lunedì 13 febbraio 2017

The Wall 2/6 (racconto)

(spazio lasciato libero perchè possiate inserire la vostra battuta liberale sui tempi odierni; io dopo il fuoco di fila degli ultimi mesi di improvvisati esperti di geopolitica mondiale su Facebook mi astengo)


The Wall 2/6 


Se guardi il Muro, sarà il Muro a guardare te, pensò Ernst.
Ne ammirò come ogni giorno da vent'anni la struttura imponente, la consistenza bianca, perlacea, d'una trasparenza che ricordava una superficie di squame luminescenti. Si curvava e adattava a seconda di chi l'accarezzasse, ma a ogni tentativo d'intrusione diventava adamantina, una barriera vivente e impenetrabile. Un nome, cercò di ricordare Ernst, per quel genere di materiale: nano... nano qualcosa. Nanotecnologia, forse.
Salutò Lucas che iniziava il giro di pattuglia, il fucile sotto braccio come l'ombrello di un signore a passeggio. Tommaso era invece già sugli spalti, l'occhio perso a osservare la terra bruciata sottostante. Raggiunse presto il settore del Muro di sua competenza.
Gli spalti erano merlati, una serie di aguzzi contrafforti. Il grigio perla si anneriva nelle punte aguzze, macchiate di sangue secco. Ernst passò, come sua abitudine, la mano sul parapetto. Gli sembrò che le nanotecnologie gli sussurrassero antichi segreti, la superficie vischiosa persino al tocco del guanto. C'era calore, in quella struttura, un'intelligenza artificiale che pulsava di vita propria. Concentrò lo sguardo sulla wasteland all'orizzonte. Una terra desolata di crateri e rovine, che sprofondava all'orizzonte dentro l'imbuto melmoso di un Mar Adriatico morto.
Vegetazioni di filo spinato lottavano con sacchi di sabbia, elmetti e fucili corrosi. Qua e là, le carcasse di elicotteri e carri armati affioravano dalla terra come tombe dimenticate. 
Ernst distingueva le linee di sbarramenti, di mura, di frangiflutti costruite con sempre maggiore frenesia negli anni. Pozze di liquidi radioattivi, baracche per l'esercito, fosse comuni tempestate di ossa levigate dai randagi, dai corvi, dal tempo.
Il vento ululava attraverso i bronchi di plastica di un accampamento lacero di tende della croce rossa... fino al Muro. Il Muro persisteva, ultimo ostacolo.

- Un fantasma! Trovato! Primo di oggi! Mi dovete una birra, ragazzi! –

Un essere giocava a nascondino tra le rovine. Ernst imbracciò il mauser, seguendo i movimenti sfuggenti del fantasma. Ne intravide la coda scagliosa sfrecciare dietro una casamatta dal tetto sfondato. Urlò la posizione.

- Trincee del 2022, terzo bunker a destra! –

Ernst colse per un secondo un movimento all'estremo opposto dell'edificio e sparò. Il proiettile passò mezzo metro sopra la testa del fantasma, esplodendo sui graffiti arabi della casamatta. Un colpo di Lucas mutilò la coda, mentre un altro di Tommaso colpiva la creatura alla spalla. Il fantasma emise un grido che ricordava a Ernst il rigurgito di un bambino malato. La coda apparteneva a un corpo umanoide, digrignato in una testolina liscia e lucida.
Ernst tirò indietro il carrello del mauser e mirò all'altra spalla.
Le grida – umane, troppo umane – del fantasma gli davano sui nervi. L'impatto del mauser scaraventò il fantasma contro il muro, staccandogli un braccio. Sangue verdastro gocciolò dalla ferita. Il fantasma urlò ancora più forte. Ernst scarrellò rabbioso il mauser e
sparò di nuovo, colpendolo alla gamba. Il fantasma si contorceva ora sul terreno, scosso da spasmi convulsi. Ernst ne colse lo sguardo: erano i lineamenti di un bambino, fossilizzati in un'espressione ebete. Vestiva una coperta termica trasformata in un primitivo giubbotto, agganciato a una cintura con una borraccia di primo soccorso e una scheggia di pietra come coltello. Piangeva. Ernst gli sparò un'ultima volta in testa.

- Un aumento, ecco cosa ci meritiamo. Mesi che non ne vedevamo uno. –

Lucas soffiava sulla canna del fucile. Passò a Ernst dallo zaino un termos di peltro, con l'aquila bicipite dell'Imperatore. Ernst si servì con le mani che gli tremavano.

- Non so nemmeno perché li chiamiamo fantasmi – balbettò – Mutanti sarebbe certo più corretto. –

- Perchè tornano dalla morte. Perchè, a ragione, non dovrebbero più esistere. –

Lucas scrollò le spalle, perplesso.

- Forse sono i fantasmi delle nostre passate colpe, se ti consideri quel genere di persona. Il ritorno del rimosso. Io a cazzate del genere non ci credo. Per me sono fantasmi, perchè lì fuori, nella wasteland, non dovrebbe riuscire a viverci più nessuno. Se vogliono però farsi ammazzare qui invece che nel loro paese... libero di accontentarli! –

Ernst assaporò il caffè, se ne versò un'altra tazza e si girò verso la postazione di Tommaso. Il fucile era poggiato sul parapetto, come lo zaino, la cartucciera e l'elmetto.

- Ma dov'è? Il secondo colpo era suo, se lo merita un sorso... –

Lucas aggrottò la fronte, le mani sui fianchi. Guardarono entrambi verso la wasteland.

- Non mi piace, non mi piace affatto – iniziò Ernst, prima che un urlo gli bloccasse la frase. Lucas puntava il dito verso la casamatta, tutto agitato.

- E' uscito! Mio dio, Tommaso è uscito dalle mura! –

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