lunedì 27 giugno 2016

Providence 04: White Apes, di Alan Moore. Annotazioni, analisi e traduzioni.


Quarta e ultima storia di Providence, White Apes prende a modello l'orrore di Dunwich, andando a sollecitare con la delicatezza di un coltello arroventato il tema della purezza razziale e della degenerazione biologica da sempre fondamentali in Lovecraft.
Nel numero precedente, basato sull'Ombra di Innsmouth, Moore giocava con argomenti pesanti come campi di prigionia e Olocaust(i)o, mentre nei primi due, grazie al racconto Aria fredda e Orrore a Red Hook, trattava il razzismo e l'immigrazione. La posta pertanto è al continuo rialzo, gli argomenti trattati salgono sempre più d'importanza, andando a sollecitare riflessioni su argomenti “innominabili”.
In tal senso, il secondo volume della Panini Comics, in teoria disponibile da luglio, dovrebbe offrire un po' di respiro, perché raccogliendo i numeri di Providence dall'05 allo 08 si occupa di argomenti più onirici, nel campo di Kadath e compagnia bella.
Ciò non toglie, che avendo dato un'occhiata alla versione inglese, il lettore offeso dalle tematiche “impegnative” continuerà a restare offeso: sia nel gioco disinvolto che Moore fa di Lovecraft stesso e delle sue opere, sia nel suo uso delle scene di sesso, disegnate in modo da dar “fastidio” al lettore.
Se la tra-duzione e l'intro-duzione si manterranno ai livelli di questo primo numero, la Panini avrà svolto un gran bel lavoro. A questo proposito, rimango ancora dubbioso sulla scelta di una traduzione intermittente, che alterna una resa dei dialoghi in dialetto assai sofisticata a una rinuncia di alcuni termini di geografia e storia. Trovo ad esempio irritante che non siano stati tradotti i titoli dei capitoli – White Apes? Yellow Sign? Sul serio? - come d'altronde i vari libri di occultismo di cui pure esiste la versione italica. L'idea di sfruttare l'esotismo del titolo per far colpo non mi sembra simpatico verso il lettore. Tuttavia, nell'insieme posso comprendere che un lavoro come quello di Providence è nel contempo l'incubo e il sogno di ogni traduttore esperto.

Come sempre, il riferimento fondamentale da cui traggo ogni traduzione è Facts in the Case of Alan Moore's Providence, collettivo anglosassone di esperti il cui acume non cessa di stupirmi.
Ho aggiunto tuttavia qualcosa di mio, sopratutto da Providence 02 in poi: è divertente constatare, man mano che scrivo l'articolo, come anche gli annotatori si stanchino, lasciando passare intuizioni per me ovvie.
Le citazioni dai testi di Lovecraft sono invece tratte dalla solita edizione economica Newton&Compton, dalla copertina biancheggiante. Rivedendo i titoli di alcuni racconti rimango sempre stupito dalla sciatteria di certe scelte stilistiche dell'epoca. Certo, il Solitario di Providence è un autore difficile da trattare, ma tra le traduzioni del secondo dopoguerra e il recente trattamento “modernizzante” di Altieri mi pare che non ci sia ancora stato un lavoro da vero filologo dietro.
E nessuno più di uno storico o un filologo saprebbe rendere una scrittura bizantina (!) come quella di Lovecraft.

Non appena uscirà il secondo volume (Providence 05-08) continuerò con le annotazioni.
Come sempre, non esitate a segnalare errori, incongruenze o curiosità.  



White Apes 

martedì 21 giugno 2016

I miei due cent su questo E3 2016, tra Kojima e Mass Effect Andromeda


Si continua a ripetere che l'E3 ha perso il suo smalto, che è ormai superfluo, che altre fiere e altre occasioni sono le vere occasioni per le anteprime videoludiche più succose. 
Sarà pur vero, ma il semplice numero di visitatori e di hype che ammanta ogni anno la fiera contraddice questo fatto: l'E3 continua a contare. Non quanto il passato, certo, ma se per due settimane il coverage dei siti e dei giornali copre l'evento... well, forse un motivo ci sarà.
Forse è il caso di dirlo: l'E3 è morto, lunga vita all'E3.
Nel caso dell'E3 2016 ho scelto di analizzare solo alcuni dei giochi presentati, preferendo approfondire i singoli casi piuttosto che regalarvi l'ennesima carrellata-plagio dai siti generalisti.
Nonostante alcune cospicue assenze – ci speravo davvero in Cyberpunk 2020, ma niente da fare – non manca certo materiale di cui discutere. 
Incominciamo da un classico di questo blog, la prima guerra mondiale...

