Il secondo ha già la sua prima stesura, che vi presento per non affaticarvi troppo in tre parti. E' una sorta di gioco a incastri, un esperimento di piani che s'incrociano e intersecano.
Commentate che vi sembra ^__^
Incontro galante (titolo provvisorio)
Sorseggiava il thè con mano percorsa
da piccoli tremiti.
“ Ancora mezz'ora, poi finalmente!
Vederla, a tutti gli effetti. Un vero appuntamento! Non più incontri
informali, lunghe ore a chattare, interminabili lettere scambiate via
posta pneumatica! Vedersi, vedersi sul serio”.
Al pensiero, chiuse gli occhi, respirò
a fondo. Svuotò le ultime gocce del thè nel lavabo della cucina.
Lisciò qualche invisibile piega nella camicia bianca, infilò con
destrezza consumata la giacca in tweed, prima di assestare sulle
ventitré quella paglietta che tanto successo andava incontrando
nell'estate parigina. Impugnò il bastone, controllò con improvvisa
torsione del polso che la lama nascosta scattasse come sempre, oliata
alla perfezione.
“ La crisi dell'industria siderurgica
ha colpito duro. Perdio, la competizione oltremare è insostenibile,
ormai! “ Scosse la testa. “ Quanti poveracci disperati, per le
strade “.
Uscì di casa fischiettando allegro.
Nell'attimo che mise il primo piede
sul marciapiede ansimò, poi aggrappato come un vecchio al bastone
per poco non scivolò a terra, le ginocchia che tremavano. Ansimò.
Il cuore batteva peggio di un tamburo turco. Una strada di asfalto e
fango, dove sfrecciavano automobili insozzate di luccicanti messaggi
pubblicitari. Grattacieli diroccati e immensi, dalle nervature di
contrafforti e archi lisci e minimali, agitate all'occasione da
vivaci spot pubblicitari. Nel sudiciume di cartucce scariche di
sigarette elettroniche, gomme da masticare e cartoni della pizza,
sedeva accovacciato un mendicante dalla mano protesa.
<< Licenziato per
riassetto quadri aziendali. Fame! >>
Sotto gli occhi allucinati dell'uomo,
il mendicante afferrò per la gamba un'impiegata che camminava
veloce, cartellina sotto braccio. Poi alle urla della donna, cavò
fuori la scheggia affilata di un vecchio i-phone distrutto.
Alla scena, l'uomo si strofinò le
palpebre con disperata frenesia. Le automobili scomparvero, la folla
sudata in t-shirt piene di loghi, minigonne e sandali di
plasticaccia, pure. Ora un onesto via vai di popolane, dalle gonne
che lisciavano un gentile acciottolato di porfido affollavano la
strada. Un guazzabuglio di calessi e carrozze delle più svariate
fogge sfrecciavano a velocità impensabile sul selciato.
“Ah, meglio. Molto meglio. “.
Il medicante ora esibiva una giacca a
due code unta e stracciata, con la gamba sinistra amputata da una
palla di cannone della Guerra in Crimea. Maneggiava la scheggia
affilata di una bottiglia di whisky di scarsa qualità. L'impiegata
tuttavia, era ancora in minigonna e cartellina, con all'orecchio un
auricolare per cellulare. L'uomo storse il naso, irritato.
“Sbavature, bug. Tornano sempre”.
Con passo veloce raggiunse i due
protagonisti, minacciò col bastone sollevato:
- Pezzente plebeo! Minacciare così una
fanciulla indifesa! -
Il mendicante lo fissò con occhi
socchiusi, infastiditi.
- Cazzo vuoi, merdaccia? -
L'uomo trattenne l'impulso di sputargli
in faccia. Avvertii un crepitio alle orecchie, mentre la vista per
una seconda volta vacillava.
