Fioccano le recensioni, ovunque.
Quindi mi son detto: resistiamo. Questo
non è un blog di cinema.
Io non ho un "percorso di studi
universitario con le necessarie qualifiche per valutare criticamente
un film" come spesso ci ricordano i molteplici critici di
professione sulla Rete.
Quindi, sapete che faccio?
Ci metto il sottotitolo impressioni, e
di Pacific Rim parlo comunque.
Prendiamola alla larga.
Quando verso gli undici anni guardavo
al cinema Il signore degli Anelli non riuscivo a raccapezzarmi per
certi dettagli, certi particolari. Li scomponevo, li analizzavo
inconsciamente e concludevo sempre con un vigoroso cenno del capo. I
dettagli fanno la differenza, in un'opera fantasy. Sbaglia chi afferma
che serve solo un elevato budget, per produrre un efficace film di
fantasia, che sia l'epica medievale, o il sci- fi retard dei mech.
Conta la cura nella creazione del
mondo, conta valutare ogni minimo dettaglio.
Realismo, nella
fantasia.
Logica nella fantasia.
Occorre riconsiderare ogni singolo
fottuto elemento, ricollocarlo, contestualizzarlo,
fino a dargli
insomma un senso compiuto.
Apparirà dunque chiaro, che in un
lavoro del genere non si può procedere veloci, ma a passo lento,
circospetto. Non siamo in presenza di facili blockbuster, o
interminabili sequel uno-all'anno.
Si deve considerare ogni aspetto,
inventare un realismo logico che sia di fantasia, ma al contempo mantenga senso. Nel Signore degli Anelli, c'era un momento in cui
realizzavo questo "realismo": le mani sporche dei
protagonisti. Ci avrete fatto caso, nelle sequenze in cui Frodo infila
l'anello, o le mani di Aragorn si stringono sulla spada; le unghie
sono sudicie, spezzate con disgustosi bordini neri.
Una simile estrema cura del dettaglio
nella fantasia, del realismo nella simulazione emerge prepotentemente
in Pacific Rim. Non solo nella cura maniacale dei robottoni, nel
design entusiasmante, ma utilitaristico in cui si ha la chiara
percezione che Ogni Singolo Pezzo abbia la sua funzione, il suo
preciso motivo. Ma nell'ambientazione al collasso, in questa
pre-apocalisse di colori sgargianti.
Prendete l'incipit. Breve, conciso,
efficace.
La voce in sottofondo può suonare ridondante, ma la
sequenza d'inquadrature è perfetta, mirabile.
Riassunto stoico di un sopravvissuto, la
catapulta in un altro mondo ha centrato perfettamente l'obiettivo.
Prendete gli ambienti sporchi e sudici
della prima porzione del film, le masse dei lavoratori ipersfruttati,
gli scorci di pura disperazione prima che il protagonista venga
strappato al suo stesso auto-imposto esilio.
Prendete l'Hong Kong della parte
centrale; paradiso di luci e pubblicità stroboscopiche in
un'ambientazione finalmente fumettosa nel senso di cartaceo consunto,
di esagerazioni che solo dalla penna di un disegnatore possono
uscire.
Prendete l'attore feticcio Ron Perlman,
che si presenta non come un personaggio, non come un'attore, ma come
un'action figure, una miniatura vivente. Coltello a serramanico,
occhialoni neri, scarpe ferrate coll'oro: non vi starete davvero
chiedendo se Guillermo sia serio in quel momento.
E' chiaro, che la pretesa di ammorbare
il film con il pretenzioso introspezionismo psicologico di Nolan non
c'è. E non tenta neppure d'esserci: viene cacciato via, a calci in
culo come merita.
A parole davvero fatico a spiegarlo;
perchè Pacific Rim è irrealistico se scomposto nelle sue singole
parti, ma è ultrarealista se considerato a trecentosessanta gradi.
Il dettaglio, di nuovo.
Il dettaglio
che compie la differenza.
In questo senso, andrò controcorrente,
ma la trama di Pacific Rim se considerata a mente fredda è
fantastica. Sul serio, è perfetta per un film di questo tenore.
Se siete riusciti a seguire i miei
contorti ragionamenti, sarete arrivati dunque a comprendere come
Pacific Rim non sia solo un film; ma sia una mitopoiesi.