L'esaltazione della modernità: Battlefield 1



martedì 7 giugno 2016

Atompunk in salsa lovecraftiana: Shadow Planet


Leggendo alcune riviste di fumetti alternativi degli anni sessanta/settanta – penso a Metal Hurlant o l'Heavy Metal Magazine, a seconda della lingua – rimango sempre colpito di come funzionassero sulla base di un'assenza, anziché di un eccesso.
Il senso di mistero proveniva dal formato breve, dalla psichedelia di quegli anni, dalla scelta di chiudere le storie ex abrupto, costretti dalla mancanza di ulteriori fondi. La conseguenza necessaria erano storie per forza oniriche, enigmatiche, chiuse in piccoli mondi autosufficienti.
La ricerca della sensazione, del dettaglio minuto, dell'orgia di colore contrapposta alla “prigione” dei dialoghi e delle sceneggiature a tavolino: si trattava di non-storie a tutti gli effetti, dove lo stile demoliva ogni necessità di seguire un “filo logico”.
Siamo ovviamente nel periodo di Moebius, le cui storie di quegli anni, da lui stesso definite “una eiaculazione” (1) risultano il paradigma per eccellenza di un disegno che supera il dialogo, Garage ermetico docet.

Ora, l'Indiegogo per il fumetto Shadow Planet non è certo Moebius. Eppure, rimane qualcosa di quel genere di fumetto nello stile, nel disegno, nell'argomento, fin quanto nella stessa presentazione della campagna.
La matita di Gianluca “Johnny” Pagliarani restituisce tavole che naufragano nel dettaglio, intricati mosaici di sassolini, tubature e finissimi ingranaggi. All'impressione “polverosa”, alle lande lunari come agli interni “alieni” il pensiero torna ai deserti e ai paesaggi minuziosi di certa sci fi del '60. Il colore di Alan Junior d'Amico, con una palette che ruota sul grigio e il rosso trasla il fumetto di dieci anni indietro, ponendolo dentro le tute super aderenti degli astronauti di celluloide degli anni '50.
Sebbene non sia possibile pronunciarsi sulla sceneggiatura, le parole chiave disperse qui e lì trasmettono i brividi: si va dal pulp, all'atompunk, al Lovecraft più casareccio.
Doverose strizzate d'occhio all'Alien del 1979, basti osservare la posizione dell'astronave nella presentazione, con l'inquadratura e lo “spiaggiamento” simile al ritrovamento nel film.


Fucili a raggi, la presenza di un robot nelle vignette trapelate, l'enfasi su razzi e bulloni assicurano la fisicità del -punk nell'atompunk, con un'elettronica che non vada al di là dell'analogico:


Non a caso, la prima cosa a cui ho pensato dopo aver visto la folle Moonette, è all'automobile nelle prime pagine di Garage Ermetico:


La presentazione per la campagna su Indiegogo a sua volta si mostra come vicina ai lettori e lontana dalle formalità, anche per gli standard della Radium: non c'è un disegnatore, un colorista e uno sceneggiatore, ma i Blasteroid Bros, come non c'è la storia di tre astronauti alle prese con un orrore alieno, quanto Razzi-Bulloni-Mostri-Pistole a Raggi. I responsabili del (futuro) fumetto compaiono con armi dalla fallica gigantezza in mano e il tono sulla pagina Facebook è decisamente indovinato.

Infine, a questo cocktail -retro viene inoculato l'elemento moderno: anziché un equipaggio incolore di maschi bianchi degli anni '50, troviamo la comandate Jenna Scott, come la luogotenente Nikke Larsson e un unico maschio, l'efebo John Vargo, che al di fuori della sigaretta all'angolo della bocca ha un'acconciatura più curata delle sue stesse compagne di viaggio interstellare.
Ancora una volta evidente l'influenza dell'Alien(s), centrifugata però nello stile del pulp passato.

La campagna Indiegogo si avvicina all'ultima settimana, ma rispetto alle precedenti raccolte fondi mi sembra stia procedendo spedita, siamo a un punto eccellente.
Come da tradizione della Radium, le possibili opzioni prevedono cartonati, copertine alternative – consiglierei quella di Jacen Burrows – un diorama a edizione limitata e una pistola laser sospettosamente simile a una mauser modificata. La natura della storia vieta per una volta ogni comparsa/ opzione “trasformami in fumetto” che sembra a volte trasformare certi numeri in folle di comparsate. Il primo numero di Prussiani vs Alieni, ad esempio, sembra avere quasi più backers in forma di personaggi che personaggi stessi (!).
Sempre apprezzabile come vi sia un'opzione per gli indecisi o chi voglia spendere di meno: con soli cinque euro ci si porta a casa tutti e quattro i numeri in edizione digitale e con nove anche gli schizzi di lavorazione in esclusiva. Se siete tra chi aspetta “a lavoro finito” o “quando sarà pubblicato” perchè invece non contribuite con la cinquina direttamente disponibile, adesso?
Mi sembra il modo migliore per tastare il terreno senza perderci troppo denaro nel caso (improbabile) che Shadow Planet si riveli una delusione. Anche a uscita in negozio, i fumetti della Radium non stanno comunque avendo recensioni tali da poter giudicare se valgano o meno la pena, provare direttamente al momento della campagna è l'idea migliore.

(1) Si veda In Search of Moebius (BBC).

Fonti:
Pagina del progetto su Indiegogo.
Sito della Radium, pagina dedicata a Shadow Planet.
Pagina Facebook della Radium.