martedì 16 dicembre 2014

Lo hobbit: guida alla lettura (cap. 12-19)


Siamo arrivati in extremis con l'uscita di domani de Lo hobbit - La Battaglia delle cinque armate - all'ultima lezione. Si tirano le fila dei temi trattati, si approfondiscono alcune filosofie e si scherza un po'. Non dimenticate di commentare che v'è sembrata questa guida e di condividere con chi interessato. :-)

La fuga è terminata. Malaticci e bagnati, i nani sono giunti a Pontelagolungo, dove vengono accolti dal Governatore con grandi feste. Tolkien lascia abilmente sottintendere come sia l'oro e la ricchezza dei vestiti di Thorin a convincere il Governatore più della sua effettiva fiducia nel compiersi della profezia.

« Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna! » disse il nano a voce alta,pieno di maestà nonostante i vestiti laceri e il cappuccio infangato. L'oro gli brillava attorno
al collo e alla cintura; i suoi occhi erano scuri e profondi.

La profezia che ricorda Thorin è una leggenda popolare che ogni singolo uomo di Lago Lungo conosce e le reazioni all'idea che si avveri risultano frenetiche. L'ingenuità della gente è palese. Nessuno, tranne Bilbo e gli elfi, sembrano ricordarsi che prima di poter agguantare l'oro, sarà necessario uccidere Smaug... il Governatore in tutto ciò svolge il ruolo del sindaco affarista. che cerca di approfittare dell'occasione come meglio può, cavalcando da buon populista l'entusiasmo della folla. Non c'è la minima traccia dell'atmosfera Jacksoniana, inutilmente stiracchiata nel personaggio di Bard e nell'intromissione di Tauriel. I nani stessi si riprendono dopo una settimana di mangiate e bevute, pronti per dare l'assalto alla montagna.

Allora il Governatore esitò e rivolse lo sguardo dall'uno agli altri. Il re degli Elfi era molto
potente da quelle parti, e il Governatore non desiderava che ci fosse ostilità tra loro, né faceva gran conto delle vecchie canzoni, perché tutta la sua attenzione era rivolta al commercio e ai
pedaggi, ai carichi e all'oro, e proprio a questo doveva la sua posizione. Altri tuttavia erano di
diverso parere e la questione si risolse rapidamente senza di lui: la novità si era diffusa come
il fuoco dalle porte della sala per tutta la città. La gente gridava dentro e fuori, e le banchine
si riempirono in un baleno. Alcuni cominciarono a cantare ritornelli di vecchie canzoni che parlavano del ritorno del Re sotto la Montagna; che fosse ritornato il nipote di Thror e non
Thror in persona non li preoccupava minimamente. Altri si unirono al coro e il canto risuonò
alto e chiaro sopra il lago.

Paradossalmente colui che meno prende sul serio la profezia è proprio il Governatore, mentre persino gli elfi sono all'improvviso impauriti: com'è possibile che questi nani siano sfuggiti alle prigioni reali? E come mai la profezia non fa il minimo cenno a quell'essere chiamato Bilbo? Scherzi a parte, gli zatterieri di Thranduil sono gli unici che, assieme a Bilbo, capiscono il pericolo di risvegliare il drago Smaug.

Il racconto della profezia permette inoltre di tornare all'argomento “fortuna” (o fato, o progetto divino...) A Thorin basta presentarsi a Pontelagolungo e dichiarare di essere il re sotto la Montagna della profezia, perché le guardie del Governatore corrano fuori, a guardare incredule se l'oro cominci a scendere dalle montagne, mentre ogni abitante si dà all'improvviso alla baldoria. C'è un'immensa forzatura qui, come in altre parti del testo, nelle reazioni della gente. Per quanto popolare fosse la leggenda, non è realistico che gli uomini di Lagolungo “abbocchino” tanto facilmente.

Non serve inoltre sottolineare l'immensa catena di coincidenze che permette loro di arrivare direttamente il giorno di Durin, in tempo perché la porticina incastonata nella montagna si apra secondo le istruzioni delle lettere lunari. Il tordo è, come Bilbo, uno strumento (benevolo e inconsapevole, beninteso) del Fato.




