giovedì 26 dicembre 2019

Tenoch, di Andrea Berneschi. Un Ulisse azteco contro gli dei di Lovecraft


Megalitiche piramidi innalzate al cielo.
Cuori pulsanti strappati dai toraci di schiavi urlanti, offerti in dono a un sole del colore del sangue.
Giungle profonde capaci di mascherare intere capitali, intere civiltà cresciute a forza di carne umana e coraggio in battaglia.
È lo scenario dipinto con toni sanguigni, ma scientificamente accurati da Andrea Berneschi con “Tenoch, maledetto dagli dei”.

Lo scenario è quello della civiltà azteca e dei popoli precolombiani nel XV secolo, prima dell'arrivo dei conquistadores. Berneschi tratteggia una civiltà azteca credibile e storicamente fondata, mescolando la saggistica alla lezione dell'Azteco di Gary Jennings. La tecnologia di questa civiltà azteca, in perenne guerra contro i popoli barbari per catturare schiavi e sfogare le faide interne, è quella dell'età della pietra, sebbene con la novità di una magia realmente funzionante. Il pantheon azteco qui esiste realmente e non si fa problemi a intervenire nelle vite dei suoi sudditi, dando consigli, poteri o maledizioni. E accanto alla sete di sangue degli dei “normali”, non possono mancare entità decisamente più oscure che potremmo definire lovecraftiane.

Il protagonista di questo mondo di guerrieri e maghi, tuttavia, è un aspirante mercante, un liberista ante litteram: Tenoch infatti proviene dal ceto di commercianti. Giovane capace all'occorrenza di combattere con ardore, vive solo per esplorare e stipulare affari, sfruttando la propria intelligenza per nuove operazioni commerciali l'una più ingegnosa dell'altra. È l'archetipo del mercante operoso e instancabile, contrapposto alla vanità dei soldati e alla pigrizia del clero. Tenoch però non è interessato solo a guadagnare, perché in realtà è un uomo curioso, continuamente proteso a scoprire come funzioni il mondo. In tal senso comprende in sé stesso il carattere tanto dell'esploratore/scienziato quanto del mercante. Alessandro Iascy, nell'introduzione, lo paragonava assai felicemente a Ulisse dell'Odissea.






L'avventura di Tenoch inizia quando, al seguito dell'esercito azteco, deve catturare il suo primo prigioniero per garantire il suo ingresso nell'età adulta e nella casta dei guerrieri. L'esercito si avvicina alla città nemica, la conquista con grande spargimento di sangue; tuttavia Tenoch, attento come sempre agli affari, adocchia un tempio nascosto, defilato dal caos nelle strade...
Sarà una scelta destinata a sconvolgergli la vita e a dotarlo di poteri (e maledizioni) tali da farlo andare oltre l'umano.

Andrea Berneschi replica, come nel racconto di “Mediterranea”, uno stile di scrittura asciutto e conciso. Mai in tutte le pagine della novella, Berneschi cede a esagerazioni, a espedienti retorici, a chiusure affrettate. Non c'è frase che non sia equilibrata. Se bisogna proprio cercare un difetto, alcune volte lo stile è freddo, fatica a trasmettere i sentimenti dei personaggi.
Ci si sente distanti.

Passando però dalle singole frasi all'esposizione vera e propria, il mondo di Tenoch viene presentato a piccoli passi, con tanti, gustosi, dettagli. Sono totalmente assenti gli infodump, i dialoghi mascherati da lunghe esposizioni, gli eccessi di nomi.
Goccia dopo goccia, questo mondo insanguinato e tropicale si svela lentamente al lettore che ha tutto il tempo di familiarizzare con i diversi personaggi.
Ho trovato geniale come elementi assolutamente disturbanti della società azteca vengano presentati come normali, anzi accennati qui e lì tra le righe. Tenoch, ad esempio, in seguito a una vittoria, mangia la carne dei suoi nemici, ma questo traumatico fatto viene presentato come collaterale all'azione e ai dialoghi. Sì, Tenoch è un azteco e dunque un cannibale. Let's move on.

L'intelligenza di Tenoch e il suo rifiuto delle armi lo trasformano in un protagonista simpatico e interessante che raramente annoia il lettore. L'armamentario di Tenoch prevede l'utilizzo di semi in grado di aprire portali interdimensionali quando seppelliti dentro un cadavere.
Tenoch pertanto viaggia tra i mondi, ricorda in tal senso gli eroi di Michael Moorcock.
La debolezza nella guerra viene inoltre contraccambiata dall'utilizzo di maschere tribali, armature e mazze magiche. Lo stesso Tenoch, a sua volta, considera il combattimento come un affare scientifico e razionale che progetta e pianifica accuratamente. Berneschi utilizza quella pre visualizzazione caratteristica di film quali Sherlock Holmes o Batman, laddove ogni mossa viene pensata dal protagonista in anticipo con l'obiettivo d'infliggere il massimo danno.

Le scene dei combattimenti di massa restituiscono pienamente l'impatto brutale delle armi azteche: dalla pelle lacerata, dalle rotule frantumate, alle fontane di sangue arterioso. In alcuni frangenti la scena straborda dalla pagina, mentre una furia berserker assale gli aztechi, colti da una terribile smania di uccidere, uccidere e uccidere.

