Breve racconto autoconclusivo. Potrebbe interessare le condizioni in cui l'ho scritto: sera tardi, decisamente ubriaco, col cervello surriscaldato dal troppo caldo ^__^
Forse in futuro proverò ad ampliarlo, o dargli uno scheletro di trama: in ogni caso commentate pure la vostra opinione.
Miraggi
Odio
l'estate.
La
birra che sorseggio è calda, amara: la schiuma straborda sulle dita,
il gusto è rancido, decisamente marcio. Larghe macchie di sudore
appiccicaticcio s'allargano sotto le ascelle. Risistemo il colletto,
fradicio. Fottuto caldo. Bevo un altro sorso, per poco il bicchiere
non mi scivola dalle mani sudate.
Il
barista dà una ripassata all'impasto di gel, sporco e sudore dei
suoi capelli, spinna svogliato l'ennesima birra bollente.
-
Dicono che cambierà il tempo – Un mio amico, compagno in bevute, è
in vena di parlare: alza un dito, tiene coll'altra mano il boccale di
birra; piscio caldo... Birra, mi correggo, gocciola per terra. - I
meteorologi hanno annunciato un...- S'interrompe, aggrotta la fronte.
Posso immaginare i suoi pensieri sbattere braccia e piedi nel
tentativo di mantenersi a galla nel mare d'alcool che abbiamo in
corpo- Fronte temporalesco-
Sorride,
soddisfatto.
-
Speriamo, speriamo. Dio, qui si cuoce – Termino la birra in fretta,
ne ordino un' altra con segno del pollice al barista. Serpentine di
sudore mi scorrono lungo le tempie, dipingono strani arabeschi nel
legno del bancone. Immergo il grugno nella birra, per poco non sputo
tanto fa schifo.
Fosse
almeno fresca... Fuori dal bar, gruppetti di palestrati fanno mostra
dei muscoli, abbronzandosi al sole. Fighetti del cazzo.
Qualche testa galleggia nel mare, bizzarra lontana visione.
-
Quando arriva Elizabeth, hai detto?- chiedo per l'ennesima volta
all'amico. Tiro fuori il cellulare, l'appoggio al bancone rovente.
Nessun messaggio, nessuna suoneria. Morto cotto, proprio come il
sottoscritto.
-
Alle cinque, no? Te l'ho già detto, ricordi?-
-
Me l'ha già detto, gliel'ho già chiesto. Ma questo tempo, questa
dannata calura. Distorcono il tempo, allungano le ore. Mi passo una
mano davanti agli occhi. La realtà muta, con tutto questo caldo.
Guardo la birra. La ricordavo piena, dannazione. Ne ordino un'altra.
Rispondo.
-
Già. Ma sono le cinque e mezza, vecchio mio.-
L'amico
batte una pacca sulla spalla, consola: - Arriverà. Abbi fede.-
Annuisco.
Bevo in fretta un paio di sorsi. Quanto- penso- sarebbe figo se fosse
già autunno? E se il bicchiere che stringo fosse un calice in vetro
lavorato, e non plasticaccia bianca? E se invece di rumorose auto,
fossero le carrozze a rotolare sul selciato? E se invece di questa
lurida camicia azzurra indossassi un panciotto di raso, una tuba
nera, l'elegante elsa di un bastone da passeggio nella mano? Passo la
mano sulla fronte, la detergo... Asciutta.
L'amico
mi sorride, alza il calice pieno di vino e sorseggia con eleganza un
breve sorso. Gli orli in filo d'oro della giacca a code luccicano
sotto la luce. Appoggio il calice- vetro lavorato- sul bancone.
Accanto al bicchiere appare poggiato un cappello a cilindro, lucido
feltro nero.
Dalla
vetrata del bar, scorgo la strada. Selciato a porfido, continuo-
costante rumore di zoccoli e cavalli e gentiluomini in ghetta e tuba
e fanciulle in crinolina e corsetti.
E' un
attimo, una frazione di secondo. Il barista mi porge la quarta (o
quinta?) birra.
Appoggio
le labbra al bicchiere... ed è plastica. Nascondo una ciocca umida
dietro l'orecchio. Caldo di nuovo. Birra rancida. Di nuovo.
Ventunesimo secolo, welcome to hell! Sbottono la camicia bagnata.
Fuori, un autobus scoreggia in avanti, vomita una torma di ragazzini
urlanti.
-
Ehi! Ehi!- L'amico mi batte il pugno sulla spalla. - Guarda,
Elizabeth è arrivata!-
Mi
asciugo la fronte per la terza volta. Fra i palestrati stesi come
pezzi di carne a rosolare al sole, le vecchie dalle tette rifatte, i
bambini piccoli demoni ricoperti di sabbia avanza una sottile,
flessuosa figura. Bevo un primo sorso. Passo dopo passo Elizabeth si
avvicina, i capelli rossi come ardenti braci alla luce del sole. Bevo
un secondo sorso. Elizabeth si protegge dal sole con un parasole
color panna, affannoso respiro sotto il corsetto vittoriano. Bevo un
terzo sorso. Un'improvvisa brezza spazza il bar, quando Elizabeth
entra nel bar. La sottile figura a S di gonna e bustino si piega in
un saluto. Per un effimero attimo mi sento rivivere.
-
Pensavo... Pensavo avessi cambiato idea- Borbotto.
Sorride,
strizza un occhio. Io accenno un baciamano, rifiuta trillando di
sorpresa.
-
Sempre così fuori dal mondo, amico mio!-
La
mano inguainata nel guantino nero che stavo per baciare scompare, mi
rendo conto di come Elizabeth indossi una T-shirt fabbricata a
macchina, tristi pantaloncini tagliati al polpaccio. E fa caldo. Di nuovo.
Agguanto il bicchiere, lo trovo vuoto.
-
Barista, un'altra birra!-
7 commenti:
Se questo è l'effetto del caldo, ti regalo personalmente un phon e un servetto che ti stia accanto tutta quest'estate XD
Scriva scriva, che ce piace!
Va bene, offerta accettata XD Ovviamente aggiungiamo anche un barilotto di birra, e sostituiamo il servetto goblin con una segretaria nerd LOL
belle immagini! mi piace il continuo alternarsi di visioni di presente e visioni di futuro. ma non è detto che sia l'effetto della birra; magari è talmente la voglia di cambiare il mondo che la mente fa questi scherzi!
Grazie! Sulla voglia di cambiare il mondo, chissà diciamo che dell'ottocento vittoriano, pur con le sue storture e immensi difetti rimpiango una certa raffinatezza che nel 21 secolo si è andata persa completamente... Almeno a mio giudizio del tutto opinabile
io amo parlare dei tempi passati come quelli di "quando incrociando con l'ombrello una persona anziana o una donna sul marciapiede gli si cedeva il passo"!
Vogliamo parlare della tag "Nausea esistenziale"? penso riassuma l'intero racconto=)...voto:7/10 Goood!!
sì la riassume abbastanza ^__^ L'ho aggiunta inseguito a un commento (Nanni) al racconto su writer's dream:
" Poca cosa questo racconto, sinceramente. Vive del contrasto tra il momento presente, marcato in modo sin troppo insistito dalla calura, e un breve lampo di un passato alquanto mitico che subito rifluisce. Persino la bella Elizabeth alla fine si rivela una povera ragazzetta malvestita e senza gusto.
Nausea esistenziale, si direbbe, ma totalmente epidermica, senza alcun tipo di approfondimento. Un linguaggio che mima il parlato quotidiano con una certa efficacia e così si lascia leggere. Scorre via in fretta e resta, forse, un po’ troppo poco. "
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