Nel momento in cui Bilbo, con la sola compagnia di Balin, scende dentro la Montagna, l'unica vera motivazione diventa la fortuna. Bilbo fa affidamento sull'anello e in secondo luogo sulla sua buona stella. Comincia confusamente a rendersi conto di essere il prescelto. Questo tema, che avevo già spiegato nel capitolo precedente, viene chiaramente esplicitato nelle battute del finale, tra Bilbo e Gandalf:

« Allora le profezie delle vecchie canzoni si sono rivelate vere, più o meno! » disse Bilbo.
« Ma certo! » disse Gandalf. « E perché non dovrebbero rivelarsi vere? Certo non metterai in
dubbio le profezie, se hai contribuito a farle avverare! Non crederai mica, spero, che ti sia
andata bene in tutte le tue avventure e fughe per pura fortuna, così, solo e soltanto per il tuo
bene? Sei una bravissima persona, signor Baggins, e io ti sono molto affezionato; ma in fondo
sei solo una piccola creatura in un mondo molto vasto! ».
« Grazie al cielo! » disse Bilbo ridendo, e gli porse la borsa del tabacco.

Gandalf, messaggero degli dei, rampogna scherzosamente Bilbo, ricordandogli che non è certo solo per suo merito, se tutta la vicenda si è conclusa felicemente.
Il ruolo dei protagonisti nelle storie, e del loro effettivo libero arbitrio sarà poi ripreso nel bellissimo discorso nelle Due Torri, stavolta fedelmente adattato da Jackson. Frodo e Sam discutono delle grandi avventure nelle storie (fantasy?) lette quand'erano al sicuro nella Contea e le conclusioni a cui giungono sono le stesse di Bilbo e Gandalf:

Credevo che i meravigliosi protagonisti delle leggende partissero in cerca di esse, perché le desideravano, essendo cose entusiasmanti che interrompevano la monotonia della vita, uno svago, un divertimento. Ma non accadeva così nei racconti veramente importanti, in quelli che rimangono nella mente. Improvvisamente la gente si trovava coinvolta, e quello, come dite voi, era il loro sentiero. Penso che anche essi come noi ebbero molte occasioni di tornare indietro, ma non lo fecero. E se lo avessero fatto noi non lo sapremmo, perché sarebbero stati obliati. Noi sappiamo di coloro che proseguirono, e non tutti verso una felice fine, badate bene; o comunque non verso quella che i protagonisti di una storia chiamano una felice fine.
Siamo solo parte di una storia più grande. Non possiamo aspettarci altro.

La battaglia dei cinque eserciti è, essa stessa, una mossa del fato.
I nani (asserragliati a Erebor); gli umani pronti a vendicarsi di Pontelagolungo bruciata; gli elfi all'attacco della montagna. Stanno tutti per combattersi l'uno contro l'altro, per il possesso dell'oro di Smaug. Le aquile, avvistate in lontananza da Bilbo, possono sembrare un presagio di sventura, perché annunciano l'arrivo degli orchetti.
Tuttavia, proviamo a immaginare cosa sarebbe successo se gli orchi non avessero attaccato. Se fossero arrivati anche solo dieci minuti più tardi, un'ora in ritardo all'appuntamento con il fato. Probabilmente gli elfi avrebbero combattuto i nani, che sarebbero rimasti intrappolati in un lungo assedio, mentre nel frattempo gli umani, persa la città, avrebbero sofferto un inverno d'incubo, senza ne cibo, ne ripari.
Paradossalmente, gli orchetti attaccando hanno fatto del bene. E' qui lampante la lezione già spiegata nel capitolo “Dalla padella alla brace”: fare del male, grazie alle manovre del destino, non serve mai a nulla, mentre il male viene paradossalmente annientato dalle sue stesse azioni malvagie.

La battaglia contro gli orchi rimane dunque per Tolkien una tragedia dolorosa, ma necessaria. Vediamo inoltre qui all'opera la sinergia tra elfi, nani e umani: i nani lavorano i minerali della montagna, gli umani coltivano, gli elfi forniscono le materie naturali. E' un ecosistema simbiotico che l'arrivo della Compagnia e successivamente la brama del denaro rischiano di destabilizzare, se non distruggere.


