lunedì 11 agosto 2014

Lovecraft: la paura dell'ignoto (2008)


Il grande successo del Cantore di Providence rende sempre più difficile discuterne appropriatamente.
S'identifica Lovecraft con un nucleo piuttosto vago di argomenti e racconti, che costituiscono in realtà una fetta assai ristretta della sua produzione letteraria. Per i “nuovi” appassionati, il simbolo è senza dubbio Cthulhu, ormai presente nella psiche collettiva come la ciclopica silhouette di un gigante, dalla barba fatta di tentacoli. Le opere di Lovecraft andrebbero così ricondotte al solo Ciclo dei grandi Antichi, gettando via gemme come l'intero filone onirico ispirato a Dunsany, per non citare la più rozza produzione giovanile, affettuoso omaggio a Edgar Allan Poe.
Nell'ambito stesso della “mostrologia” lovecraftiana, sembra non sia possibile uscire dai cliché dei tentacoli, dei cultisti e del Necronomicon.
Yog Soggoth, Nyarlathotep, Shub – Niggurath, Azathot...
Non evocano alcuna lettura, alcun ricordo. La conoscenza di questi nuovi lettori è lacunosa, frammentata: tipica di chi più che leggere un argomento e appassionarsene, ne ha sentito parlare e dopo aver visto qualche immagine, letto un paio di paragrafi, abbia deciso di farla propria. Non voglio affermare che si debba dare degli esami, per dichiararsi fan di Lovecraft. Anzi, spero che mai questi autori di nicchia entrino nel pantheon universitario, che mummifica e ingrigisce qualunque argomento, a dispetto del suo potenziale rivoluzionario. Ognuno approfondisce Lovecraft quanto desidera; c'è chi lo prende a meme, chi ne segue gli aspetti più “giocosi” e chi, come il sottoscritto, giunge ad ammirarne la prosa cesellata e barocca. C'è spazio per tutti, lì fuori.
La superficialità della lettura moderna, tuttavia, cela un rischio e questo rischio è nel distorcere, anche inconsapevolmente, la filosofia di Lovecraft. E' noto che fosse meccanicistica, bastardamente atea e amorale, risolutamente intenta a dimostrare come l'uomo non sia che un granello nel Cosmo, una formica al cospetto di intelligenze aliene. Ciò non emerge mai, nei commenti e nelle opinioni dei fan. L'impressione contraria, invece, punta a trasformare Cthulhu in Satana, a travestire la mitologia lovecraftiana nell'ennesimo clone cristianeggiante, Bene vs Male. Vero che già dalla fine dell'impero romano, il cristianesimo cercava sempre d'innestarsi su ogni sostrato possibile, dal paganesimo, alla filosofia antica. Però in quest'ultimo caso, il boccone, questa nuova mitologia atea di H.p., rischia davvero d'ingozzarla a morte. Ovviamente, ci sono precedenti. Fu Derleth, un caro amico di Lovecraft, a presentare lo scontro tra antichi e nuovi dei come uno scontro tra angeli e demoni. Da bravo cattolico, Derleth non poteva sopportare l'idea che l'uomo non fosse all'assoluto centro dell'universo. La confusione s'accresce per il numero di pastiche e imitazioni di amici e lettori; giova ricordare che l'universo di Lovecraft era open-source, accessibile per sperimentazioni e rimandi.

Il documentario Lovecraft Fear of the Unknown (2008), non è nulla di tutto questo.

Pubblicato nel 2008, ora disponibile gratis sul progetto Open Culture, raccoglie le testimonianze di un'ampia schiera di ammiratori di Lovecraft, da Stuart Gordon a Neil Gaiman, raccogliendo lungo il percorso saggisti come S.T. Joshi e padri dell'horror come Ramsey Campbell.
Si parte dalla nascita di Lovecraft, analizzando poi i passi più importanti, dal periodo di “buio” a vent'anni, alla pubblicazione su Weird Tales, ai terribili due anni di povertà a New York passando di racconto in racconto senza trascurare la produzione giovanile. Una piccola retrospettiva verso la fine analizza il successo del fenomeno Cthulhu, senza lontanamente immaginare che avrebbe preso proporzioni davvero gigantesche coll'arrivo di Kickstarter e l'espandersi della Rete.
La durata breve impedisce che sia uno studio approfondito, tuttavia consegna un buon ritratto, affrontando con imparzialità il problema del razzismo e citando autori troppo spesso dimenticati, come Dunsany. 
Se ogni tanto i disegni presi dai diversi artisti possono sembrare trash, le riprese dell'attuale Providence e della magnifica architettura gotica del 600 e 700 contribuiscono parecchio alla giusta atmosfera. 
Manca la testimonianza del Re Nero, alias Stephen King, ma va bene così. Tra le sue idee che Cthulhu sia una gigantesca vagina e che Lovecraft non sappia scrivere dialoghi realistici solo perché non li riempie di parolacce dubito che avrebbe aggiunto qualcosa di utile alla discussione. La vera pecca sono invece che mancano i sottotitoli, sia italiani che inglesi. Le interviste sono comunque lente e gli intervistati professori, che parlano chiaro e scandito.

