"Non volevo tornare"
Quante volte l'abbiamo sentita, questa
frase?
Le vacanze ti catturano, letteralmente.
Abbandoni con stakanovista dispiacere la tua postazione di lavoro,
raccogli brontolando i tuoi sudati guadagni, stipi le valigie di beni
che non ti servono... via, in vacanza.
E se il posto è bello, il
cibo buono, la compagnia piacevole, perché tornare?
Perché tornare
a quel grigio mondo di affari burocratici, parenti serpenti,
amichette isteriche, licenziamenti?
Perché invece non restare in
vacanza, per sempre?
Febbraio, la grande bestia grigia, si era mangiato vivo Harvey Swick. E lui ora era lì, sepolto nello stomaco di quel mese opprimente, e si chiedeva se sarebbe mai riuscito a trovare una via d'uscita tra le fredde viscere che si estendevano da lì a Pasqua...
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La casa delle vacanze, copertina inglese. |
All'inizio di questo romanzo per
bambini scritto da Clive Barker, il protagonista Harvey questi
problemi non se li pone. D'altronde, è un bambino di dieci anni e nel gustosissimo monologo dell'incipit chiaramente spiega cosa lo sta uccidendo. Non è il cancro, i bulli o la guerra: è per il bambino un male assai più oscuro e temibile: la Noia. Harvey si annoia, non
sa cosa fare.
Le giornate trascorrono lente sotto la pioggia grigia dei compiti in classe, le domande dei maestri, le camminate avanti-indietro verso quel penitenziario chiamato “scuola”.
Le giornate trascorrono lente sotto la pioggia grigia dei compiti in classe, le domande dei maestri, le camminate avanti-indietro verso quel penitenziario chiamato “scuola”.
Barker coglie molto bene la forma
mentis di un fanciullo undicenne o giù di lì: sempre garbato
nello stile, riesce tuttavia a trasmettere quel senso di Noia che già
aggrediva Leopardi e che tutt'ora ricordo trascinava certe mie
giornate da bambino. Ricordo che in terza o quarta elementare c'erano
settimane dove non avevo altro da fare che ripetere gli stessi
giochi, ancora e ancora fino allo sfinimento. Il tedio che può
provare un bambino è terribile, perché non hai nessuna delle
distrazioni di un adulto, o in mancanza di meglio, delle sue
preoccupazioni. Non hai nulla, se non un vago senso di nausea.
Un esempio eccellente di un dialogo
infantile e di una capacità di Clive Barker di comprendere il mondo
dell'infanzia senza raddolcirlo è dato dal dialogo tra Harvey e sua
madre:
«Non dovresti perdere il tuo tempo a star seduto qui,» gli disse la mamma quando lo colse a guardare le gocce che si rincorrevano sul vetro della finestra della sua cameretta.
«Non ho niente di meglio da fare,» rispose Harvey senza neppure voltarsi.
«Bene, allora potresti renderti utile,» ribatté la mamma.
Harvey alzò le spalle. Utile? Era un altro modo di dire «lavoro faticoso». Saltò in piedi sciorinando le sue scuse - non aveva fatto questo, non aveva fatto quello - ma era troppo tardi.
Quante
volte abbiamo sentito scambi del genere?
Sono piccole chicche, che
certamente non definiscono un romanzo, ma denotano una finezza
psicologica e una capacità di osservazione notevole. Ha mai scritto
la Rowling nulla del genere? Dal dolciume marcio di Harry Potter
all'insensata violenza del Seggio Vacante, la Rowling rimbalza contro il muro
dell'infanzia con tutta l'ottusità degli adulti.