- Perdio, nobilotto tisico dei miei
stivali, vattene, che non è posto per te questo! - Cambiò voce il
mendicante, prima di mirare ai tendini dell'impiegata. In
quell'istante l'uomo menò una randellata, cercando al contempo di
afferrare al braccio l'impiegata oggetto di contesa.
La scheggia
dell'i-phone scivolò sanguinante sulla coscia della vittima. Il
mendicante cercò di alzarsi, ma l'uomo aveva già allineato la punta
del bastone al petto del nemico. Ruotò il polso, la lama fuoriuscì
con schizzo di sangue dritta nel polmone destro, inchiodando il
barbone al cemento.
L'uomo si chinò, frugò nelle tasche
del mendicante. Rinvenne la tessera magnetica, che porse
all'impiegata.
- La presenti al Municipio, e riscuota i soldi della
taglia. Sono sempre felici, quando ci liberiamo dei senzatetto - Poi,
in tono cavalleresco, aggiunse – Si tenga pure tutti soldi, a me
non servono -
Voltò la testa, ma l'impiegata era già
salita su un taxi, scomparsa nel caos urbano. Mugugnando
un'imprecazione, chiamò una carrozza, che arrivò con strombazzare
di lampeggianti.
Aveva un appuntamento, dopotutto.
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La ragazza arrotolò l'involucro di carta sottile, c'infilò un filtro tratto dal cartoncino del biglietto dell'autobus.
Ruotò la rotellina dell'accendino, accese la canna con lieve sfrigolio.
Tirò un paio di volte, prima di passarla a Teresa, che soffiò un paio di volte, per poi aspirare. Chiuse gli occhi, rilassò con soddisfacente scricchiolio di vertebre la schiena sull'albero.
- Che ti sembra? -
- Non male, mi è capitato di peggio – Teresa lanciò via la coroncina di fiorellini e edera dalla fronte, giocherellò con il ciondolo celtico che teneva sul petto florido. Esitò. - Tu credi davvero che mi convenga andare? Sai, è simpatico, galante, e tutto... Ma -
La compagna di fumate finì di frugare nella bisaccia con simboli sciamanici della wikka, alzò un sopracciglio tinto di viola, incredula.
- Galante? E per la Grande Madre, che vorrebbe dire? Comunque, se lo trovi solo “simpatico” io lascerei perdere... Quando ti dicono che sei simpatico, vuol dire che ti considerano una merdaccia insignificante, nient'altro... -
- Non intendevo questo. Mi piace, davvero. Solo, il suo universo è talmente cupo. Tinte color notte, cappelli a tuba e tutte quelle ciminiere che vomitano fumo... -
- Beh, adora la Londra vittoriana. Son gusti -
- Non vorrei che intralciasse col nostro rapporto -
- Senti: al massimo, mal che vada, gli dici che non sei il suo tipo, d'accordo? -
Teresa ridacchiò, incerta. Spense il mozzicone fumante sul vassoio d'argento, si accovacciò a terra. Afferrò un pentolino, ci versò qualche oncia dell'acqua di fiume raccolta all'alba. La compagna preparava un cerchio di pietre per il fuoco, allineando una serie di rocce e accatastando sottili fuscelli secchi. Teresa armeggiò con l'accendino, soffiando lentamente accese il fuoco che scoppiettò vivace. Dopo qualche minuto, l'acqua nel pentolino gorgogliava. Teresa ci gettò dentro un pugno di riso, l'amica aggiunse diverse spezie e un pizzico di sale.
- Dobbiamo proprio farlo? - Sospirò poi, guardando il magro spuntino. - Potremmo per una volta portarci qualcosa dal Burger King -
- Secondo i programmatori, presto modderanno pure quel ristorante. Solo non è una passeggiata camuffare tutta quella roba -
- Yep. Per noi fissate con il medioevo celtico, è sempre un gran casino -
- Puoi sempre passare a qualche altro universo, se vuoi -
- No, no. Piace a te, piace a me. - la ragazza agitò la mano, indicò il panorama giallo e verde.
