Il grande successo del
Cantore di Providence rende sempre più difficile discuterne
appropriatamente.
S'identifica Lovecraft con
un nucleo piuttosto vago di argomenti e racconti, che costituiscono
in realtà una fetta assai ristretta della sua produzione letteraria.
Per i “nuovi” appassionati, il simbolo è senza dubbio Cthulhu,
ormai presente nella psiche collettiva come la ciclopica silhouette
di un gigante, dalla barba fatta di tentacoli. Le opere di Lovecraft
andrebbero così ricondotte al solo Ciclo dei grandi Antichi,
gettando via gemme come l'intero filone onirico ispirato a Dunsany,
per non citare la più rozza produzione giovanile, affettuoso omaggio
a Edgar Allan Poe.
Nell'ambito stesso della
“mostrologia” lovecraftiana, sembra non sia possibile uscire dai
cliché dei tentacoli, dei cultisti e del Necronomicon.
Yog Soggoth, Nyarlathotep,
Shub – Niggurath, Azathot...
Non evocano alcuna
lettura, alcun ricordo. La conoscenza di questi nuovi lettori è
lacunosa, frammentata: tipica di chi più che leggere un argomento e
appassionarsene, ne ha sentito parlare e dopo aver visto qualche
immagine, letto un paio di paragrafi, abbia deciso di farla propria.
Non voglio affermare che si debba dare degli esami, per dichiararsi
fan di Lovecraft. Anzi, spero che mai questi autori di nicchia
entrino nel pantheon universitario, che mummifica e ingrigisce
qualunque argomento, a dispetto del suo potenziale rivoluzionario.
Ognuno approfondisce Lovecraft quanto desidera; c'è chi lo prende a
meme, chi ne segue gli aspetti più “giocosi” e chi, come
il sottoscritto, giunge ad ammirarne la prosa cesellata e barocca.
C'è spazio per tutti, lì fuori.
La superficialità della
lettura moderna, tuttavia, cela un rischio e questo rischio è nel
distorcere, anche inconsapevolmente, la filosofia di Lovecraft. E'
noto che fosse meccanicistica, bastardamente atea e amorale,
risolutamente intenta a dimostrare come l'uomo non sia che un
granello nel Cosmo, una formica al cospetto di intelligenze aliene.
Ciò non emerge mai, nei commenti e nelle opinioni dei fan.
L'impressione contraria, invece, punta a trasformare Cthulhu in
Satana, a travestire la mitologia lovecraftiana nell'ennesimo clone
cristianeggiante, Bene vs Male. Vero che già dalla fine dell'impero
romano, il cristianesimo cercava sempre d'innestarsi su ogni sostrato
possibile, dal paganesimo, alla filosofia antica. Però in
quest'ultimo caso, il boccone, questa nuova mitologia atea di H.p.,
rischia davvero d'ingozzarla a morte. Ovviamente, ci sono precedenti.
Fu Derleth, un caro amico di Lovecraft, a presentare lo scontro tra
antichi e nuovi dei come uno scontro tra angeli e demoni. Da bravo
cattolico, Derleth non poteva sopportare l'idea che l'uomo non fosse
all'assoluto centro dell'universo. La confusione s'accresce per il
numero di pastiche e imitazioni di amici e lettori; giova ricordare
che l'universo di Lovecraft era open-source, accessibile per
sperimentazioni e rimandi.
Il documentario Lovecraft
Fear of the Unknown (2008), non è nulla di tutto questo.
Pubblicato nel 2008, ora
disponibile gratis sul progetto Open Culture, raccoglie le testimonianze
di un'ampia schiera di ammiratori di Lovecraft, da Stuart Gordon a
Neil Gaiman, raccogliendo lungo il percorso saggisti come S.T. Joshi
e padri dell'horror come Ramsey Campbell.
Si parte dalla nascita di
Lovecraft, analizzando poi i passi più importanti, dal periodo di
“buio” a vent'anni, alla pubblicazione su Weird Tales, ai
terribili due anni di povertà a New York passando di racconto in
racconto senza trascurare la produzione giovanile. Una piccola
retrospettiva verso la fine analizza il successo del fenomeno
Cthulhu, senza lontanamente immaginare che avrebbe preso proporzioni
davvero gigantesche coll'arrivo di Kickstarter e l'espandersi della
Rete.