Dobbiamo inquadrare in questa prospettiva morale ma non moralista il furto di Bilbo di un calice dal tesoro di Smaug. Fedele al suo ruolo di scassinatore, ansioso di mostrare la sua abilità, Bilbo ruba “una grande coppa a due manici, la più pesante che potesse portare” da uno Smaug addormentato, ma sempre vigile. Di conseguenza, mentre Bilbo la mostra con tronfio entusiasmo ai nani, Smaug sceglie di vendicarsi bruciando, dilaniando e in generale annientando l'intera città di Pontelagolungo. E' una svolta importante, totalmente eliminata nella versione Jacksoniana. L'atto egoista di Bilbo, che compiace solamente i nani, porta all'arrabbiatura del drago, che di conseguenza causa la distruzione di Pontelagolungo. L'identità dello scassinatore, in realtà appioppata da Thorin, si è rivelata ancora una volta disastrosa. Esattamente come nel capitolo degli uomini neri, rubare per il gusto del rubare ha conseguenze disastrose.

Il furto dell'archengemma ha invece un significato diverso.
Bramata da Thorin, l'archengemma ha un valore diplomatico immenso, oltre a esercitare un fascino talmente potente d'abbindolare perfino Bilbo. Se il nostro hobbit rimane borghesamente indifferente all'oro dei nani, l'archengemma viene all'inizio nascosta perché troppo bella, persino per un insensibile scassinatore qual'è. Tuttavia, mentre l'assedio degli elfi irrigidisce le fila e Bilbo non ne può più di rimpinzimonio, gli viene l'idea di scambiare l'archengemma per terminare il conflitto. Bilbo ruba l'archengemma e la scambia con il re degli elfi nella speranza di arrivare alla pace. E' pur sempre un ruolo di scassinatore: aggirarsi furtivo, rubacchiare, nascondersi. Ma stavolta agendo per un bene superiore, non si verificano conseguenze negative, anzi. Bilbo completa finalmente l'identità di scassinatore, ma volgendola in positivo. Cancella così l'onta di aver scatenato il drago contro Pontelagolungo. Persino Thorin, incattivito, gli rimprovera d'aver agito da vigliacco “scassinatore!” Un rovesciamento paradossale, se considerate che fino a pochi capitoli prima l'aveva lodato proprio per aver rubato la coppa dal tesoro di Smaug.

A ripensarci, l'archengemma compare già nella gara degli indovinelli sotto le Montagne nebbiose. 
Si consideri il seguente:

Senza coperchio, chiave, né cerniera
uno scrigno cela una dorata sfera.

La risposta sono le uova, ma solo perché sia in Bilbo (che Gollum?) prevale il lato Baggins. Altrimenti paradossalmente “l'archengemma!” sarebbe stata un'ottima risposta.
La scelta di consegnare l'archengemma è dunque strettamente simbolica.
Bilbo è giunto al punto da poter rubare l'archengemma, tenerla per sé; oppure consegnarla per la pace tra le fazioni, senza tenere troppo conto dei beni materiali. La stessa scelta compare nell'indovinello. Bilbo, metaforicamente, ha scelto le uova. Il suo vero tesoro è nella Contea. Al confronto colla semplice vita rurale, le ricchezze di Smaug contano davvero poco. Vittoria decisiva del lato Baggins. Persino nel dialogo tra Thranduil, Gandalf e Bilbo, il regalo dell'Archengemma viene gestito dall'hobbit come un incontro d'affari, dove il businessman dalla Contea vende un prezioso prodotto (rubato!).

Alla fine del libro, Thorin pronuncia un ultimo discorso a Bilbo, rammaricandosi proprio d'aver preferito la guerra alla pace. Quanto di più lontano dalle posizioni guerrafondaie spesso rimproverate a Tolkien.

« No! » disse Thorin. « In te c'è più di quanto tu non sappia, figlio dell'Occidente cortese.
Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo,allegria e canzoni al di sopra dei tesori d'oro, questo sarebbe un mondo più lieto... »

E' superfluo sottolineare, ancora una volta, come venga di Bilbo lodata la mescolanza di lato Tuc e lato Baggins, coraggio avventuroso e buonsenso casalingo.

Pure Thrainduil, il re degli elfi silvani, si complimenta con Bilbo, regalandogli quell'appellativo “Munifico”, che ritornerà pure nel Signore degli Anelli. Nella titolazione inglese - che non so come renderanno nel film - "Magnificent" ha un significato decisamente più vasto del semplice "Munifico". Magnificent era un appellativo tipico dei romanzi cavallereschi, quel genere di complimenti che si davano ai cavalieri di nobili imprese. Non è semplice sinonimo di generosità. Ancora una volta la grande perizia linguistica di Tolkien è auto-evidente, sminuita nelle attuali traduzioni.