Un prato stormiva sotto i raggi di un Sole dai caratteri antropomorfi, denti e occhi tracciati a colpi di acquerello. Il tronco a cui Teresa stava appoggiata risultava una quercia secolare.
Qualcuno aveva scavato nella corteccia, esponendo un volto tribale, che sorrideva benevolo.
Un coniglio rosa saltellò nell'erba, esibì una capriola con mani umane.
Uno gnomo fumava una pipa nascosto nell'anfratto di una roccia carsica; panciotto giallo brillante e occhio velato dal fumo.
Teresa impugnò l'arco vicino alla tenda, incoccò una freccia dalle piume spelacchiate. Aveva individuato un goblin delle caverne ronfare su un tavolone per i picnic. Doveva essere arrivato lì da poco, forse profittando del cambio di portineria all'entrata del parco.
Teresa prese la mira, socchiuse l'occhio destro.
- Scommessa che lo accoppo al primo colpo? - Propose.
- Neanche per sogno, tanto vinci sempre tu -
Il goblin continuava a dormire, cartoni della pizza sotto il giubbotto borchiato, con il piede sul carrello arrugginito della spesa, pieno di cianfrusaglie. La freccia scivolò in avanti, traforò la trachea come un sughello nel legno. Il goblin spalancò occhi umani, poi tacque.
- Dai, ti lascio la sua tessera magnetica, se vuoi -
- Uff. La generosità dei vincitori. Tanto ormai, dalle taglie dei senzatetto ci ricavi poco o nulla. Allora, ci vai o no, a quest'appuntamento? -
- Ecco... Io – Teresa spalancò gli occhi, molleggiò sui piedi.
L'amica sorrise: gioiva che una simile guerriera fosse preda della timidezza.
- Eddai, non ti mangia mica. Peggio che va, ci ricaverai una cena gratis. Non è poco, per chi vive nel parco come noi -
L'argomento utilitaristico sembrò far breccia. Teresa annuì lentamente, poi mise da parte l'arco e imbracciò lo zaino.
- Cavalcherai il verme sotterraneo? - Chiese la ragazza, indicando le viscere di una miniera abbandonata. Nel profondo, si potevano sentire luci e rumori, assieme al suono dei biglietti che venivano timbrati e il ritmico sferragliare della metropolitana.
- Non credo. Sta diventando sempre più insicuro. E quei berretti rossi che ti controllano il biglietto si fanno sempre più invadenti. Andrò a piedi! -
- Mi raccomando, scroccagli una grossa cena, se ci riesci! -
Teresa annuì, poi cominciò a correre negli stretti sentieri erbosi del parco cittadino.
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Enrico deglutì, inghiottì l'ultimo sorso di spritz. Il caldo picchiava duro quel giorno, pensò.
Arrotolò le maniche della camicia, guardò la strada. Il calore arroventava i profili dei grattacieli, mentre poche anime in pena si strascicavano sotto il sole rovente, quaderni sotto braccio.
Studenti. In attesa di passare l'ennesimo esame dell'ennesima, inutile laurea.
" Cosa che mi andrebbe alla grande, se solo non fossi Uno di quegli studenti..."
All'angolo della strada, a pochi passi dal ristorante intravide il profilo affilato di un gentleman con lenti a specchio. Stava fumando il mozzicone di un sigaro, assaporando ogni boccata. Quando passò una signora di mezz'età con la borsa della spesa, si tolse la paglierina ed esibì un mezzo inchino.
- Pazzi. Tutti pazzi. - Borbottò l'amico, versando qualche goccio di birra nel bicchiere sporco – Ma l'hai visto? Una volta si limitavano a starsene in casa, a giocare solo lì. Ora sono convinti di vivere in un altro mondo. Basta camuffare tutto, modificare, nascondere. Ma la realtà, ogni tanto trapela -
- E io che pensavo che i Google Glass fossero una cazzata – Ammise Enrico, con cenno della testa.