La durata breve impedisce
che sia uno studio approfondito, tuttavia consegna un buon ritratto,
affrontando con imparzialità il problema del razzismo e citando
autori troppo spesso dimenticati, come Dunsany.
Se ogni tanto i
disegni presi dai diversi artisti possono sembrare trash, le riprese
dell'attuale Providence e della magnifica architettura gotica del 600
e 700 contribuiscono parecchio alla giusta atmosfera.
Manca la
testimonianza del Re Nero, alias Stephen King, ma va bene così. Tra
le sue idee che Cthulhu sia una gigantesca vagina e che Lovecraft non
sappia scrivere dialoghi realistici solo perché non li riempie di
parolacce dubito che avrebbe aggiunto qualcosa di utile alla
discussione. La vera pecca sono invece che mancano i sottotitoli, sia
italiani che inglesi. Le interviste sono comunque lente e gli
intervistati professori, che parlano chiaro e scandito.
Degli autori in causa,
direi che spiccano Ramsey Campbell, S.T. Joshi, Caitlin r Kiernan e
Guillermo del Toro...
Ramsey Cambell è più
famoso all'estero che in Italia, e tra le sue prime opere in gioventù
incontriamo parecchie imitazioni chiaramente cthuliane, tipico
prodotto dell'ardore di chi scopre Lovecraft per la prima volta. Le
osservazioni, specie relative ai racconti, sono nel documentario
sempre calzanti e non celano le critiche. E' famoso per
l'agghiacciante La bambola che divorò sua madre. Lo lessi
verso i sedici anni e mi impressionò parecchio. Scioccamente
all'epoca valutavo un libro in base alle dimensioni, per cui andai
avanti a idolatrare quel borghesuccio di King.
S.T. Joshi è immenso. Lo
conoscevo già per “sentito dire” e interviste in inglese e
sapevo che fosse l'autore della più titanica (anche per numero di
pagine!) biografia di Lovecraft mai pubblicata. In maggio di
quest'anno ho finalmente superato la mia pigrizia verso l'inglese e
preso la versione “condensata”: A Dreamer & A Visionary H.P.
Lovecraft in His Time. Il punto di forza di Joshi è il rifiuto di
qualsiasi idealizzazione, che supportato da un fenomenale lavoro di
ricerca lo porta a scoprire un Lovecraft diverso da certi cliché, le
cui virtù risaltano proprio perché umano. Il Lovecraft di Joshi si
evolve, cambia idee, è spesso sul punto d'imboccare una vita e una
carriera normali. Intervistato troppo poco nel documentario, avrebbe
meritato un ruolo di protagonista.
Il |
Caitlin r Kiernan è di
formazione paleontologa, ma scrive fantascienza da un bel po'.
La conoscevo già per
l'orrido adattamento romanzesco dell'altrettanto orrido film di
Beowulf.
A sua difesa, in inglese ha un range di una decina di romanzi all'attivo, tra paleo-fantascienza, horror e fantasy. Non ha davvero
senso che il suo unico biglietto di visita in Italia sia un tie-in
così mediocre. Ma d'altronde, per le leggi del marketing...
Quanto coglie Caitlin r Kiernan, è la visione a dir poco unica del tempo in Lovecraft.
Mentre la gente ragiona in anni, gli insetti in ore e gli storici in
secoli, Lovecraft è tra i pochi che ragionava in millenni.
E' questo
sforzo concettuale non da poco, che spinge in filosofia a
sbeffeggiare dogmatici e progressisti e in campo narrativo pigia
sull'acceleratore dell'horror. A rifletterci, era naturale che
un'osservazione del genere venisse da una paleontologa, uno dei pochi
campi dove ragioni con unità di tempo tanto grandi.
Ho inserito Guillermo del
Toro perché tra tanti scrittori e saggisti serviva un uomo “visivo”,
in altre parole un regista. Tutti gli intervistati, in un modo o
nell'altro sono parolai, del Toro è l'unico
fuoriclasse. Aggiungiamo che è spagnolo, e il suo inglese scolastico
pertanto piacevolmente orecchiabile. In realtà non trovo che sotto
il profilo filmico del Toro abbia girato mai un film Lovecraftiano;
le influenze che di solito si menzionano, sia in Hellboy che in
Pacific Rim sono poverissima cosa e non escono dal campo dei mostri
tentacolari.