Il viaggio di ritorno a Hobbitopoli è tranquillo e lineare.
Tuttavia, all'arrivo a casa, si presenta l'ultima catastrofe della storia:

Se lui fu sorpreso, gli altri lo furono ancora di più. Egli era ritornato nel bel mezzo di un'asta! C'era un grosso cartello appeso al cancello, su cui c'era scritto in rosso e nero che il ventidue
luglio, a cura dello Spett. Studio Notarile Grufola, Grufola e Zappa-scava sarebbero stati venduti all'asta gli effetti del defunto Egr. sig. Bilbo Baggins, Casa Baggins, Vicolo Cieco, Sottocolle, Hobbitopoli. La vendita avrebbe avuto inizio alle dieci precise. Oramai era quasi
ora di pranzo, e la maggior parte delle cose erano già state vendute, per prezzi che variavano da quasi niente a quattro soldi (cosa non del tutto insolita in questo tipo di aste). I cugini di
Bilbo, i Sackville-Baggins, erano, infatti, indaffaratissimi a prendere le misure delle stanze per vedere se i loro mobili ci sarebbero stati bene.

Gli odiati Sackville-Baggins! Ovviamente, dopo la tragedia della battaglia dei cinque eserciti, questa è una catastrofe in piccolo. Un passaggio alla commedia. Scacciati i nefasti vicini, Bilbo si riappropria pacificamente della cuccuma, del bacon e del caffellatte che tanto rimpiangeva.
E' straordinario come Tolkien avrebbe potuto ribaltare facilmente la situazione: dopo Granburrone, Bosco Atro e la Montagna solitaria Bilbo avrebbe potuto a ragione trovare noiosa e deludente la vita nella Contea. Insomma, deprimersi per il ritorno a casa. Al contrario l'avventura ha reso speciali quelle che altrimenti erano le cose di ogni giorno, e di conseguenza la bellezza della vita Baggins viene arricchita dall'esperienza Tuc.

C'è un “però”, tuttavia.
Bilbo non è più il benvenuto, alla Contea. Nani e stregoni lo visitano, è sparito per poi ritornare quando meno ce lo si aspettava: insomma ha perso la sua reputazione. Tuttavia, Bilbo se ne frega: sa che ha guadagnato molto di più.

In realtà Bilbo scoprì di aver perso più dei cucchiaini: aveva perso la reputazione. È vero che
in seguito egli rimase sempre amico degli elfi, ed ebbe l'onore di ricevere la visita di nani,
stregoni e simili quando passavano da quelle parti; ma non era più rispettabile. In effetti
veniva considerato da tutti gli hobbit del circondario come un essere « stravagante », coll'eccezione dei suoi nipoti e nipotine dalla parte Tuc, ma neanche questi furono incoraggiati in questa amicizia dai loro maggiori.
Mi spiace dire che non gliene importava niente...

Possiamo qui intravedere un parallelismo col lettore? 
Secondo la mia opinione (ma non quella di Olsen) c'è un chiaro raffronto lettore fantasy/Bilbo. Pur felice per aver scoperto mondi strani e meravigliosi, l'appassionato di Fantasy resta ora più che mai consapevole che questa passione verrà incompresa, o al massimo derisa. La solitudine della gente comune è l'inevitabile conseguenza.
Per chi voglia davvero interessarsi al Fantastico, per chi desideri davvero creare mondi, mitologie fuori dalla realtà, è meglio che lasci perdere la rispettabilità. Specie in questi tempi di finti appassionati, che si dichiarano tolkeniani per aver visto i film, che adorano autori senza fantasia come la Rowling o la Meyer, che si gasano per omini in calzamaglia dagli strani superpoteri...

Io intanto sento la cuccuma che fischia, vado...  



4 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Hai fatto un ottimo lavoro in questo post...
Non era facile parlare di sette capitoli così intensi.
Adesso tutti al cinema ;D

Coscienza ha detto...


Vediamo se Jackson è riuscito a concludere degnamente la saga, o si è afflosciato nel finale ;D

Anonimo ha detto...

Oh, finalmente le ho lette. Bellissime lezioni, grazie di averle scritte :D

Coscienza ha detto...


Grazie mille! :-)
Se t'interessa il genere, Corey Olsen ha tenuto un ciclo di lezioni anche sul Silmarillion e su Isda. Trovi il link nella prima parte della guida.