mercoledì 13 maggio 2015

La Cthulhu Apocalypse: Lovecraft's Innsmouth di Claudio Vergnani e R'Lyeh: Dal Profondo, di Daniele Picciuti.


La Cthulhu Apocalypse è finalmente arrivata.
Negli ultimi mesi la Dunwich Edizioni ha lanciato una nuova serie di romanzi lovecraftiani, che partono dal caciarone presupposto che tutto quanto il buon H. P. ha scritto sia tratto da fatti reali e che dunque Cthulhu, Shoggoth, Dagon&compagnia sono vivi e reali, pronti a sbranare l'umanità pezzo per pezzo. L'esistenza di queste creature è tenuta segreta solo dal duro lavoro di un Ordine di Custodi, che vigila su questa terribile verità. L'idea, che sa un po' d'action dell'Asylum, è tuttavia narrata con notevole abilità nelle prime due novelle della serie, Lovecraft's Innsmouth, di Claudio Vergnani e R'Lyeh: Dal Profondo, di Daniele Picciuti.


L'idea di partenza mi sembra buona, indubbiamente furba dal punto di vista delle vendite; inserire ormai la parola “Cthulhu”, “Dunwich” e “Lovecraft” garantisce in questo periodo di revival dell'horrore cosmico almeno una vendita sicura. Non dobbiamo in questo caso aspettarci una ripresa alta del maestro di Providence, alla maniera di un Ligotti oltremare, nel caso della Cthulhu Apocalypse le atmosfere ricordano i Resident Evil, i complottismi alla Dan Brown. Non aspettatevi in queste prime due novelle il senso di annichilimento cosmico, di formica al cospetto di Dei imperscrutabili che attanaglia il lettore nelle più riuscite opere di questo filone. Ai maledetti uomini-pesce si risponde con un colpo di shotgun, all'arrivo di Dagon si detona una testata atomica.
L'etichetta Cthulhu Apocalypse può inoltre trarre in inganno, dipingendo nella mente del lettore scenari d'incubo da fine dei tempi, d'Apocalisse appunto. Al contrario, la Cthulhu Apocalypse della Dunwich Edizioni muove le sue trame nel gioco d'ombre di congiure e società segrete. 
Nel caso di Lovecraft's Innsmouth e R'Lyeh Dal Profondo gli autori hanno scelto di riprendere protagonisti già comparsi in precedenti romanzi, “adattandoli” alla nuova minaccia soprannaturale della Cthulhu Apocalypse. Non ho ancora letto i romanzi cui gli autori fanno riferimento, pertanto mi scuso se eventuali osservazioni sui protagonisti trovano spiegazione nei volumi precedenti.

Claudio è un operaio edile in un cantiere allo sfascio, gestito da compagni tagliagole e capi aguzzini. Dopo essersi licenziato e aver rischiato l'ennesima zuffa, sceglie di lavorare come guardia del corpo assieme al suo vecchio amico Vergy, al servizio di un tranquillo professore universitario chiamato Franco Brandellini. L'anziano è un appassionato di H.P. Lovecraft, che ardentemente desidera visitare un nuovo parco giochi costruito in suo onore: Lovecraft's Innsmouth. Il parco riproduce a pochi chilometri dalla reale Innsmouth il villaggio di pescatori dell'opera “Shadow Over Innsmouth”. Ma giunti a destinazione, la nuova Disneyland si rivelerà decisamente più realistica di quanto ci si sarebbe aspettati...