Tuttavia, quando descrive
la vita di Lovecraft e nello specifico il rapporto con gli immigrati,
colpisce nel segno. Ed è davvero curioso, che siano proprio
gli emarginati che nella vita reale Lovecraft disprezzava, come gli
indiani (S.T. Joshi), i travestiti (Caitlin r Kiernan) e uno spagnolo messicano (del Toro) coloro che in questo documentario più sembrano
comprenderlo. Una bella ironia, che al contrario il fior fiore bianco
anglosassone continuino a disprezzarlo perché non è letteratura
alta. O ancora, che lo degradino come uno xenofobo incapace di
scrivere mainstream. Non si dice dopotutto che nessuno ti
comprende quanto il tuo nemico? O che mostro e cacciatore giungono
sempre fatalmente a riflettersi nello specchio?
Le osservazioni del buon Guillermo c'interessano anche per altri motivi più contingenti.
Largo spazio viene infatti
lasciato al capolavoro alle Montagne della Follia, che viene
dissezionato dalla cricca di scrittori e attentamente analizzato.
All'epoca non era ancora neppure un'idea di sceneggiatura, ma al
momento è sulla bocca di tutti che del Toro ne trarrà un film.
Non ho molte aspettative
al riguardo, ma la fiducia nel regista è un pochettino cresciuta,
dopo questo documentario. Se non altro sembra aver compreso i punti
di forza del racconto...
Guillermo del Toro. Come sempre esagerato, quando si tratta di scenografia... :-D |
Una delle idee più orribili era che una delle “cose” che gli scienziati avevano rubato, praticamente li aveva dissezionati... quella era una dimostrazione di curiosità e intelligenza di queste “cose”. Il senso di curiosità che queste cose avevano (…) era questo che mi spaventava di più...
Gli Antichi delle Montagne della Follia erano scienziati. Erano artisti, architetti. Sì, hanno tentacoli, hanno ali, ma sono esseri viventi intelligenti, e questa intelligenza rende il male nelle opere di Lovecraft molto più intenso.
Penso che ci sia una forte influenza lovecraftiana dalle Montagne della Follia nel primo Alien. L'idea di un astronave che essenzialmente atterra su un pianeta e trovano un astronave abbandonata delle dimensioni di una città, disabitata, con qualcosa che è ancora molto “vivo” all'interno, che aspetta e che prende il sopravvento sugli umani.
8 commenti:
Da vedere assolutamente *_*
Eh sì.
Fatto con insolita cura, per essere "solo" un documentario :)
Ottimo articolo, non conoscevo il documentario e vado a cercarlo su fonti opportune che magari lo propongono anche con sottotitoli in inglese!
E' vecchiotto, sarà passato inosservato per questo, credo.
Sarebbe una gran bella cosa avere i sottotitoli :P
La parlata inglese è cmq ben scandita, in particolare Neil Gaiman ha una voce davvero gradevole... sebbene non dica nulla d'originale :-D
Caitlín Kiernan ha pubblicato dodici romanzi, un saggio e un numero difficilmente calcolabile di racconti (alcuni dei quali riuniti in una decina di antologie): ha prodotto libri come Threshold, Murder of Angels, The Red Tree, Daughter of Hounds e il grandissimo The Dorwning Girl. Ricordarla solo per Beowulf è davvero unfair... :-P
Onorato del commento! :)
Purtroppo, per il solito, orribile traino cinematografico, si preferisce tradurre questi "adattamenti" piuttosto che opere ben più originali...
Interessante, non conoscevo. Purtroppo è vero, molto spesso di Lovecraft sopravvivono quei due o tre elementi che ogni scrittore, alle prime armi o "rodato", prima o poi si sente in dovere di inserire in una sua storia. Io in effetti ho conosciuto prima il filone dunsaniano di Lovecraft, grazie a un regalo azzeccato - i "racconti del sogno" o giù di lì, Newton Compton. Anzi, in realtà l'ho conosciuto con "Il colore venuto dallo spazio", grazie al vecchio Asimov, ma il discorso regge lo stesso.
La Newton Compton! :)
Ho iniziato anch'io da lì, dopo averne letto qualcosa in biblioteca; forse è la scelta migliore perché altrimenti nelle altre edizioni i racconti e le opere sono sparse qua e là in modo piuttosto confuso. Adesso nella mia testa il passo successivo è tornare a rileggere Lovecraft in lingua originale, anche se temo risulterà difficilino... >.<
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