Ordinò un secondo spritz al cameriere africano, che annuì sorridente.
- Non in tempi di crisi economica. Non quando puoi ammazzare chi è povero, e riscuotere i soldi. Non quando il mondo diventa sempre più simile a un'opera allucinata di Philip Dick... -
- Già. - Umberto succhiò dalla cannuccia, sputò in un fazzoletto – Molto meglio infilarsi un paio di occhiali, e camuffare quello che vedi. Gli occhiali sovrapponevano sullo schermo all'inizio le chiamate, le notazioni via facebook. Poi si è cominciato a modificare le lenti, a programmarle perché nascondessero la realtà, quella vera. Cambiare, nascondere. E tutto grazie a un misero paio d'occhiali. In un certo senso, è un meccanismo psicologico così umano. -
Osservò il gentleman, che controllava l'ora da un cipollone damascato in argento. Occhiali avvolgenti sul naso, bastone sotto il braccio: completamente in pace con sé stesso. Gli veniva voglia di avvicinarsi, sbattergli sul muso quel bastone dandy, rotolare nel fango quel panciotto senza chiazze di sudore.
“ Maledetta invidia “ .
Bestemmiò, voltò la testa. Dal lato opposto della strada, camminava veloce una ragazza con zaino mimetico, giubbotto di pelle sfrangiata e un arco incoccato sulla spalla.
- Tette piccole – Mugugnò a orecchie basse l'amico, svuotando il bicchiere.
- Sempre così volgare. Invece ha un bellissimo tatuaggio, sulla guancia destra. Credo sia appassionata di celti, e tutte quelle cose hyppie. -
- Canne, rituali e orgie -
- Sei una mente chiusa, amico mio. Chiusa e piena di stereotipi -
- Cosa, ti piacciono le ragazze new age, adesso? Guarda che quella è già impegnata con lo svalvolato vittoriano... -
Il gentleman si era voltato in direzione dei passi, aveva lasciato cadere il bastone. Agli ultimi metri, la ragazza cominciò a correre. Si abbracciarono, si baciarono peggio di due ventose adesive.
- Sembrano felici. E noi, ultimi baluardi della realtà dura e pura, di questa... - Proclamò Enrico, con tono d'oratore stoico. Il compagno sospirò, scosse la testa. Trafficò con l'asticella degli occhiali avvolgenti che teneva sul naso.
- Enrico, dobbiamo proprio. La birra, le battute ciniche al bar, fingere ancora la vecchia crisi economica del ventunesimo secolo... Ti crogioli nell'autocommiserazione, nient'altro -
- A te piace -
- Piaceva, giocare a questo gioco – Allontanò la birra, indicò gli occhiali – Dobbiamo andare, la navetta trasporto partirà fra meno di un'ora -
- Addio – Mormorò Enrico. Guardò per un'ultima volta la distesa di sigarette elettroniche, auto scassate e cani randagi. Contemplò per un'ultima volta la coppia che amoreggiava trionfante. Staccò l'asticella degli occhiali Google Glass, sbatté le palpebre.
Il tentacolo del poliploide dell'ammasso Andromeda baciava con la forza di una ventosa la piramide dorata di un'umanoide dell'ammasso di Stella Doppia. Un automata dalle fattezze modellate ai tratti negroidi dell'Africa centrale ritirava gli scartocci vuoti di un paio di succhi di frutta all'aroma di luppolo. Enrico raccolse le forze, e fluttuando nell'aria a gravità zero della Stazione orbitale, seguì l'amico verso la stiva della navetta trasporto. Mentre volava, reinfilò gli occhiali con smorfia di sollievo. Il gentleman stava conducendo la ragazza nel ristorante, con galante gesto del tentacolo... Braccio.
Sorridendo, Enrico sorpassò la coppia aliena/umana e lanciò un gesto di saluto.
“ Cos'è la realtà? Percezione, nient'altro “.
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