Guillermo non ha diretto un film, ha
creato un nuovo mondo.
Un mondo con una sua logica interna, un
suo carattere, una sua personale anima.
Considerando dunque quanto bene questo mondo
viva, e quanto bene funzioni- si giunge a un'altra naturale conseguenza:
questo è un film- mito. Non nel senso di cult, ma nel senso
antropologico: fabbricatore di archetipi, creatore di nuove fiabe,
miti da seguire e tramandare. Attenzione! Questo non vuol dire che
l'universo di Pacific Rim sia originale; esattamente come Lovecraft è
diventato mitopoietico agendo sulle solidissime basi di Machen, Poe e
molti altri capostipiti, Guillermo ruba a piene mani dall'immaginario
giapponese anni 80, quando ancora l'oriente non larvava nel suo brodo
di emo e sequel.
Ma ancora: Pacific Rim è diverso.
Prende, ma
rimodella, e diventa mito.
Se sarete giunti a comprendere questo
passaggio, capirete allora quanto e come criticare Pacific Rim
per la trama sia più che risibile; sia stupido, d'accecato
mentalmente.
Un film-mito Deve nutrirsi d'archetipi.
I personaggi Devono essere stupidi, Devono comportarsi come nel
miglior copione tradizionale, come se agissero i personaggi di una
fiaba primordiale.
In questo senso la scelta di Guillermo
di copia-incolla dei cliché e degli stereotipi di Tv tropes appare necessaria e obbligatoria. Le menate psicologiche, i discorsi sulla
patria e sull'onore; non avrebbero funzionato. Kaputt, critica
nolaniana. Kaputt, critica sociale.
Questo è un mito. Come insegnano
Lovecraft- Houellebecq la realtà non c'interessa. Le fini strizzate
d'occhio alla politica, i sottintesi ideologici... Vi prego, davvero.
Gettateli nel cesso.
Stiamo lavorando con mitemi, unità
primordiali.
La realtà che ci circonda non ha
potere in questo luogo.
mitema-gnocca |
A voler calcare la mano; sarebbe
ingenuo pensare che i due scienziati di contorno siano stereotipi
perché il regista era stufo, lo sceneggiatore un coglione. Uno
stereotipo spinto così all'estremo non s'incontra per caso; ma
svolge la sua precisa funzione di servitore magico, di nanerottolo
che soccorre il protagonista. Matematico e biologo sono in Pacific
Rim la fata turchina della Disney.
Avrete dunque compreso: per me Pacific
Rim è un ottimo film.
A giudicare dagli incassi, trionfa
invece "Un weekend da bamboccioni 2".
Umh.
Che volete che vi dica, c'è chi
preferisce l'oro e chi la merda.
Son gusti.
4 commenti:
Davvero una bella recensione, mi hai convinto a vederlo.
Oh grazie! Fammi poi sapere che ne pensi, che sono curioso ^^
"Conta la cura nella creazione del mondo, conta valutare ogni minimo dettaglio.
Realismo, nella fantasia. Logica nella fantasia. Occorre riconsiderare ogni singolo fottuto elemento, ricollocarlo, contestualizzarlo, fino a dargli insomma un senso compiuto. Apparirà dunque chiaro, che in un lavoro del genere non si può procedere veloci, ma a passo lento, circospetto. Non siamo in presenza di facili blockbuster, o interminabili sequel uno-all'anno. Si deve considerare ogni aspetto, inventare un realismo logico che sia di fantasia, ma al contempo mantenga senso (...) Una simile estrema cura del dettaglio nella fantasia, del realismo nella simulazione emerge prepotentemente in Pacific Rim. Non solo nella cura maniacale dei robottoni, nel design entusiasmante, ma utilitaristico in cui si ha la chiara percezione che Ogni Singolo Pezzo abbia la sua funzione, il suo preciso motivo. Ma nell'ambientazione al collasso, in questa pre-apocalisse di colori sgargianti."
ESATTAMENTE ciò che ho pensato io!
P.s. eh, Mako...
Kikuchi ha sempre il suo perchè :D
E nell'armatura da pilota di Jaeger è splendida *____*
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