Il romanzo di Vergnani, giacché il primo della serie Cthulhu Apocalypse, si accolla l'ingrato dovere di fare d'apripista per le opere successive. Di conseguenza compaiono qui le prime spiegazioni, come il primo tentativo di mettere in atto il setting escogitato dalla Dunwich edizioni.
Franco Brandellini, personaggio che ritornerà nell'opera di Piciutti, è in realtà il custode di un ordine segreto, col compito di nascondere una terribile verità: tutto quello che aveva scritto Lovecraft non è un'invenzione, non è opera di fantasia, ma trae radici dalla realtà. Gli Antichi esistono, vivono tra noi; ghoul infestano le fogne delle nostre città, mentre divinità acquatiche masticano sommergibili sul fondo degli oceani. L'idea può venir resa con toni drammatici alla Dan Brown, sprofondandola facilmente nel ridicolo. Vergnani la introduce invece poco a poco, acclimatando i suoi eroi dapprima alla finzione letteraria del racconto di Innsmouth, in seguito inserendoli nella finzione di “Luna park” e per ultimo rivelando la verità sul ruolo del “turista professore”. L'idea pertanto suona convincente, trasmessa com'è dalla voce narrante di Claudio:
«Dagon è quel pagliaccio che esce di colpo dall'acqua come una rana cui abbiano strinato il culo e si avvinghia a un obelisco falliforme emettendo versi da deficiente», riassunse Vergy.
«Un'ottima sinossi da seconda di copertina», riconobbi. «Essenzialmente, sì. »
«E il tipo che racconta la storia trova il tempo di scrivere una cosa tipo Alla finestra! Alla finestra! Prima di buttarsi di testa come un tuffatore cinese alle Olimpiadi...»
«Ancora una volta, sì.»
«Un uomo scrupoloso, niente da dire. Mi meraviglio che non abbia trovato modo di descrivere anche la quantità di merda che si è fatto nelle mutande.»
«Il libro non ne parla. Probabilmente quello è un dettaglio che ha preferito omettere.»
Vergy scosse il capo. « Certa gente legge proprio di tutto. Mi ricordo che ogni due righe c'era sempre qualcosa di mostruoso, indicibile, abnorme, blasfemo, innominabile...»
Nella struttura della trama, il primo capitolo risulta eccessivamente lungo, un po' strascicato in alcune descrizioni: nell'incipit di Claudio sotto la pioggia e pure nella descrizione “al rallentatore” dello scontro con due operai turchi e il responsabile del cantiere. Si poteva sforbiciare la descrizione, levigando un'ironia un po' esagerata. Mentre tuttavia si procede verso l'America, il trio di personaggi protagonisti funziona perfettamente: Claudio che è il punto di vista del racconto, Vergy, con una comicità sboccata, un po' alla Clerks e Brandellini, azzimato professore meno schizzinoso di quanto sembri.

La dinamica del villaggio divertimenti, di questa finta Innsmouth, gioca molto sui fan di vecchia data del maestro di Providence. Riconoscere i diversi riferimenti e le relative battute di Vergy rendono la lettura spassosa, mentre per i neofiti molte delle battute potrebbero risultare misteriose.
Nonostante la storia debba molto a uno certo sghignazzare in sottofondo, sarebbe ingiusto negare alcune descrizioni azzeccate, specie nelle descrizioni dei repellenti abitanti del villaggio:
Il tale in questione sulle spalle non aveva una testa, ma una specie di minareto squamoso dove, se l'illuminazione non fosse stata così scarsa, di sicuro avrei potuto scorgere anche il muezzin pronto alla preghiera. Non aveva labbra, ma solo una sottile fessura dagli angoli piegati verso il basso dalla quale colava una specie di mucillagine.Gli occhi erano laterali e grossi come palle da golf. Puzzava di pesce e si muoveva a fatica, piegato di lato come se dovesse ribaltarsi da un momento all'altro. Gli abiti erano indistinguibili, sporchi, strappati, pieni di pieghe e bagnati, come se fosse appena uscito dalla vasca da bagno. Mi ignorò, girò la manopola del rubinetto e ficcò in qualche modo il minareto sotto il getto. Un po' di sabbia e un'alga gli scivolarono da quella specie di prua che aveva al posto della fronte e ricaddero nel lavabo. La creatura rimase con la testa sotto l'acqua per quasi un minuto, poi si rialzò a fatica, richiuse il rubinetto con una sorta di moncherino palmato e rimase di fronte a me a fissarmi.

L'unico, vero difetto nella novella, deriva da un elemento comunque estraneo alla narrativa originale lovecraftiana: l'azione. In ogni avventura che si rispetti, nel momento in cui gli eroi ammirano le loro armi, già pregusti come le useranno, quando le useranno, quale effetto (granguignolesco) causeranno sul mostro. Nel nostro caso, coerentemente con la povertà di Claudio&Vergy le armi da fuoco sono poche, ma solide:
«Beretta M9 e coltelli da combattimento Ka-Bar in dotazione all'esercito americano», spiegò. «Più un paio di caricatori a testa. Il mio contatto è un ex marine. Roba che scotta come il peggior caso di emorroidi.»
Senza voler fare spoiler, il dipanarsi della trama raggiunge nell'ultimo capitolo una tensione insostenibile. E tuttavia, le Beretta e i Ka-Bar non verranno mai usate. E' una scelta che, soggettivamente, mi ha lasciato un po' con l'amaro in bocca. Si mantiene così il mistero d'Innsmouth, e non si lacera quell'atmosfera immobile e orrorifica che si era venuta creando: ma nel contempo si termina l'opera con un assurdo anticlimax.

Eva Ronchi lavora come assistente di regia per una trasmissione televisiva sul mistero. Dopo aver assistito per l'ennesima volta alla sconfortante episodio di un dinosauro di plastica usato come modello di Nessie, riceve un'offerta dal passato: un certo professore universitario di nome Brandellini la vuole per una spedizione a un'isola di nome R'Lyeh...