Degli autori in causa, direi che spiccano Ramsey Campbell, S.T. Joshi, Caitlin r Kiernan e Guillermo del Toro...

Ramsey Cambell è più famoso all'estero che in Italia, e tra le sue prime opere in gioventù incontriamo parecchie imitazioni chiaramente cthuliane, tipico prodotto dell'ardore di chi scopre Lovecraft per la prima volta. Le osservazioni, specie relative ai racconti, sono nel documentario sempre calzanti e non celano le critiche. E' famoso per l'agghiacciante La bambola che divorò sua madre. Lo lessi verso i sedici anni e mi impressionò parecchio. Scioccamente all'epoca valutavo un libro in base alle dimensioni, per cui andai avanti a idolatrare quel borghesuccio di King.

S.T. Joshi è immenso. Lo conoscevo già per “sentito dire” e interviste in inglese e sapevo che fosse l'autore della più titanica (anche per numero di pagine!) biografia di Lovecraft mai pubblicata. In maggio di quest'anno ho finalmente superato la mia pigrizia verso l'inglese e preso la versione “condensata”: A Dreamer & A Visionary H.P. Lovecraft in His Time. Il punto di forza di Joshi è il rifiuto di qualsiasi idealizzazione, che supportato da un fenomenale lavoro di ricerca lo porta a scoprire un Lovecraft diverso da certi cliché, le cui virtù risaltano proprio perché umano. Il Lovecraft di Joshi si evolve, cambia idee, è spesso sul punto d'imboccare una vita e una carriera normali. Intervistato troppo poco nel documentario, avrebbe meritato un ruolo di protagonista.

Il cultista saggista S.T. Joshi. 
Caitlin r Kiernan è di formazione paleontologa, ma scrive fantascienza da un bel po'.
La conoscevo già per l'orrido adattamento romanzesco dell'altrettanto orrido film di Beowulf. 
A sua difesa, in inglese ha un range di una decina di romanzi all'attivo, tra paleo-fantascienza, horror e fantasy. Non ha davvero senso che il suo unico biglietto di visita in Italia sia un tie-in così mediocre. Ma d'altronde, per le leggi del marketing...
Quanto coglie Caitlin r Kiernan, è la visione a dir poco unica del tempo in Lovecraft. Mentre la gente ragiona in anni, gli insetti in ore e gli storici in secoli, Lovecraft è tra i pochi che ragionava in millenni
E' questo sforzo concettuale non da poco, che spinge in filosofia a sbeffeggiare dogmatici e progressisti e in campo narrativo pigia sull'acceleratore dell'horror. A rifletterci, era naturale che un'osservazione del genere venisse da una paleontologa, uno dei pochi campi dove ragioni con unità di tempo tanto grandi.

Ho inserito Guillermo del Toro perché tra tanti scrittori e saggisti serviva un uomo “visivo”, in altre parole un regista. Tutti gli intervistati, in un modo o nell'altro sono parolai, del Toro è l'unico fuoriclasse. Aggiungiamo che è spagnolo, e il suo inglese scolastico pertanto piacevolmente orecchiabile. In realtà non trovo che sotto il profilo filmico del Toro abbia girato mai un film Lovecraftiano; le influenze che di solito si menzionano, sia in Hellboy che in Pacific Rim sono poverissima cosa e non escono dal campo dei mostri tentacolari.
Tuttavia, quando descrive la vita di Lovecraft e nello specifico il rapporto con gli immigrati, colpisce nel segno. Ed è davvero curioso, che siano proprio gli emarginati che nella vita reale Lovecraft disprezzava, come gli indiani (S.T. Joshi), i travestiti (Caitlin r Kiernan) e uno spagnolo messicano (del Toro) coloro che in questo documentario più sembrano comprenderlo. Una bella ironia, che al contrario il fior fiore bianco anglosassone continuino a disprezzarlo perché non è letteratura alta. O ancora, che lo degradino come uno xenofobo incapace di scrivere mainstream. Non si dice dopotutto che nessuno ti comprende quanto il tuo nemico? O che mostro e cacciatore giungono sempre fatalmente a riflettersi nello specchio?