Alcuni Mexica sembravano letteralmente impazziti. Un Cuachicqueh, preso dalla frenesia, si spinse dove i nemici erano più fitti e finì massacrato in pochi istanti, lasciando a terra un torso decapitato e senza braccia. Poco più avanti, un guerriero Giaguaro dal viso imbrattato di sangue si gettò tra i Chalca con la stessa sicurezza con cui un agricoltore entra in un campo di mais, e a grandi fendenti si fece intorno uno spazio larghissimo. Nessuno aveva il coraggio di andargli vicino; lo bersagliavano con lance e frecce, come si fa con le bestie feroci; non riuscirono a prenderlo solo perché si spostava in continuazione, non stava mai fermo.

Questa brutalità trova poi il suo naturale proseguo con i diversi mostri di volta in volta affrontati da Tenoch, descritti realisticamente e con un gusto per l'orrido e lo splatter notevole.
Merita particolarmente, in tal senso, l'ultimo capitolo, con un Tenoch che viaggia in una dimensione infernale, descritta con una proprietà di linguaggio tale da far rabbrividire.
E a proposito degli altri mondi  visitati da Tenoch, ho apprezzato come il focus sia sulla diversa cultura, sulla diversa forma mentis di queste “altre” civiltà. La prima, ad esempio, vede la magia come una risorsa e impiega una casta di scienziati/sacerdoti intenti a scoprire come migliorare le condizioni del proprio paese. Quanto sembra a noi occidentali “normale”, appare invece bizzarro e incomprensibile per un azteco quale Tenoch e ancor più per suo fratello.

I primi giorni Mazatl guardava con meraviglia ogni persona e ogni usanza sconosciuta a Tenochtitlan: le donne nobili passeggiavano portando al guinzaglio grandi giaguari dal pelo azzurro; di fianco alle piramidi suonavano speciali gruppi di cantori ciechi, a cui gli occhi erano stati rimpiazzati nelle orbite con pietre bianche e lucenti; la stregoneria non era vietata come nel loro mondo, per cui si potevano vedere a ogni angolo di strada strani uomini dal corpo seminudo decorato di cicatrici che si impegnavano in trucchi e prodigi per attirare l’attenzione di clienti.

Tenoch spiega a suo fratello, Mazatl, quale differenza passi tra il loro impero, intrappolato dentro guerre senza fine e quello strano regno al di là dello spazio e del tempo:

Nel posto che ho visitato, la guerra e la religione rivestono un’importanza molto defilata rispetto alle… non saprei come chiamarle… scoperte di cose nuove. Pensa, il loro Tlatoani mantiene dei sacerdoti solo perché facciano ricerche su come migliorare gli oggetti di uso comune. Non pregano nemmeno gli Dei, cercano solo di costruire nuovi oggetti. Pazzesco, vero?

Questa diversità offrirà poi, verso la fine della novella, l'occasione per una scena che chiaramente strizza l'occhio alla società dello spettacolo di Debord e al ruolo negativo dei mass media e dell'intrattenimento. L'ho trovata calzante, anche se banale.

Una tribù di gusto maya dal videogioco Six Ages: Ride Like The Wind
Concludendo, “Tenoch. Maledetto dagli dei” colpisce per tre elementi gestiti con grande maestria: in primis il setting azteco, descritto con naturalezza e senza pesantezze storiciste.
In secondo luogo per la fluidità dello stile di scrittura, senza particolari stacchi o superflui virtuosismi.
Infine, terzo e ultimo elemento, per aver mescolato alla perfezione pantheon azteco e lovecraftiano. Una combinazione che mi ha lasciato stupefatto, perché suona “naturale”, come se i due pantheon fossero pensati l'uno per l'altro.

Bibliografia
Tenoch, maledetto dagli dei, di Andrea Berneschi (Amazon)
L'officina di Andrea Berneschi (Blog dell'autore)
Heroic Fantasy Italia. A cura di Alessandro Iascy e Giorgio Smojver (Delos Digital).

2 commenti:

Francesco Pelosi ha detto...

Ciao @Coscienza, torno a scriverti (l'avevo già fatto in calce alle tue note su Providence qualche mese fa) per segnalarti un mio articolo dove metto a confronto proprio Providence con Promethea, altra opera di Moore a cui ho dedicato un lungo approfondimento pubblicato a puntate su Lo Spazio Bianco. Oggi è uscita la quinta parte dove c'è il suddetto confronto e dove, in calce, ho citato il tuo blog come passaggio necessario per addentrarsi al meglio in Providence. Ti lascio qui sotto il link. A presto e grazie ancora per il tuo lavoro (a breve, smaltite un pò di letture arretrate) mi ributterò in Nemo ma con l'ausilio delle tue note.

https://www.lospaziobianco.it/dcifrare-promethea-quinta-parte-fearful-simmetry/

Coscienza ha detto...


Ciao @Francesco

Grazie del link, sembra una lettura davvero interessante.

Mi ha fatto piacere essere poi tra le citazioni in compagnia di Obsidian Mirror, blog che ritengo eccellente.