fisiche, una copia dovrebbe essere ancora disponibile alla Lovat di Trieste.

(1) Uso l'esempio di Eragon, perché talmente stereotipato da risultare subito intuitivo. Questo non vuol dire Eragon sia un buon romanzo, anzi...  

6 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Gli darò una change per l'ambientazione. I luoghi alla "Mille e Una Notte" mi hanno sempre affascinato.

Coscienza ha detto...

Una chance, non una change! :-D

Le Mille e una notte è un buon esempio cui compararlo, ma la storia ha cmq un piglio "realistico", anche rispetto alla normale fantasy.

LorenzoD ha detto...

Me lo segno per le prossime letture! Fantasy e fantascienza araba non sono molto facile da trovare...

Coscienza ha detto...


Diciamo pure che la fantasy arabeggiante non esiste proprio, almeno nelle traduzioni in Italia...

LorenzoD ha detto...

E dopo essermi letto Sun of Suns, mi sono letto anche Throne of the Crescent Moon. D’altra parte che senso ha leggere queste interessanti recensioni se poi non provo di persona il romanzo?

Concordo con tutto quanto da te scritto. La prima parte e quella finale sono scoppiettanti, la parte centrale della storia è noiosa.

Mi ha deluso la mancata descrizione del cattivo Orshado. Resta una figura troppo vaga e penso che lo scrittore ci avrebbe dovuto lavorare un po’ di più.

Non sono sicuro che l’Islam approvi l’uso disinvolto della magia come ne fanno i protagonisti, ma essendo a fine di bene penso che nessuno abbia di cui lamentarsi.

Grazie per la segnalazione, comunque.

Coscienza ha detto...

@LorenzoD
Grazie a te per tornare a commentare dopo anni di distanza dalla recensione, fossero tutti così...

Io col tempo ho un po' abbassato il giudizio sull'opera di Ahmed, è un buon fantasy, con alcuni punti di forza (non aver eliminato la religione, ad esempio), ma in linea generale ha uno svolgimento e dei personaggi davvero troppo ingenui.
Cmq l'autore soffre di depressione cronica ed è in perenne difficoltà finanziarie, quindi comprarlo e supportarlo è sempre una buona idea.

Sono anch'io un po' scettico sulla faccenda Islam-Magia, ma d'altronde se ricordo bene ci sono delle sanguinose invettive contro le divinità pagane, quindi l'elemento anti-idolatrico compare...