Picciuti compie un buon lavoro sul fronte dell'ambientazione: l'isola R'Lyeh è un labirinto di pietra e massi, dove la peculiare geometria non euclidea rinchiude le vittime urlanti in un dedalo di corridoi, gole e crepacci. Gli uomini-pesce di Dagon emergono da ogni anfratto, da grotte e cunicoli per moltiplicarsi e scannare gli intrusi. La trama segue una progressione lineare, moltiplicando i nemici, dapprima limitati all'isola stessa, poi al primo uomo-pesce, infine a una marea di mostri mutanti. Il finale non regala l'esplosione – anche in senso letterale – che ci si potrebbe aspettare, ma diverte quanto basta. Il nemico non è unicamente esterno, né solo soprannaturale (le anomalie magnetiche, l'isola non mappata sulle carte ecc), ma anche interno: se si resta troppo a lungo su R'Lyeh, si rischia d'infettarsi con una mutazione che rende fin troppo simili ai suoi abitanti...

I diversi personaggi rimangono sbiaditi sulla carta. Non compaiono, non emergono a sufficienza. Certo, si avverte che c'è dietro un buon lavoro di backstory e approfondimento; tuttavia il lettore non li “sente” come realistici. Non avendo letto il precedente romanzo, Ritorno alla Mary Celeste, cui fa riferimento Picciuti non giudico, almeno per quanto concerne tre dei personaggi principali.

La mutazione che infetta i protagonisti permette alcuni twist interessanti. Non si rimane a bocca aperta, ma certi bruschi cambi di direzione, alcune morti premature danno soddisfazione. Verso la fine c'è un tocco splatter, che deve molto ai videogiochi e poco ai libri. Machete che si abbattono su nuche inconsapevoli, mitragliare di piombo sui vili adoratori di Dagon, eroismo all'ultimo proiettile.
L'aspetto orrorifico se proprio ne dobbiamo parlare, lo troviamo tutto nei primi capitoli sull'isola.

Stilisticamente, l'opera è di buon livello e presenta una certa fluidità frutto di un buon lavoro di revisione, ormai quasi cifra distintiva della Dunwich edizioni.
Ogni tanto le frasi per quanto corrette grammaticalmente, sono esageratamente lunghe e contorte. Un paio di sviste, cui ho fatto caso:
Appena mise piede in acqua, si stupì di come fosse calda. Tuttavia, non le diede peso e avanzò in quel mezzo metro gelido, fino a che non raggiunse la montagnola emersa dov'era legato l'uomo che aveva scorto fin dalla cima della scalinata.

Cioè, prima l'acqua è calda, ma nella frase successiva è diventata gelida (?).
Alcune delle riflessioni di Eva sono involontariamente comiche:
L'aeroporto era gremito. Pareva che tutto il mondo avesse deciso di partire quella mattina. Gente indaffarata che correva da una parte all'altra, inseguendo le proprie ridicole necessità, ignorando che nel mondo qualcosa di antico e malvagio si stava risvegliando.

Antico e malvagio, capito? Roba tosta!
In linea generale, al di là di queste mie manie critiche non ho trovato grandi orrori da segnalare (pun intended).

Se in Vergnani c'erano chiari elementi lovecraftiani, in Picciuti Lovecraft non c'è. Abbiamo nomi e mostri presi e tolti dal pantheon del Solitario di Providence, che recitano come ci si aspetterebbe. Non c'è tuttavia un singolo momento dove si percepisca la sensazione di vuoto e inutilità cosmica che caratterizza il genere. Questo non deve far pensare che non ci si diverta nella lettura, o non si resti disgustati, specie dalle già menzionate mutazioni della carne. Tuttavia, siamo in questo caso nell'horror classico, o nell'action con venature splatter. Sono generi che apprezzo e che mi divertono, ma non è Cthulhu, è Godzilla. 

Fonti:
Lovecraft's Innsmouth di Claudio Vergnani (Pagina Amazon).

6 commenti:

LorenzoD ha detto...

Forse è solo una mia impressione, ma ho notato che molti degli autori che oggi emulano Lovecraft falliscono nel riproporre l’orrore cosmico, che era il cuore della sua narrativa, ma riprendono soltanto i nomi e le forme (gli uomini-pesce! Innsmouth! c’è un’antica malvagità nell’aria!) dandogli nuovi significati, tratti dagli action movies o dai videogiochi.

Ormai penso che un vero erede di Lovecraft NON deve nemmeno toccare i Miti di Cthulhu, magari nemmeno creare la sua mitologia, ma saper dare una nuova concretezza alle angosce cosmiche del Solitario di Providence. E magari nemmeno questo è corretto: le angosce d’oggi non sono le stesse di 80 anni fa…

Coscienza ha detto...