Le osservazioni del buon Guillermo c'interessano anche per altri motivi più contingenti.
Largo spazio viene infatti lasciato al capolavoro alle Montagne della Follia, che viene dissezionato dalla cricca di scrittori e attentamente analizzato. All'epoca non era ancora neppure un'idea di sceneggiatura, ma al momento è sulla bocca di tutti che del Toro ne trarrà un film.
Non ho molte aspettative al riguardo, ma la fiducia nel regista è un pochettino cresciuta, dopo questo documentario. Se non altro sembra aver compreso i punti di forza del racconto...

Guillermo del Toro. Come sempre esagerato, quando si tratta di scenografia... :-D

Una delle idee più orribili era che una delle “cose” che gli scienziati avevano rubato, praticamente li aveva dissezionati... quella era una dimostrazione di curiosità e intelligenza di queste “cose”. Il senso di curiosità che queste cose avevano (…) era questo che mi spaventava di più...

Gli Antichi delle Montagne della Follia erano scienziati. Erano artisti, architetti. Sì, hanno tentacoli, hanno ali, ma sono esseri viventi intelligenti, e questa intelligenza rende il male nelle opere di Lovecraft molto più intenso.

Penso che ci sia una forte influenza lovecraftiana dalle Montagne della Follia nel primo Alien. L'idea di un astronave che essenzialmente atterra su un pianeta e trovano un astronave abbandonata delle dimensioni di una città, disabitata, con qualcosa che è ancora molto “vivo” all'interno, che aspetta e che prende il sopravvento sugli umani.


8 commenti:

Unknown ha detto...

Da vedere assolutamente *_*

Coscienza ha detto...

Eh sì.
Fatto con insolita cura, per essere "solo" un documentario :)

Matteo ha detto...

Ottimo articolo, non conoscevo il documentario e vado a cercarlo su fonti opportune che magari lo propongono anche con sottotitoli in inglese!

Coscienza ha detto...

E' vecchiotto, sarà passato inosservato per questo, credo.

Sarebbe una gran bella cosa avere i sottotitoli :P
La parlata inglese è cmq ben scandita, in particolare Neil Gaiman ha una voce davvero gradevole... sebbene non dica nulla d'originale :-D

Luca Tarenzi ha detto...

Caitlín Kiernan ha pubblicato dodici romanzi, un saggio e un numero difficilmente calcolabile di racconti (alcuni dei quali riuniti in una decina di antologie): ha prodotto libri come Threshold, Murder of Angels, The Red Tree, Daughter of Hounds e il grandissimo The Dorwning Girl. Ricordarla solo per Beowulf è davvero unfair... :-P

Coscienza ha detto...


Onorato del commento! :)

Purtroppo, per il solito, orribile traino cinematografico, si preferisce tradurre questi "adattamenti" piuttosto che opere ben più originali...

Argonauta Xeno ha detto...

Interessante, non conoscevo. Purtroppo è vero, molto spesso di Lovecraft sopravvivono quei due o tre elementi che ogni scrittore, alle prime armi o "rodato", prima o poi si sente in dovere di inserire in una sua storia. Io in effetti ho conosciuto prima il filone dunsaniano di Lovecraft, grazie a un regalo azzeccato - i "racconti del sogno" o giù di lì, Newton Compton. Anzi, in realtà l'ho conosciuto con "Il colore venuto dallo spazio", grazie al vecchio Asimov, ma il discorso regge lo stesso.

Coscienza ha detto...

La Newton Compton! :)
Ho iniziato anch'io da lì, dopo averne letto qualcosa in biblioteca; forse è la scelta migliore perché altrimenti nelle altre edizioni i racconti e le opere sono sparse qua e là in modo piuttosto confuso. Adesso nella mia testa il passo successivo è tornare a rileggere Lovecraft in lingua originale, anche se temo risulterà difficilino... >.<