Considero
Providence 08 uno dei turning point della saga di Alan Moore.
Nei numeri precedenti di Providence, l'elemento orrorifico era
predominante: che fosse politico, cosmico, sociale, gore, puramente
soprannaturale, lo scopo era trasmettere la paura e l'angoscia del
protagonista. Con Providence 08 invece, il discorso si apre ad altri
sentimenti e altri orizzonti, pur restando pienamente nei canoni
lovecraftiani.
Vediamo qui compiutamente all'opera quale ampiezza, quale dimensione
abbia preso la ricerca di Moore: invece che limitarsi, come tanti
epigoni pennivendoli, ai racconti dell'orrore, il buon Alan arriva
finalmente a trattare le Dreamlands di Lovecraft. Comprende
perciò che non tutto Lovecraft è horror e non tutto Lovecraft è
Cthulhu; realizzazione a cui molti sedicenti “appassionati”
ancora non arrivano. Sul suo sito, S. T. Joshi ha sottolineato più e
più volte quanti e quali interessi nutrisse Lovecraft; come al di
fuori della fiction avesse coltivato una personale filosofia e stile
di scrittura che pur rigettando (nei contenuti) il Modernismo, in
realtà (nella forma) lo adottava senza remore.
Uno studio dell'epistolario, come della filosofia lovecraftiana è
ancora parziale e frammentato: e uno dei principali ostacoli resta
senza dubbio l'ostinazione con cui sia fan che anti-fan si
concentrano su una minima parte di quanto ha scritto, trascurando
tutto il resto.
Dove sono gli studi sul concetto di scienza per Lovecraft?
Sulla sua evoluzione filosofica?
Sul newdealismo/interventismo statale degli ultimi anni?
Dove sono – è il nostro caso – gli studi sulla sua produzione
dunsaniana, di stampo onirico?
Per i fan, ogni minimo aspetto della vita del povero H. P. dev'essere
ingigantita, distorta, mitizzata fino a trasformarla in un aspetto
dei suoi racconti.
Quel dato evento traspare in quella data opera;
quel trauma in quello specifico mostro...
Quando questo genere di
analisi non funziona, il fan si limita a cercare dettagli
inquietanti, sulla base del semplice assioma: racconti inquietanti =
scrittore inquietante. Dall'altro, gli anti-fan si limitano a
riprendere queste scenette, queste citazioni della vita di Lovecraft,
capovolgendole però in chiave negativa: l'inquietudine diventa così
razzismo, fobia, nazismo, comunismo ecc ecc
I fan e gli anti-fan (etichetta dove raccolgo sia gli haters puri che
alcune frange intellettuali) sono però stranamente simili: entrambi
cercano un Lovecraft “mitico”, probabilmente mai esistito, dotato
di orribili o meravigliose caratteristiche a seconda
dell'interlocutore.
Perchè finalmente si riconosca il valore di Lovecraft bisognerebbe
abbandonare questa “idolatria” di Lovecraft per abbassarlo a
quanto ha sempre voluto considerarsi: un essere umano tra i tanti,
contraddittorio e propenso a cambiare come tutti. Si potrà allora
accorgersi di quanti e quali aspetti si continua a trascurare, senza
infognarsi nelle solite polemiche.
In Italia, lo studio di Lovecraft è nel vicolo cieco dell'evoluzione
a causa della traduzione mancata di ogni studio accademico serio:
ogni articolo su Lovecraft vi sa citare due soli autori: Stephen King
e Houellebecq. Ironia delle ironie, sono due autori tra i peggiori
nel campo, sostenitori a oltranza di un Lovecraft talmente
stereotipato da risultare una marionetta, un involucro che ha l'unico
scopo di contenere le idee dei due autori, senza il minimo legame con
la realtà, che sia la bibliografia, o l'epistolario del Solitario di
Providence.
King, che ritrovo citato ovunque in articoli persino
universitari, o presunti tali, non ha mai compreso nulla di
Lovecraft, se non quei due concetti e quei due personaggi da plagiare
a oltranza. Non metto in dubbio che King sia un bravo romanziere, ma
non è uno studioso e si vede: non c'è alcuna riflessione seria su
Lovecraft, il che bene si accorda con il suo anti-intellettualismo.
Houellebecq “inventa” il suo Lovecraft per adattarlo alle sue
idee politiche, tirando fuori qualche idea interessante (le
osservazioni sullo stile di scrittura, ad esempio, le critiche a
Freud) ma in ultima analisi anche lì Lovecraft non esiste, ne
sopravvive solo un esagerato “mito”.
Non abbiamo roba tosta,
cazzuta, non abbiamo nemmeno le fondamenta: rendiamoci conto che
tutt'ora S. T. Joshi è stato tradotto in più lingue, russo compreso. Russo, diamine!
In America, è ormai impossibile menzionare Lovecraft senza ricevere
una minaccia; o da chi ti accusa di razzismo, o da chi ti accusa di
svalutarlo. Stretto tra le due morse, non c'è da sorprendersi se S.
T. Joshi stia diventando sempre più un vecchio malmostoso chiuso
sulla difensiva. Dev'essere frustrante vedere svanire il lavoro di
una vita da scrittori ansiosi di sollevare un po' di pubblicità
gratuita, che sia insultando, o all'opposto dichiarandosi il suo
nuovo “erede”.
Con questo ottavo numero di Providence ci spostiamo nella direzione
giusta, per altro finalmente ponendo su carta un Lovecraft “uomo”
che sia credibile senza risultare macchietta. Mostrare le Dreamlands
forse spingerà qualche fan a interessarsi a qualcosa di diverso dal
Ciclo di Cthulhu, anche se sono pessimista al riguardo...
Come per gli ultimi 3 numeri delle annotazioni, le prime 13 pagine sono state tradotte da Matteo Poropat della Tana dello Sciamano. Fateci un salto, sta per lanciare un'interessante rubrica su Hellboy tra cinema e fumetto. Le annotazioni sono come sempre tratte da Facts in the Case of Alan Moore's Providence.
The Key