C'è spazio a sufficienza sia per un Lovecraft "alto" che per un Lovecraft "basso".

Il primo riprende le angosce e il nocciolo filosofico del buon H.P., il secondo prende di peso mostri&tentacoli per divertirsi un po'- specie con ibridi di generi (Cthulhu nella ww1, nazisti con Shoggoth al guinzaglio, Nemo e la Lega di Alan Moore ecc ecc)

Certo, io preferisco il Lovecraft "alto", ma ogni tanto un horror più leggero può starci, non di sola angoscia esistenziale vive l'uomo...

I miti degli Antichi sono difficili d'attualizzare, perché oggigiorno siamo molto più resistenti alla follia, in termini di psicofarmaci, tecniche psicologiche e scienza a tutti gli effetti.

Pertanto andrebbe osservato che Lovecraft si basava sulla documentazione scientifica degli anni 30', cercando d'inseguire il maggior realismo possibile; nel 21' secolo dovremmo basarci su cos'adesso sappiamo e da lì sviluppare le apposite cosmogonie.

Thomas Grip (il programmatore e designer dei giochi Penumbra) al riguardo ha coniato il termine Post-Lovecraft. Cito un paio di passaggi da un'intervista su Lovecraft-Zine:

"Thomas Grip: I’d like to say that it’s post-Lovecraft. While I still love Lovecraft and I would like to see more Lovecraftian stuff, one thing I’m slightly annoyed by is that the general perception of Lovecraft is about old gods returning to Earth. That’s not my take away from Lovecraft, even if that’s part of the story element. What’s interesting in that story element is the sort of “smallness”, because Lovecraft was inspired by the science at the time.

People did not think that the galaxy was that huge when Lovecraft was born. It was a few hundred thousand stars. Then we found out, with Hubble, there were other galaxies and the universe expanded from being at least knowably large to fantastically large. And our cosmic horizon – how far we can see – that’s just because of the speed of light. It’s even larger!

So, it just went through this huge expansion and I really think that shows up. That’s what I found interesting and that’s the sort of feeling I want to provoke. What’s most interesting to me is that feeling of smallness.

And why I say “post-Lovecraft” is that, in terms of technology, we’re learning so much. We’re learning how our own mind works, so we have this sort of inner expansion as well. The mind has always been a mystery, but we still thought we were going to find some sort of core of consciousness; the habitat of the human soul, the homunculus inside the head somewhere. But that’s just been blown apart. It doesn’t work that way at all.

That’s something that I don’t think is explored enough in horror, and that’s something I want to explore now in SOMA. This inner expansion as well, so just as Lovecraft was inspired by the science happening at the time, so SOMA is also inspired to a certain extent by the science happening at the time – neurology, and machine-learning, and AI and whatnot."

Intervista completa http://tinyurl.com/p52sdlg

LorenzoD ha detto...

Intervista interessante, grazie per avermela segnalata. Sono d’accordo con Thomas Grip quando fa notare che le angosce cosmiche moderne andrebbero ricercate in “neurology, and machine-learning, and AI”. La gente probabilmente non si rende ancora conto di cosa sta venendo fuori da queste scienze!

claudio ha detto...

ciao. In realtà l'episodio Lovecraft's Innsmouth è solo la prima parte di un romanzo che sarà pubblicato nell'autunno 2015, quindi la fine... non è una fine, ma un inizio. In quanto a raccontare temi e atmosfere lovecraftiane scimmiottandone lo stile mi pare sia un'operazione povera e francamente stucchevole (anche se ci si sono cimentati scrittori di valore). Nel mio piccolo ho cercato di calarmici con rispetto, amore ma anche con un pochino di originalità :)

Grazie per aver letto e grazie per la magnifica recensione

claudio vergnani

Coscienza ha detto...


@Claudio
Benvenuto! Grazie per aver commentato.

E' possibile imitare lo stile di Lovecraft senza scimmiottarlo: ne sono prova tanti autori anglosassoni. Certo, come con Tolkien, c'è un vasto range di scribacchini più o meno inconsapevoli del trash che stanno scrivendo...

Recupererò sicuramente il romanzo, e mi fa piacere che quello non fosse un "vero" finale, ma l'inizio dell'avventura (già pregusto l'azione muscolare di Vergy! :D)

claudio ha detto...

Grazie. In effetti si sarebbe potuto spiegare meglio che si trattava solo di una prima parte, colpa mia. In ogni caso, bello o brutto, il seguito sarà lungo il triplo e conclusivo. E Vergy avrà - per dirla alla sua maniera - "molti cazzi da torcere".

Grazie di nuovo per l'interesse e a presto.


claudio vergnani