
Il mondo di Peter Newman è un deprimente pianeta grigio e sterile,
formato da nudi ammassi di roccia chiamati “montagne”, distese
cenerognole un tempo chiamate “pianure” e giungle urbane di
edifici abbandonati un tempo chiamate “città”. Scheletri
tecnologici di automobili, ferrovie e strutture di cui da tempo si è
smarrita la funzione fanno intuire al lettore una precedente civiltà
evoluta e sofisticata, caduta da tempo nel dimenticatoio della
storia.
La menzione di un sole spezzato a metà, i nomi e le denominazioni
astruse e la geografia fantasy allontanano il pericolo dell'ennesimo
post apocalittico ambientato sulla Terra, a favore invece di un
fantasy vero e proprio, grimdark all'ennesima potenza.
Le ultime vestigia di civiltà umana in “The Vagrant” risalgono
all'impero dei “Seven”: sette divinità simboleggianti l'Ordine
contro il Caos, alla guida di una civiltà feudale la cui élite sono
i “Seraph Knights”. Un ordine cavalleresco, a metà tra feudatari
e paladini, dalle spade magiche (tecnologiche?) che sanno “cantare”
come la Durlindana di Orlando. Il cavaliere Seraph è addestrato a
intonare la propria anima alla spada, con effetti devastanti sul
nemico. Dal romanzo non appare mai completamente chiaro se l'accordo
“musicale” tra spada e possessore sia il risultato di un'antica
tecnologia o sia un elemento propriamente fantastico. I “Seraph
Knights” costituivano la punta di diamante dell'esercito dei Sette,
ma nel romanzo sono ormai scomparsi da tempo, tranne che per il
“vagabondo”, the vagrant, che continua il suo pellegrinaggio in
un mondo devastato.